Il “Villaggio Svizzero” di Messina

Tutta la popolazione dello Stretto di Messina, ancora oggi, ha memoria del catastrofico sisma, avvenuto alle prime luci del mattino -05:21- del 28 dicembre 1908. Il terremoto, con una magnitudo di 7.1, fece vibrare per trenta interminabili secondi la terra e rase al suolo l’omonima città dello Stretto e in parte anche Reggio Calabria, causando centinaia di migliaia di morti.

Le vie di Messina dopo la catastrofeFonte: storia.redcross.ch

Il sostegno della Svizzera

Di fronte a questo spettacolo raccapricciante di morte, distruzione e disperazione, tutta l’Italia -e non solo- si mobilitò per soccorrere i popoli colpiti. Un aiuto, rimasto indelebile nella memoria dei cittadini, fu quello dato dalla Svizzera, che, non appena giunta la notizia, il 2 gennaio 1909 lanciò una raccolta fondi nazionale per aiutare la loro “nazione amica” rivolgendo al popolo svizzero il seguente appello tramite la stampa:

«In presenza di un simile disastro, la Svizzera non può rimanere inattiva. La nostra vicina, l’Italia, alla quale ci accomunano la lingua, l’industria e tanti legami intellettuali, deve sapere in quale misura il nostro popolo intero partecipa alla sventura che la colpisce in modo tanto brutale e terribile.» 

Poche settimane dopo giunsero così alle due città dello Stretto denaro, viveri, coperte, kit medici, cioccolata e abbigliamento.

Fonte: mutualpass.it

La nascita del “Villaggio Svizzero”

Il sostegno più importante però non si limitava ai beni di prima necessità. Grazie ai fondi inviati dalla Croce Rossa Svizzera e al contributo dell’ingegnere Spychiger, di origini svizzere ma residente in Calabria, furono costruite 21 case di legno a Messina su dei terreni che il governo italiano mise a diposizione in maniera gratuita. Queste erano ispirate al modello degli chalet svizzeri, coi tetti spioventi e costruite secondo criteri antisismici; nonostante fossero di piccole dimensioni, offrivano a chi le abitava tutto ciò di cui avevano bisogno.

Le casette bifamiliari erano di due tipi: il primo, previsto per la campagna, comprendeva quattro camere e due cucine, mentre il secondo, di stile borghese, era costituito da otto camere e due cucine e all’esterno vi erano anche delle piccole aree verdi.

Così nacque il Villaggio Svizzero”, che diede un barlume di speranza a circa 30 famiglie messinesi.

La Croce Rossa Svizzera aveva dettato una sola e inviolabile condizione: “le case non diventino oggetto di traffico, ma siano proprietà gratuita di quelli che hanno perduto la loro casa nella catastrofe”.

Lo chalet Rütli di Messina – Fonte: storia.redcross.ch

L’altra faccia dello Stretto: Reggio Calabria

Anche l’altra città dello Stretto Reggio Calabria cercò di risollevarsi dalla distruzione causata dallo stesso sisma; gli aiuti ricevuti furono preziosi tanto quanto lo erano stati per Messina.

La stessa Croce Rossa Svizzera avviò nel febbraio 1909, la costruzione di 16 chalet uguali a quelli fabbricati nella vicina Messina. Le abitazioni occupavano un’area di quattrocento metri quadrati, con un giardinetto attorno; erano bifamiliari, a due piani, con una scaletta esterna e con le ante delle finestre decorate con cuoricino.

Ad ogni chalet, i donatori svizzeri assegnarono un nome: Guglielmo Tell, Altdorf, Jungfrau, Sempione, San Gottardo, Cervino, Spluga, Sentis, Reno, Rodano, Keller, Pestalozzi, Haller.

La strada dove vennero poste queste case, venne denominata “Via dei Villini Svizzeri”. Entrambi i “villaggi Svizzeri” accolsero in totale 74 famiglie, ridando a circa 400 persone, un tetto sulla testa.

