Introduzione
Quando la nostra mente inquadra l’idea del Natale, si trova dinanzi a un immaginario ben preciso. La natività, il calore della famiglia, l’albero, i baci sotto il vischio. Non vengono meno neanche certe sonorità, associate strettamente al clima natalizio. Sono molteplici, infatti, le canzoni entrate a far parte della tradizione invernale: non si tratta solamente di canti antichi come Bianco Natale o Adeste Fideles, ma anche di brani come Last Christmas degli Wham!; All I Want for Christmas Mariah Carey; Amazing Grace Aretha Franklin. Essi sono brani con un’importante risonanza musicale e culturale, che hanno a modo loro delineato i canoni per la composizione delle Christmas songs a venire. Ma è anche vero che, a loro volta, anche questi hanno una matrice comune: il gospel.
Prima, però, facciamo un passo indietro.

“Chi canta prega due volte”, diceva Sant’Agostino.
Musica e spiritualità sono strette in un binomio dall’alba dei tempi. Si pensi alle comunità preistoriche, che interpretavano il suono dei tamburi come il disperdersi dello spirito nell’immenso. O alla civiltà greca, che attribuiva a ognuna tonalità una frequenza in grado di guarire l’anima. L’uso di certe progressioni nell’Ave Maria di Gounod , poi, costituiscono una sorta di messaggio subliminale, un rimando alla grandezza divina. Il penultimo accordo è, infatti, un accordo di dominante che, tendendo verso la tonica, risolve su di essa. Risultato? Un sentore di tensione, di baratro gnomico momentaneo, che poi si riversa nella certezza dell’abbraccio sacro.
Oppure si pensi all’attribuzione dell’epiteto diabolus in musica, col quale si fa riferimento a un intervallo di tre toni interi che – dato al suono disarmonico che generava- era interpretato nel medioevo come prodotto del demonio. Anche il nome delle note musicali ha stampo religioso. Originariamente, il do veniva chiamato “ut”, primo vocabolo latino della preghiera rivolta a San Giovanni. Ancora, alcuni studiosi sostengono che la denominazione “do” derivi da “Domine“. È chiaro allora quanto la sfera liturgica sia dominante nel mondo musicale. E, trattato questo excursus, possiamo quindi soffermarci su uno dei generi portanti di quanto appena riportato: il gospel.
Il Gospel
Siamo posti dinanzi a una necessaria distinzione. Con il termine “gospel” si può fare riferimento alla musica spirituale della Chiesa afroamericana metodista degli anni trenta. Oppure, di una musica, che, pur mantenendo la matrice religiosa, viene suonata successivamente da artisti di vari etnie e culti religiosi a partire dagli anni successivi negli Stati Uniti d’America, specie nel sud. Il significato del termine gospel è infatti “God’ Spell”, vangelo.
La storia del gospel è intensa, intrisa di dolore ma anche di coraggio. I genere vede la sua gemmazione tra le zolle di terra delle piantagioni di cotone, dove donne e uomini neri ridotti in schiavitù erano privati di ogni diritto. Gli stessi campi che, peraltro, hanno visto nascere il blues, che prende il suo nome proprio dalla sensazione di tristezza che il colore indica in inglese. La storia della musica gospel ci racconta di uomini che non si sono arresi alla sottomissione e che, tramite il canto, hanno imparato a resistere, comunicare, costruire fughe verso la libertà. Proprio le canzoni che gli schiavi intonavano per arginare la fatica prendono il nome di work songs, caratterizzate da una dialettica domanda-risposta, estrapolata dalla tradizione clericale bianca. Una delle più note è This Old Hammer.
DNA del gospel natalizio
Un’antica tradizione come questa trova terreno fertile in quella della natività. Se il gospel incarna gli ideali di rinascita, salvezza e fede, gli stessi ideali celebra la festività natalizia. Un primo punto di contatto è infatti proprio il contesto. Ma, nel tempo, il gospel è sempre stato più associato al Natale anche grazie alla reinterpretazione corale di molti canti classici, come Silent Night , Joy to the world o Go tell it on the mountain.
Il processo di resa in chiave gospel è affascinante. Esso non si limita all’aggiunta di un coro, ma implica una vera e propria trasformazione musicale, ritmica ed emotiva. Un primo processo riguarda innanzitutto il ritmo. La contaminazione con il gospel porta a dinamizzare infatti i tempi semplici e gli andamenti regolari di molti brani natalizi, creando un ritmo nuovo, più elastico, più coinvolgente, attraverso tecniche come lo swing (o shuffle) o il backbeat marcato. Attraverso quest’ultimo si enfatizzano il secondo e il quarto movimento, riproducendo una struttura tipica della musica afroamericana. Fino poi ad arrivare ad aumenti di tempo progressivi. Il brano cresce mentre procede, creando tensione emotiva. Il gospel, inoltre, introduce armonie più ricche e moderne, spesso derivate dal jazz e dal soul, come accordi estesi (7ª, 9ª, 11ª, 13ª); modulazioni improvvise verso toni più alti; sostituzioni armoniche che rendono la melodia più calda e intensa; uso caratteristico del tritono e dei giri blues.

