Macbeth di Daniele Pecci: il tragico vortice del potere e dell’ambizione a Messina

«È brutto il bello, e bello il brutto, libriamoci per la nebbia e l’aer corrotto.»

        (Atto I, scena 1)

Con queste parole pronunciate dalle tre Streghe, Shakespeare apre uno dei suoi drammi più cupi e potenti, Macbeth. Scritto probabilmente tra il 1605 e il 1606, poco dopo l’ascesa al trono di Giacomo I d’Inghilterra (che era anche Giacomo VI di Scozia e aveva una nota ossessione per la stregoneria). L’opera è un’indagine spietata sull’ambizione umana, sul senso di colpa e sul modo in cui il potere corrompe irreversibilmente chi lo conquista con mezzi illeciti.

Macbeth, valoroso generale dell’esercito scozzese, riceve insieme all’amico Banquo una profezia da tre misteriose figure: diventerà thane di Cawdor e poi re di Scozia. Quando la prima parte della profezia si avvera quasi immediatamente, l’ambizione di Macbeth, e soprattutto quella di sua moglie Lady Macbeth, prende il sopravvento. Quello che segue è una spirale di sangue, paranoia, omicidi e allucinazioni che trasforma un eroe in tiranno e una donna forte in un relitto tormentato dal rimorso.

Perché Macbeth continua a ossessionarci

Perché parla di noi. Del desiderio di successo a ogni costo, della paura di perdere ciò che abbiamo conquistato con mezzi discutibili, del modo in cui le nostre azioni ci perseguitano. È un’opera politica (scritta in un’epoca di complotti e tradimenti), psicologica (l’inconscio prima di Freud) e addirittura horror. Non a caso Orson Welles la definì «una perfetta commedia nera».

Macbeth
Macbeth. © UniVersoMe

Macbeth di Daniele Pecci al Teatro Vittorio Emanuele di Messina

Abbiamo avuto il privilegio di assistere alla rappresentazione di Macbeth diretta e interpretata da Daniele Pecci al Teatro Vittorio Emanuele di Messina, in una delle serate del weekend dal 12 al 14 dicembre 2025. Questo allestimento, prodotto da United Artists, conferma Pecci non solo come un attore carismatico e versatile, ma anche come un regista capace di rileggere Shakespeare con uno sguardo contemporaneo e profondamente psicologico, senza tradire la potenza del testo originale.

La regia

Pecci sceglie un approccio essenziale e introspettivo, ambientando  l’azione principalmente in un “paesaggio mentale”. Niente ricostruzioni storiche dettagliate della Scozia medievale. Il palco diventa uno spazio onirico dove l’intero dramma si svolge quasi come un incubo interiore del protagonista, un viaggio nell’inconscio dove realtà e allucinazione si fondono. Le scenografie firmate da Carmelo Giammello sono essenziali, oscure, dominate da ombre, nebbie e elementi minimali che evocano un abisso interiore. Questa scelta rende la tragedia ancora più intima e claustrofobica, enfatizzando il tema dell’irreversibilità “Ciò che è fatto, non si può disfare”.  Il ritmo è incalzante, senza cadute di tensione, come se assistessimo al crollo di Macbeth dall’interno, un vortice che inghiotte lo spettatore. Una volta compiuto il primo crimine, Macbeth è intrappolato in una spirale da cui non può sfuggire.

L’interpretazione di Macbeth e Lady Macbeth

Daniele Pecci è un Macbeth straordinario, magnetico, tormentato, fisico. Non lo ritrae come un mostro dall’inizio, ma come un eroe valoroso che scivola progressivamente nella follia. La sua voce profonda e modulata rende i monologhi , dal celebre ” È un pugnale quello che vedo davanti a me?” al nichilista “Domani, e domani, e domani”, in momenti di pura intensità emotiva. Si vede il conflitto interiore, il senso di colpa che lo divora, la paranoia che lo trasforma in tiranno. È un’interpretazione stratificata  con un’energia fisica travolgente.

Al suo fianco, Sandra Toffolatti è una Lady Macbeth perfetta, fredda e manipolatrice all’inizio, con una determinazione ferrea che spinge il marito verso l’abisso, per poi crollare in una fragilità straziante. La scena del sonnambulismo  è da brividi! La sua voce tremante, i gesti ossessivi, il volto segnato dal rimorso la rendono una figura tragica e umana, lontana dagli stereotipi della “donna malvagia”. La chimica tra i due protagonisti è palpabile, soprattutto nelle scene intime, dove l’ambizione si mescola a una passione distruttiva.

Il cast corale è solido: Duccio Camerini (Duncan/Seyward), Gabriele Anagni (Malcolm), Vincenzo De Michele, Michele Nani e gli altri attori completano un ensemble compatto, con presenze forti nelle parti delle Streghe (ambigue e inquietanti, più spiriti del caos che figure folkloristiche). Una menzione speciale va agli attori di Banquo e Macduff, che hanno saputo dare vita a due interpretazioni di alta caratura teatrale.

Scenografia, luci, costumi e ritmo

Le scene di Carmelo Giammello sono minimali ma evocative. I costumi di Alessandro Lai mescolano elementi moderni a tocchi elisabettiani – abiti scuri, mantelli logori, armature stilizzate – dando un senso di atemporalità. Le luci, cupe e taglienti, creano un’atmosfera horror-psicologica, con bagliori improvvisi che accentuano le allucinazioni. Le musiche originali di Patrizio Maria D’Artista sono un valore aggiunto, suoni elettronici minimali, percussioni ossessive, echi che amplificano la tensione senza mai sovrastare il testo. Il ritmo è impeccabile, alterna momenti di quiete introspettiva a esplosioni di violenza, mantenendo alta l’attenzione.

 Conclusione

Questo Macbeth è una versione moderna, psicologica e viscerale che diventa attualissimo, parlando di ambizione tossica, potere corrotto, sensi di colpa che ci perseguitano, senza snaturarlo. Pecci dimostra maturità registica e attorale, Toffolatti è una partner ideale. L’allestimento al Vittorio Emanuele di Messina ha reso l’esperienza ancora più immersiva. Un Macbeth che non si dimentica facilmente: cupo, intenso, necessario.

Gaetano Aspa