Le maestranze svizzere insieme all’ingegnere Spychiger a Reggio Calabria – Fonte: storia.redcross.ch

La via Svizzera e il “Villaggio Svizzero” oggi

L’intervento della Croce Rossa Svizzera nella zona terremotata di Messina si concluse nel novembre 1909.

Nonostante sia passato più di un secolo dal sisma e ormai di quelle casette costruite sia rimasto ben poco a livello materiale, l’aiuto svizzero non è mai stato obliato; ancora oggi, la zona -all’incrocio fra il viale Giostra e il viale Regina Elena- in cui sorgevano le abitazioni è chiamata “Villaggio Svizzero” e via Svizzera è denominata la strada che la attraversa.

 

                                                                                                                                                                              Marika Costantino                      

 

Fonti:

mutualpass.it/la-svizzera-a-messina

storia.redcross.ch/il-terremoto-di-messina

strill.it/la-storia-dei-qvillini-svizzeri

Dalle macerie nascono musei

Messina, porta della Sicilia, città di sogni e cultura, nobiltà e borghesia, amore e fantasia, che si snodano tra i palazzi liberty; Messina, sviluppata tra il vivido profumo del mare e…. dell’amianto.

Sì, Messina odora ancora di abbandono e attende che le ultime pagine bianche vengano completate di una storia gloriosa.

Baraccolandia

La storia della baraccopoli messinese nasce e si sviluppa all’indomani di uno degli eventi sismici più catastrofici del XX secolo. Dal 1908 buona parte della popolazione messinese vive in pessime condizioni igienico-sanitarie e da ben 113 anni le baracche rimangono simbolo di una continua “lotta di classe”. 

Ad oggi, su una superficie comunale di 213,75 km², si contano circa 2500 famiglie locate in baracche; dal quartiere Annunziata fino al Rione Taormina abitano generazioni di prigionieri, in quella che loro stessi -ormai rassegnati- chiamano casa. 

E chissà se possa mai definirsi casa quella con un tetto in eternit, costruita accanto a discariche a cielo aperto e muffa per carta da parati. Sicuramente non lo è per chi dorme da trent’anni sotto un tetto gocciolante, non lo è per tutte quelle mamme, come Francesca, che convivono quotidianamente con la paura incessante che da un momento all’altro un animale selvatico possa attaccare i suoi figli, e non lo è per tutti i genitori che sognano una cameretta per i loro figli, forse, quella che loro stessi non hanno mai avuto.

La baraccopoli di Messina – Fonte: strettoweb.com

Qualcosa cambia…

Nel 2018, da poco eletto sindaco, Cateno De Luca ordina lo “sbaraccamento”.

Da città con un passato interminabile e  un presente arrendevole, Messina inizia a scorgere il primo spiraglio di luce illuminare un futuro concretamente realizzabile. Progettando demolizioni, rimozioni, smantellamento e risanamento, l’ultima tappa decisiva viene segnata dalla Ministra per il Sud e per la coesione territoriale Mara Carfagna.

L’Onorevole Carfagna nomina Commissario straordinario il prefetto di Messina Cosima Di Stani, e stanzia 100 milioni di euro, derivanti dal Fondo di sviluppo e coesione 2021 – 2027, per eliminare le baracche dalla città e offrire all’intera popolazione un alloggio decente, confortevole e idoneo a sopperire le primarie necessità di una famiglia media. 

Dalle macerie nascono i musei 

Durante i lavori di risanamento all’Annunziata, in presenza della Ministra Carfagna, del Sindaco De Luca, del Prefetto Di Stani e delle altre autorità competenti, il primo ottobre viene ordinata la sospensione dei lavori.

La ruspa, che sta spianando il territorio, interrompe la sua funzione per salvare una baracca di legnoL’ultima baracca sopravvivrà alle ruspe per diventare un qualcosa mai ideato prima.