La voce nel Gospel
Ma il peculiare calore che le canzoni gospel emanano – che tanto si presta all’atmosfera invernale – è la voce. La voce diventa il vero centro espressivo: i solisti ricorrono a melismi, improvvisazioni e variazioni dinamiche. Il brano si arricchisce di energia espressiva e partecipazione emotiva. Attorno ai solisti, il coro costruisce un dialogo continuo, il classico call & response, che ricollega la tradizione natalizia alla spiritualità afroamericana e crea un senso di festa condivisa. Inoltre, gli arrangiamenti strumentali – pianoforte in stile gospel, organo Hammond, sezione ritmica e, talvolta, fiati – sostengono la progressione emotiva del brano, rendendo ogni melodia natalizia colonna sonora di una festa condivisa e gioiosa.
La vastissima eredità del gospel nella musica
Noi ascoltiamo gospel ogni giorno. Solo che non lo sappiamo. Un genere talmente coinvolgente, forte di una storia intensa, e suggestivo, non poteva che lasciare un’eredità musicale enorme. Anche artisti che suonano diversi generi sono accomunati dal gospel. Adele, Aretha Franklin, Beyoncé, Whitney Houston, Sam Smith: tutti loro sono pronipoti di questo genere antico e complesso. Ma non si pensi che il bagaglio culturale lasciato in dono dalla musica gospel sia esclusivamente tecnico. Esso contiene anche di un simbolismo ricco, che offre un’interpretazione della musica come spazio sociale, forza popolare e momento di libertà non infrangibile. Sebbene nato in un contesto specifico, il gospel è diventato una lingua universale e fruita da tutti, capace di attraversare generi, culture e generazioni. Un segno indelebile nel panorama musicale globale.
E non solo!
Le caratteristiche del gospel non sono state mutuate solo dalla musica moderna, ma anche dalla sfera pubblicitaria e cinematografica. Nella prima, vengono largamente utilizzate strutture gospel per amplificare un senso di calore e gioia. Cori, pattern domanda risposta e musiche accattivanti sortiscono un effetto ammaliante sullo spettatore. E, addentrandoci nel mondo del cinema, l’uso del gospel è ancora più strutturato. Film come Sister Act hanno portato il linguaggio gospel al grande pubblico trasformando brani liturgici in momenti musicali trascinanti; The Blues Brothers ha reso iconica la scena della chiesa con il coro guidato da James Brown, mentre The Preacher’s Wife ha mostrato il gospel come strumento narrativo per esprimere speranza e rinascita. In entrambi i mondi, la musica gospel funge da vettore per l’emotività. È una forma di comunicazione senza filtri, efficace e calorosa.

La comunità nera attraverso il gospel
Attraverso il gospel, la comunità nera viene spesso percepita come una collettività coesa, spirituale e profondamente resiliente. Le immagini più diffuse — il coro che canta all’unisono, l’energia contagiosa del culto, il legame visibile tra fede, musica e vita quotidiana — hanno contribuito a costruire nell’immaginario pubblico un ritratto di comunità solidale e vibrante, capace di trasformare il dolore in espressione artistica e la sofferenza in speranza condivisa. Questo sguardo esterno vede nel gospel una sorta di cuore pulsante della cultura afroamericana, un luogo in cui si intrecciano storia, spiritualità e appartenenza.
Federica Grasso