Ci sono canzoni che arrivano quando non le cercavi, piccoli lampi che ti sorprendono in una giornata qualunque. Apri, come fai ogni giorno, TikTok o Instagram, ed eccole lì, pronte ad aspettarti.
E spesso sono proprio quelle scritte da chi non ha ancora un nome consolidato, da quegli artisti emergenti che vivono ancora “nel tremito del possibile”. È lì, in quella fragilità febbrile, che nasce la musica più vera, quella che non ha bisogno di sovrastrutture per entrare nella vita di chi ascolta.
Le nuove voci hanno un pregio raro: parlano senza sapere a chi parleranno. Per questo finiscono per colpire chiunque abbia un frammento di storia irrisolta da qualche parte. La loro autenticità è così disarmata da diventare universale, come le cinque canzoni che seguono, diventando così piccole epifanie sonore.
Ascoltarle significa riconoscere un pezzo di sé e ti accorgi che i loro racconti non sono solo loro, ma sono anche tuoi, sono anche nostri, sono di chiunque abbia avuto una storia abbastanza vera da restare appesa ai dettagli, come succede con le cose che hanno senso anche quando non lo dici più.
1. Eddie Brock – Non è mica te
Eddie Brock ha il talento crudele di ricordarci che si sopravvive a tutto, tranne a ciò che sembra passato ma continua a restare impigliato nel fondo della gola. La sua canzone è un altare costruito sulle mancanze: la paura di riaprire gli occhi e scoprire che chi amiamo non c’è più; il tetto dove “abbiamo fatto di tutto”, che diventa un luogo infestato di ciò che non si può cancellare; il gusto delle labbra che cambia, ma nonostante tutto, non ci consola.
Quello che mi colpisce è la sincerità
“Sono uscito questa sera con lei, ma mi sento in colpa anche se non dovrei.”
È come se dicesse sto facendo tutto giusto, ma niente è giusto se non ci sei tu.
E io, riascoltandolo, mi accorgo che capisco perfettamente quel filo che “non taglierei”, anche se tagliarlo sarebbe la cosa più sana.
È la magia crudele di Eddie Brock, prendere un dettaglio qualunque — un ristorante, un filo invisibile, un odore sulle labbra — e trasformarlo in una geografia emotiva.
2. Scar – Agosto
Scar scrive una canzone che sembra una fotografia scattata troppo tardi, quando il sole sta sparendo ma illumina ancora il bordo della finestra. La sua è una poesia costruita tutta nel passato imperfetto: eri, non sei.
Non è nostalgia, è il l tipo di riconoscimento che arriva quando un tramonto ti sorprende in un giorno qualunque e ti ricorda un’immagine che hai custodito fin troppo bene. Il ritornello non parla solo dell’altro, ma del modo in cui la mente torna dove ha imparato a sentirsi viva:
“Quando sei sola e pensi un po’ a me, a me e te.”
Anche se il mondo va avanti, anche se tutto è cambiato, la canzone sa che certe connessioni continuano a pulsare in qualche punto remoto, come quelle luci che restano accese dopo la chiusura di un locale.
Io, ascoltandola, mi sono chiesto quante volte due persone possano pensarsi nello stesso istante senza mai dirselo.
E quante volte succede che uno guarda un tramonto e pensa chissà se anche lei lo sta guardando.
3. Merlot – La danza delle seppie
Merlot costruisce un teatro fatto di rose sfrattate, labbra-vino, notti che scivolano tra i bicchieri rotti e la stanchezza di chi ha provato a rifarsi una vita con un copia incolla emotivo. E fallendo, ha imparato che gli amori intensi non lasciano mai copie fedeli.
Quando canta “io scemo qui che immagino un’altra che sia uguale a te”, racconta una verità scomoda: non si sostituisce ciò che ci ha cambiati. Si prova, sì. Si cammina accanto a qualcuno, si beve, si ride.
Ma a volte si sente ancora il fantasma di una primavera precisa, un maggio che torna appena fuori stagione.
Eppure la frase che brucia davvero è una delle più semplici:
“Ma che caldo fa amore mio stasera…”
È la nostalgia che arriva senza chiedere permesso, quell’istinto che ti fa girare la testa sperando di trovare ancora quell’altra persona dietro di te, come una presenza familiare.
4. Giovedì – Tutta questa pioggia
I Giovedì hanno quella grazia di raccontare gli incontri che non succedono mai davvero, ma che ci accompagnano lo stesso. La pioggia qui non è solo acqua, è una condizione dell’anima. È il punto in cui ci si accorge che ci sono persone che continuano a distrarti anche quando non fanno più parte del tuo quotidiano.
La frase “quando resto solo mi distrai” è una poesia in sé. Dice che ci sono volti che ritornano senza bussare, come toni, come abitudini, come risate che non si sentono più ma continuano a vibrare. E quando arriva
“dimmi dove nascondi quella cicatrice”
la canzone tocca un punto universale: le cicatrici, magari sul ginocchi sinistro, sono il luogo dove ci si riconosce davvero. Sono ciò che rende le connessioni rare, irripetibili.
5. Anna and Vulkan – Come fossero per noi
Questa canzone è costruita sul non detto un passo leggero in una stanza dove non si vuole disturbare nessuno, nemmeno il passato. Il napoletano aggiunge un pudore dolcissimo:
Nun me faccio capace ca nun è accussì.
Un modo per dire: Non riesco a farmene una ragione, ma non devo dirlo a nessuno. È la frase perfetta per dire non riesco ad accettare che le cose siano finite così. Una resa che non trova pace.
Il ritornello è un invito alla delicatezza: svegliarti senza fare rumore, non disturbare ciò che è stato, non pretendere. Conservare con cura, senza invadere. Quando canta
“li porterò come fossero per noi”
parla dell’attesa, di una porta che non si apre, di un sogno che non si avvera,
Di quel gesto in cui si continuano a raccogliere albe, istanti, riflessi, non per riviverli, ma per onorare ciò che hanno lasciato.
Chi ha amato con la parte più pulita di sé riconosce subito questa quieta malinconia. È un dolore buono, che non chiede più nulla e non pretende più niente.
In fondo, perché ascoltarle?
In un mondo che corre senza mai fermarsi, queste canzoni ci ricordano che alcune emozioni non obbediscono al tempo. Non svaniscono, non si archiviano, non chiedono approvazione, ma restano sospese, visibili solo a chi sa guardare davvero. Ascoltarle significa ritrovare la parte di sé che continua a vibrare, anche quando tutto sembra finito. E per un istante, basta un verso, un accordo, un silenzio tra le note, per sentirsi interi di nuovo.
Gaetano Aspa