Non l’avrebbe mai immaginato Letteria Donato che quella baracca, assegnata ai suoi nonni dopo il terremoto del 1908 e casa per tre generazioni, sarebbe diventata un museo.

Il museo della memoria” così lo definisce il sindaco della città, consegnando simbolicamente le chiavi della baracca alla Ministra Carfagna.

Consegna simbolica delle chiavi dell’ultima baracca di legno, presto “Museo della memoria”, alla presenza dell’onorevole Mara Carfagna e il sindaco Cateno De Luca – Fonte: 98zero.com

Letteria, rammentando i suoi ricordi, con fierezza dice: “Mio padre lo ha comunque custodito questo alloggio anche se non vi ha abitato nessuno da 26 anni. Siamo molto orgogliosi il ministro ha detto che si realizzerà qui un museo e lo trovo giusto per non perdere la memoria di quello che è stato“. 

Oggi, grazie a quest’evento inaspettato, possiamo dire che la memoria di Letteria Donato diventerà la nostra memoria e come dice Paulo Coelho: “Riusciamo a comprendere il miracolo della vita solo quando lasciamo che l’inatteso accada”.

 

Elena Zappia

 

Fonti:

https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_di_Messina

http://VIDEO. Vivere fra muffa e amianto: “Mio figlio è morto sognando una cameretta”

https://www.repubblica.it/venerdi/2021/09/24/news/sbaraccopoli_alla_messinese-318595051/

https://www.ansa.it/sicilia/notizie/2021/10/01/a-messina-baracca-del-1908-diventera-museo_abc58704-031f-470a-a555-cbd34f916ac1.html

Immagine in evidenza:

Baracche nel rione Annunziata – Fonte: messina.gazzettadelsud.it

Messina 1908: La storia di un grande evento, il nostro

Orologio fermo alle 5.20, ora esatta dello scatenarsi del sisma della mattina del 28 dicembre 1908 (foto scattata nel già 1909)

“Cosa fu?” chiese il figlio al padre,

“Aspetta” disse il padre al piccolo.

Queste, silenti, brevi e semplici parole alle 5.15 di quella fredda mattina.

Soltanto cinque minuti dopo, nel momento in cui il bimbo stava per riprendere sonno, ad un tratto un boato, eccola, l’ira funesta della madre terra, che sprigionò tutta la sua forza laddove niente fu come prima. 

Tutto diventò altro, un tutt’uno tra inferno e paradiso, tra cielo e terra, tra acqua e fuoco, tra vento e quiete.

Messina subiva quello che noi oggi conosciamo come l’evento sismico più potente della nostra storia recente, uno di quelli che raggiunse il 7° grado della scala Mercalli.

Carmelo – questo il nome del bambino – si trovava nella sua cameretta, dove discuteva col padre, e da lì è stato estratto, tra le macerie della loro casa, del loro plesso, del loro rione. Carmelo percepiva le voci, le grida e i lamenti come se fossero un sogno molto realistico, non dava loro molto peso, tanto in fin dei conti da lì a poco si sarebbe svegliato,  per cui perchè preoccuparsi più di tanto…

Si rese conto nemmeno pochi istanti dopo che non era un sogno ma una realtà viva, attuale, vera più che mai. Lì iniziò a vedere con gli occhi di un bambino, quale lui era, tutto il dramma della vita: corpi riversi sotto i solai, sotto le travi e mobilia, mobilia ovunque, specchi rotti, legna, pietre, tantissime pietre, tutte le pietre del mondo dirà negli anni seguenti nei suoi racconti monotoni per i quali sarà financo schernito dalle future generazioni. 

Particolare degli interni di un appartamento in via Fossata nel 1909

Correva l’anno del Signore 1908 in quel di Messina, già sede di provincia e prima tra le quattro città di distretto configurate nell’ottica borbonica dal punto di vista amministrativo. In ordine di importanza erano queste le quattro città già demaniali e di distretto in un tempo precedente: Messina, Castroreale, Patti e Mistretta.

