Il “Padrino” dei Manga : Osamu Tezuka

Manuel Mattia Manti
MANUEL MATTIA MANTI
Arte & Cultura Pop
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“L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è.”

Mondi interiori, altrimenti sopiti, prendono forma in una riga o in quell’immagine. Eroi senza macchia e tormentati protagonisti danzano tra le pagine. Qui, come neve al sole, si consumano le loro storie. Noi lettori, moderni Ulisse, scegliamo di seguirli in quest’odissea d’inchiostro.

La lontana Itaca, di volta in volta, assume forme differenti. A malapena, distinguiamo le sagome degli edifici che, altezzosi, si stagliano all’orizzonte.

A guidarci, un demiurgo dal tratto deciso, ma elegante. La sua mano duetta con la matita, in un lento valzer su carta. Ecco prendere forma dei grandi occhi, cui fa da contorno un viso dai tratti delicati.

Questo buffo personaggio ci osserva da una vignetta che quasi appare come un piccolo palcoscenico. Il sipario si è appena aperto, sotto lo sguardo soddisfatto del suo regista.

Nel silenzio, contempla la sua opera, come un pittore soddisfatto.

Ma, seppur per qualche istante, allontaniamoci dal vecchio atelier. In fondo alla stanza, naufrago in un mare d’inchiostro, riposa un artista. Lo chiamano “Dio dei Manga” : è Osamu Tezuka.

 

Storia del manga di Fantascienza capitolo 1: Osamu Tezuka

UN DEMIURGO GENTILE

“I fumetti sono una lingua internazionale, possono attraversare confini e generazioni.”

Cristallizzare in poche righe una figura complessa come Tezuka non è agevole.

Animatore, mangaka, ma soprattutto un rivoluzionario. Forse è questa la parola che ci permette di cogliere l’essenza di un personaggio così sfaccettato.

Il disegno, per lui, è come “una piccola oasi nell’arido deserto della vita moderna”.

Addirittura, c’è chi lo definisce come una sorta di Walt Disney del Sol Levante. Non un riferimento casuale. Lo stesso “Padrino” del Manga, in gioventù, rimase folgorato dai primi progetti disneyani.

In ogni caso, è pur sempre il suo inconfondibile tratto a dettare il canovaccio dei suoi “film di manga”. Lui stesso definisce così quelle storie cui, moderno Prometeo, da forma.

Il lettore, sbalordito, s’immagina in un vecchio cinema. Un punto in lontananza, che quasi confuso con l’orizzonte, avanza verso l’incauto spettatore.

Via via che si avvicina, scorge la sagoma di una macchina. La scena sembra muoversi da sola, valicando i confini delle vignette. Sembra di essere ad una moderna rappresentazione cinematografica. Questo fu l’effetto d’una singolare innovazione.

Armato solo di una penna, Tezuka, aveva avviato una rivoluzione senza precedenti. Si parla ora di prospettiva, alternanze di piani e inquadrature ad angolo.

Nella “Nuova Isola del Tesoro”, con Pete, il demiurgo giapponese, ribalta i canoni. Il manga non è più solo una pagina statica, come immersa in un eterno istante.

In quel film su carta, già si notano i tratti distintivi del suo regista. Il ritmo lento, ma sostenuto. La regia, direttrice d’un valzer tra i pensieri del lettore. Sono queste le fondamenta di quell’immensa biblioteca che sarà la sua produzione letteraria.

Ogni linea, prodotta dalla sua instancabile mano, appare come il ritratto di mille e un pensiero. A guidarli, nell’immenso castello della mente, solo una fioca luce. Noi, lettori, seguiamo la rotta tracciata da ogni vignetta. A stento, però, ci rendiamo conto della vera Itaca di quest’odissea nell’inchiostro.

 

UNA COMPLESSA EREDITÀ

“Sono convinto che i fumetti non debbano solo far ridere. Per questo nelle mie storie trovate lacrime, rabbia, odio, dolore e finali non sempre lieti.”

Scrittore, ma anche architetto di universi. Come un pittore, Tezuka, riempie le nivee pagine. Prima quel tratto, ora quel colore sembrano parlarci.

Lì, ad esempio, si narra di un piccolo robot.

Ha le sembianze d’un bambino, ma la pelle d’acciaio. Astro Boy è l’archetipo dei personaggi nati dalla sua mano.

Acuto osservatore, in ogni sagoma, imprime scorci d’una tormentata umanità.

Fu fantascienza, poi dramma, quindi commedia. Ogni opera porta in vita racconti diversi. Il fumetto appare come un ponte che attraversa confini e generazioni.

 

Allontanandosi dalla caotica Metro City, ora, saluta Astro. Rifugiandosi nel verde della savana, Osamushi (“Insetto”, in giapponese. Il soprannome è retaggio del peculiare fascino del mangaka verso gli stessi) incontra Kimba. Poco dopo, invece, eccolo conversare con Toshiko, la “banale ed insignificante”, protagonista de “La cronaca degli insetti umani”. Ci presenta una realtà cruda, senza filtri.

D’altronde, a detta di Tezuka, l’insetto è come una piccola caricatura dell’uomo.

La sconfinata fantasia di Tezuka, fa sembrare la sua mente un enorme atelier.

Ogni suo pensiero è il pennello che squarcia la tela. Ogni tratto è come un piccolo frammento dell’anima dei suoi personaggi.

Tra i fogli, Astro Boy continua a volare.

Riflessa nei suoi occhi solo una sagoma. Così, l’affabile demiurgo, fa capolino tra costellazioni d’idee e tavole solo abbozzate. Al sorpreso lettore, consegna una bobina di sogni.

A farvi da cornice, delicate linee tra le quali si consumano drammi ed esperienze.

Tezuka fu, per i suoi personaggi, quello che Ochanomizu è per Astro. Un padre attento e riflessivo, che dedica loro l’abbraccio silenzioso di ogni tavola.

Il sipario si chiude. Il “Dio” dei Manga, scruta ancora dall’alto del suo Pantheon.

 

 

Manuel Mattia Manti