Il 19 dicembre 1843, Charles Dickens pubblica un libro che riscrive la storia della tradizione natalizia per come la conosciamo oggi: Il canto di Natale. Lo scrittore, già molto noto, stava lavorando a un saggio intitolato Un appello al popolo d’Inghilterra in favore dei bambini poveri, in cui esorta la nazione a prendere coscienza della situazione di sfruttamento in cui vivevano i bambini. Dickens stesso, a soli dodici anni, per aiutare economicamente la famiglia, lavora per dieci ore al giorno in una fabbrica di lucido da scarpe. Temendo però, che il saggio non avrebbe ottenuto l’effetto desiderato, decise di veicolare le stesse idee tramite un racconto che incarnasse lo spirito del Natale. Fu un successo strepitoso: il 25 dicembre tutta la prima tiratura andò esaurita. Nel 1849 Dickens iniziò la lettura pubblica della storia, che al momento della sua morte conta 127 apparizioni.

Com’è cambiato il Natale vittoriano
Nell’Inghilterra vittoriana, il Natale era festeggiato esclusivamente come festa sacra, perché i puritani disapprovavano le festività eccessive e le influenze pagane nelle celebrazioni. Inoltre, la maggior parte degli stabilimenti industriali e commerciali non permetteva vacanze durante il periodo natalizio; una grossa fetta della popolazione viveva in condizioni talmente povere che non c’erano soldi sufficienti da spendere in festeggiamenti e regali.
I carol singers (cantori di Natale) giravano di porta in porta per chiedere una piccola offerta, la gente li accoglieva con un misto di generosità e tolleranza, perché rifiutare poteva essere visto come un brutto auspicio per l’anno nuovo. Questa tradizione era più una forma di elemosina stagionale che di intrattenimento organizzato e rifletteva le profonde disuguaglianze dell’epoca: i più poveri cercavano di guadagnare qualcosa, mentre i benestanti offrivano un piccolo gesto per mantenere la pace sociale. Dopo il racconto di Dickens, la gente cominciò a vedere il canto di porta in porta come un rituale di buon augurio e gli ospiti iniziarono a offrire doni senza sentirsi obbligati.

Chi ha inventato l’albero di Natale?
Lo scrittore divide il merito di aver portato in auge l’albero di Natale con il principe Alberto, consorte della regina Vittoria. Il principe portò il primo albero in Inghilterra nel 1840, come una tradizione tipica del suo paese d’origine, la Germania. Lo scrittore descrive una tavola imbandita e un piccolo albero decorato, immagine che ha colpito i lettori e ha contribuito a trasformare una tradizione di corte in una consuetudine nazionale.
Lo scambio dei regali era già una tradizione praticata, ma a Capodanno. Dickens descrive lo scambio dei doni, soprattutto di giocattoli ai più piccoli, come parte integrante del Natale, tanto che la tradizione iniziò a spostarsi dal 1° gennaio al 25 dicembre.
Nell’Inghilterra vittoriana fare una grande festa con cena abbondante non era visto di buon occhio, perché dava l’impressione di voler ostentare ricchezza e opulenza; Dickens rovescia questa mentalità. Festeggiare il Natale con abbondanza di cibo non è ostentazione, ma amore per la propria famiglia e desiderio di ringraziare, e soprattutto di donare a chi ha di meno. Non è un caso che Scrooge, alla fine del racconto, compra un enorme tacchino alla famiglia Cratchit.

Il vero significato del racconto
Ebenezer Scrooge è il protagonista assoluto della vicenda: come ogni anno pensa solo al suo denaro e ai suoi affari, non si cura dei suoi parenti, del suo amico deceduto Marley e di chi sta peggio di lui. Dickens attraverso la visita dei tre spiriti (Natale Passato, Presente e Futuro), fa ripercorrere a Scrooge la sua vita come spettatore, mostrandogli che il suo egoismo ha causato solo tristezza e l’unico modo per rimediare è pentirsi e cercare di rimediare. Il protagonista è dinamico e profondamente umano: il suo cambiamento avviene solo dopo una profonda analisi interiore.
In particolare, Scrooge si stupisce quando il suo fidato impiegato, Robert Cratchit, lo ringrazia, nonostante abbia una paga minima e difficoltà a mantenere la sua numerosa famiglia. I Cratchit sono uniti e grati a quel poco che hanno, perché il loro legame familiare è forte. Ciò che accende la compassione nell’avaro Scrooge è TinyTim, il più piccolo dei figli di Robert; il bambino, gravemente malato, è speranzoso e prova compassione per chi sta peggio di lui. Scrooge giura di cambiare quando lo spirito del Natale futuro gli mostra che Tim è morto perché la famiglia non aveva soldi per pagare le cure.
Il protagonista, alla fine, capisce che la sua vita è stata vuota perché ha messo il denaro al posto del calore umano. Il Natale diventa il momento in cui le barriere sociali si dissolvono, la frase di Tiny Tim “Dio ci benedica, tutti noi!” è un invito a vedere l’altro come parte della stessa famiglia.

Una storia senza tempo
La storia di Dickens ha avuto più di 400 adattamenti, solo tra film e televisione, il primissimo un cortometraggio del 1901. Tra i più fedeli Scrooge del 1951, con Alastair Sim come protagonista.Nel 1988 arriva la reinterpretazione di Bill Murray in Scrooged, apprezzata per la lettura comica contemporanea. Nel 2009 La Disney produce A Christmas Carol, la versione animata in motion-capture di Robert Zemeckis, con Jim Carrey nei panni di Scrooge.Infine The Man who invented Christmas (2017), racconta come Dickens ha creato la storia senza tempo, ancora oggi simbolo del Natale stesso.
Giulia Rigolizio