Carmelo era figlio di quel tempo, figlio di quella nonché nostra stessa terra, Messina, la Sicilia.

Diranno alcuni: figlio delle terre al di là del faro.

Così venivano intese infatti tutte le zone della Sicilia che non si trovavano “al di qua del faro” in cui ricadevano, geograficamente parlando, i centri della Calabria. Una dicitura già presente all’epoca borbonica e riportata per abitudine descrittiva nei vari passaggi di regno e/o annessioni territoriali.

Come lui, altre piccole anime, le quali nulla chiedevano, se non vivere a casa loro, nella loro città, tra quella che era la loro gente. Le Regie Poste, gli uffici amministrativi, abitazioni, statue, rioni, caseggiati, strutture ecclesiastiche e chi più ne ha più ne metta, andarono sgretolati nel giro di soli 37 secondi interminabili e da nessuno mai immaginabili.

Altri sismi degni di nota

È vero, dirà qualcuno anni dopo, nel corso dei secoli ci furono anche altri terremoti gravi, ancor prima del 1908. Uno su tutti il cosiddetto “terremoto di Castroreale dell’inizio del secolo 700”, 5.4 della scala Richter che colpì per forza di cose anche la città di Messina. Tra i vari ricordiamo anche i vari terremoti di Calabria dove ancora e sempre Messina, per la vicinanza geografica, ne subiva gli effetti non di poco conto.

Tornando al 1908 e al piccolo Carmelo

Tornando al ricordo limpido del piccolo Carmelo, durante i mesi a ridosso del tragico evento, cominciò a carpire cosa si stesse facendo e come si stesse operando. Fu preso in carico da alcuni parenti rimasti miracolosamente illesi durante il sisma. Rimase con loro fino al raggiungimento della maggiore età e decise di proseguire la sua giovane vita, da messinese, impegnandosi nel sociale e mettendosi al servizio della sua comunità. Altri ancora, che il piccolo Carmelo lo conoscevano bene, dissero che alla fine diventò un infermiere prestando la sua opera in quel che fu poi per tutti la culla della sanità messinese. Carmelo, cresciuto da questi parenti, passava i pomeriggi a guadare come pezzo per pezzo nasceva il già Regio Ospedale Piemonte, per molti noto come Ospedale Civico, che fu interamente finanziato dal comitato piemontese che con la ingente cifra per quel tempo (600.000 lire), contribuì alla costruzione di uno dei primi plessi presenti in città interamente pianificati in cemento armato.

Ospedale Piemonte visto da sud ( il suo retro) anno 1911

È chiaro che tra le macerie e il legname che regnava sul territorio, il cemento armato fu subito visto come soluzione risolutiva ai possibili futuri problemi sismici e quale azione lungimirante per un prosieguo di vita “normale” e soprattutto in sicurezza. L’ospedale Piemonte – racconterà negli anni ancora il piccolo Carmelo – raccolse l’eredità del Grande Ospedale di Santa Maria della Pietà, edificato a partire dal 1542, sull’area dove oggi sorge il Palazzo di Giustizia.

Messina con difficoltà oggettive cercò fin da subito di risollevarsi, come sempre la storia le insegnò a fare, ma in questo caso il processo non fu immediato. Il Governo del tempo, visto e considerato che molti uffici amministrativi, sia comunali che provinciali, andarono distrutti e venne persa molta documentazione pubblica, ordinò il trasferimento a tempo indeterminato (e fino a revoca governativa) degli stessi nella Città Regia del Castro Regale (oggi Castroreale), al tempo rientrante già nella provincia messinese.

Fu così – Carmelo raccontava ai propri assistiti durante lo svolgimento del proprio lavoro – che Castroreale venne designata quale sede di provincia, sostituendosi subito dopo il 1908, di fatto, alla vicina ed amica Messina, accogliendo moltissimi esuli messinesi con le loro famiglie al seguito.

Carmelo crebbe, e con lui, anche la sua passione per la storia, la storia della sua terra.

In un giorno di ordinario suo lavoro disse ad collega, anch’egli appassionato di storia locale: “Sapevi che il pulpito del nostro Duomo fu distrutto dal sisma del 1908 e ricostruito sulla copia esatta di quello presente nel duomo monumentale di Castroreale?” “No!” – rispose il collega – “sapevo che l’originale ancor prima era il nostro messinese e che sulla base del nostro fu copiato a Castroreale.E sai bene!” – aggiunse Carmelo –e fu fortuna che Castroreale precedentemente lo copiò esattamente dal nostro, perché nel terremoto del 1908 qui da noi, il nostro andò distrutto e l’unica copia fedele esattamente uguale restò in originale proprio quello di Castroreale! Da questo fu ricopiato l’attuale presente nel nostro Duomo.” “Per bacco!” – rispose il collega e aggiunse: “ma tu tutte questa cose come fai a saperle? Sembri più uno storico che un infermiere!Curiosità, semplice curiosità” – e abbassando lo sguardo aggiunse: “io ero piccolo, e la più piccola pietra che allora sentì sul mio corpo mi impose e mi portò alla conoscenza, a scoprire, ad essere interessato ad essa, perché se non lo fossi stato, tu stesso saresti rimasto all’oscuro su ciò che fu ed è la tua storia e la tua storia caro collega è la tua vita, il tuo nettare, la linfa per dare un futuro alle nuove generazioni. Magari un dì in questa misera vita, visitando te, i tuoi tardi nipoti, verranno devoti dove spento e sepolto sarai, ma verranno consapevoli di aver appreso da te un pezzetto di storia in più sulla loro terra, sulla loro zona e sulle loro vicende. Non credi?”

Facciata del Duomo di Messina distrutta

Il collega rimase perplesso, non sapeva che Carmelo aveva visto il padre e la famiglia morire sotto le macerie e  non poteva carpire la forza che aveva avuto a risollevare i ricordi da quelle stesse macerie, anche soltanto la storia, una di quelle che umilmente rimase ad ascoltare, accettando però l’idea che “bisogna passarci per capire” e mai sottovalutare e schernire gli effetti di una tragedia altrui.

Questo il tributo per i 112 anni dal tragico terremoto che colpì la nostra città, la nostra gente e i nostri luoghi più cari.

Fonte immagini: pagina Facebook Antica Messina

Fonte immagine evidenza: ArcheoME

Estratto da un articolo di Filippo Celi

Messina 1908 – 2018. La storia di un grande evento, il nostro

Orologio fermo alle 5.20, ora esatta dello scatenarsi del sisma della mattina del 28 dicembre 1908 (foto scattata nel già 1909)

Cosa fu, chiese il figlio al padre, aspetta disse il padre al piccolo.

Queste, silenti, brevi e semplici parole alle 5.15 di quella fredda mattina.

Soltanto cinque minuti dopo, nel momento in cui il bimbo stava per riprendere sonno, ad un tratto un boato, eccola, l’ira funesta della madre terra, che sprigionò tutta la sua forza laddove niente fu come prima. 

Tutto diventò altro, un tutt’uno tra inferno e paradiso, tra cielo e terra, tra acqua e fuoco, tra vento e quiete.

Messina subiva quello che noi oggi conosciamo come l’evento sismico più potente della nostra storia recente, uno di quelli che raggiunse il 7° grado della scala Mercalli, uno di quelli che vorresti essere nato in altro luogo del pianeta al solo pensiero.

Carmelo, questo il nome del bambino, si trovò dalla sua cameretta, dove discuteva col padre, a venire estratto dalle macerie della loro casa, del loro plesso, del loro rione. Quelle voci, quelle grida e quei lamenti, Carmelo li sentiva come fossero un sogno vissuto realmente al quale non diede molto peso, tanto in fin dei conti da lì a poco si sarebbe svegliato, pensò in cuor suo, per cui perchè preoccuparsi più di tanto…

Si rese conto nemmeno pochi istanti dopo che non era un sogno ma una realtà viva, attuale, vera più che mai. Lì iniziò a vedere con gli occhi di un bambino, quale lui era, tutto il dramma della vita: corpi riversi sotto i solai, sotto le travi e mobilia, mobilia ovunque, specchi rotti, legna, pietre, tantissime pietre, tutte le pietre del mondo dirà negli anni seguenti nei suoi racconti monotoni per i quali sarà financo schernito dalle future generazioni. 

Particolare degli interni di un appartamento in via Fossata nel 1909

 

Correva l’anno del Signore 1908 in quel di Messina, gia sede di provincia e prima tra le quattro città di distretto configurate nell’ottica borbonica dal punto di vista amministrativo. In ordine di importanza queste le quattro città già demaniali e di distretto in un tempo precedente: Messina, Castroreale, Patti e Mistretta.

Carmelo era figlio di quel tempo, figlio di quella terra ovvero di questa nostra stessa terra, Messina, la Sicilia, la nostra isola.

Diranno alcuni, figlio delle terre al di là del faro.

Così venivano intese infatti tutte le zone della Sicilia che non si trovavano “al di qua del faro” in cui ricadevano, geograficamente parlando, i centri della Calabria. Una dicitura già presente all’epoca borbonica e riportata per abitudine descrittiva nei vari passaggi di regno e/o annessioni territoriali.

Come lui, altre piccole anime, le quali nulla chiedevano, se non vivere a casa loro, in quella che era la loro città, tra quella che era la loro gente. Le Regie Poste, gli uffici amministrativi, abitazioni, statue, rioni, caseggiati, strutture ecclesiastiche e chi più ne ha più ne metta, andarono sgretolati nel giro di soli 37 secondi, interminabili e da nessuno mai pensati.

E’ vero, dirà qualcuno anni dopo, nel corso dei secoli altri furono i terremoti gravi ancor prima del 1908, basti ricordare uno su tutti il cosiddetto “terremoto di Castroreale dell’inizio del secolo 700”, 5.4 della scala Richter che colpì per forza di cose anche la città di Messina o i vari terremoti di Calabria dove ancora e sempre Messina per la vicinanza geografica ne subiva gli effetti non di poco conto.

Tornando al ricordo limpido del piccolo Carmelo, durante i mesi a ridosso del tragico evento cominciò a carpire cosa si stesse facendo e come si stesse operando. Fu preso in carico da alcuni parenti rimasi miracolosamente illesi durante il sisma e con loro alla fine crebbe negli anni successivi, almeno fintanto che non raggiunse la maggiore età e decise di proseguire la sua giovane vita, da messinese, impegnandosi nel sociale e mettendosi al servizio della sua comunità. Altri ancora, che il piccolo Carmelo lo conoscevano bene, dissero che alla fine diventò un infermiere prestando la sua opera in quel che fu poi per tutti la culla della sanità messinese. Carmelo, cresciuto da questi parenti, passava i pomeriggi a guadare come pezzo per pezzo nasceva il già Regio Ospedale Piemonte, per molti inteso Ospedale Civico, che fu interamente finanziato dal comitato piemontese che con la ingente cifra per quel tempo di lire 600.000, contribuì alla costruzione di uno dei primi plessi presenti in città interamente pianificati in cemento armato.

Ospedale Piemonte visto da sud ( il suo retro) anno 1911

 

E’ chiaro che tra le macerie e il legname che regnava in quel periodo, il cemento armato fu subito visto come soluzione risolutiva ai possibili futuri problemi sismici e quale azione lungimirante per un prosieguo di vita “normale” e ancor più vissuta in piena sicurezza. L’ospedale Piemonte, racconterà negli anni ancora il piccolo Carmelo, raccolse l’eredità del Grande Ospedale di Santa Maria della Pietà, edificato a partire dal 1542, sull’area dove oggi sorge il Palazzo di Giustizia.

Messina con difficoltà oggettive cercò fin da subito di risollevarsi come sempre nei secoli seppe fare, ma qui le cose andarono a rilento. Il Governo del tempo, visto e considerato che molti uffici amministrativi, sia comunali che provinciali andarono distrutti e venne persa molta documentazione pubblica, ordinò il trasferiemento a tempo indeterminato (e fino a revoca governativa) degli stessi in quel della Città Regia del Castro Regale (attuale Castroreale), al tempo rientrante già nella provincia messinese.

Fu così, Carmelo raccontava ai prorpi assistiti durante lo svolgimentio del proprio lavoro, che Castroreale venne designata quale sede di provincia, sostituendosi subito dopo il 1908, di fatto, alla vicina ed amica Messina, accogliendo moltissimi esuli messinesi con le loro famiglie al seguito.

Carmelo crebbe, e con lui, anche la sua passione per la storia, la storia della sua terra.

Pensa un po’ , in un giorno di ordinario suo lavoro disse ad collega, anch’egli appassionato di storia locale; sapevi che il pulpito del nostro duomo fu distrutto dal sisma del 1908? e ricostruito sulla copia esatta di quello presente nel duomo monumentale di Castroreale?” No! rispose il collega, sapevo che l’originale ancor prima era il nostro messinese e che sulla base del nostro fu copiato a Castroreale.. E sai bene”! aggiunse Carmelo, e fu fortuna che Castroreale precedentamente lo copiò esattamante dal nostro, perchè nel terremoto del 1908 qui da noi, il nostro andò distrutto e l’unica copia fedele esattamente uguale restò in originale proprio quello di Castroreale! Da questo fu ricopiato l’attuale presente nel nostro duomo ovvero nella Cattedrale di Messina.  Per bacco! rispose il collega; e aggiunse: ma tu tutte questa cose come fai a saperle? Sembri più uno storico che un infermiere! Curiosità, disse Carmelo, semplice curiosità e abbassando lo sguardo aggiunse: io ero piccolo, e la più piccola pietra che allora sentì sul mio corpo mi impose e mi portò alla conoscenza, a scoprire, ad essere interessato ad essa, perchè se non lo fossi stato, tu stesso saresti rimasto all’oscuro su ciò che fu ed è la tua storia e la tua storia caro collega è la tua vita, il tuo nettare, la linfa per dare un futuro alle nuove generazioni. Magari un dì in questa misera vita, visitando te, i tuoi tardi nipoti, verranno devoti dove spento e sepolto sarai, ma verranno consapevoli di aver appreso da te un pezzeto di storia in più sulla loro terra, sulla loro zona e sulle loro vicende. Non credi?

Facciata del duomo di Messina distrutta

Il collega rimase perplesso, non sapeva che Carmelo vide il padre e la famiglia morire sotte le macerie e non sapeva, non poteva carpire la forza che aveva avuto a risollevare i ricordi da quelle stesse macerie, anche soltanto la storia, una di quelle che umilmente rimase ad ascoltare, accettando però l’idea che “bisogna passarci per capire” e mai sottovalutare e schernire gli effetti di una tragedia altrui.

Questo il tributo per i 110 anni dal tragico terremoto che colpì la nostra città, la nostra gente e i nostri luoghi più cari.

La Redazione Cultura Locale coglie l’occasione dell’anniversario del terremoto per ricordare l’importanza della prevenzione e della cultura della sicurezza in ambito sismico ricordando a se stessa per prima che puntare sulla conosenza del rischio, sulla formazione della cittadinanza e quindi della società civile, rappresenta la differenza tra rischiare e rimanere illesi in caso di possibili futuri drammi, che noi tutti ci auguriamo mai più accadano, ma che certamante devono far riflettere sulle decisioni e progettazioni urbanistiche dei prossimi anni.

Auguri per un sereno e felice nuovo anno e arrivederci con nuove storie, vicende da quel ed in quel di Messina.

Fonte immagini: pagina Facebook Messina Antica

Filippo Celi