Bugonia

Bugonia: il film di Lanthimos parla di complottismo e paranoie

Giorgio Maria Aloi
GIORGIO MARIA ALOI
Film
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“Bugonia” è un film del 2025 diretto da Yorgos Lanthimos (regista di “Povere Creature”, “La Favorita”, ecc.). I protagonisti sono Emma Stone e Jesse Plemons. Il film ha debuttato all’82° Festival del Cinema di Venezia ed ora è arrivato al cinema il 23 Ottobre.

Trama

Due uomini ossessionati dalle teorie complottistiche rapiscono l’amministratrice delegata di una grande azienda (Emma Stone), convinti che sia un’aliena che vuole distruggere la Terra.

Il significato del titolo “Bugonia”

Il termine “bugonia” deriva dal termine greco βουγονία (bougonia) e indica un rito arcaico secondo cui le api potevano nascere dal corpo di decomposizione di un bue. Questo fa venire in mente un’immagine inquietante, ma coerente con lo stile e lo scopo di Lanthimos adottati in questa sua nuova pellicola. In poche parole, la trasformazione della morte in vita che racchiude esattamente il significato nascosto presente nel film. Bugonia fa proprio riferimento ad un episodio delle Georgiche di Virgilio, esattamente quello in cui il pastore e apicoltore Aristeo sacrifica due tori per far rinascere le api dalle loro carcasse.

Ancora una volta, Lanthimos propone una lettura in chiave moderna di un mito classico e lo fa con l’intento di parlare di temi attualissimi come il complottismo, la crisi ambientale, l’alienazione, le paranoie individuali e collettive, la disgregazione sociale, ecc. Tutto rappresentato con un linguaggio simbolico “alla Lanthimos”.

Fonte: Sentieri Selvaggi

Alcuni significati nascosti in “Bugonia”

Per capire meglio il film, ecco alcuni simbolismi presenti nel film e i messaggi nascosti dietro ad essi:

  • Il rapimento dei due complottisti: i due hanno rapito la CEO credendola un’aliena e hanno agito, in base alle loro credenze e al loro delirio. La realtà non è oggettiva, ma viene spesso interpretata, manipolata e ricostruita. Ciò di cui si pensa che sia “vero”, in realtà è solo la versione a cui si sceglie di credere;

 

  • la morte delle api: un richiamo ambientale e un forte segnale di implosione, ma che viene spesso ignorata. Questo porta a pensare ad una società sempre più incline al consumo, più globalizzata dalla tecnologia e che ha portato l’uomo ad essere sempre più disconnesso. Questa disconnessione sempre più pericolosa tra ciò che si produce e ciò che si pensa e la natura da cui si è circondati, può portare all’autodistruzione (avvertimento? profezia? unica soluzione per la salvezza?);

 

  • le azioni presenti: i rapitori sono figure marginali e disconnesse dalla società, che cercano un significato e un “rifugio” nelle loro teorie complottiste e nell’azione violente.

E’ chiaro che Lanthimos voglia semplicemente dire che il mondo in cui si vive sta affrontando un periodo in cui realtà, potere, natura e senso sono profondamente in crisi. Le credenze estreme, le teorie del complotto e la rabbia sociale sono sintomi e non cause. Se non si mette in discussione sé stessi e il sistema su cui si è dentro, si rischia di ritrovarsi in un rituale di morte dal quale nulla (o quasi) potrà rinascere. Avvertimento o forse, possibile soluzione che vuole comunicare il regista di “Povere Creature”?

Fonte: Sentieri Selvaggi

Bugonia grida “Lanthimos” da ogni lato, con diverse sfumature del suo stile che si incastrano tra loro

Mentre si guarda il film, il primo pensiero che viene in mente è “Si vede che è diretto da Lanthimos”. Il suo stile distintivo combina il grottesco, la satira, l’umorismo nero, le ambientazioni claustrofobiche e il visivo strambo, che costruisce un’atmosfera di tensione e di disorientamento. Il regista de “La Favorita” ha sempre voluto usare un linguaggio reso volutamente particolare, attraverso il simbolismo e il grottesco, per lanciare una critica alla società contemporanea e con dei riferimenti alla tragedia greca.

In “Bugonia” sembra che abbia voluto portare all’estremo tutte le caratteristiche del suo modus operandi, perché passa dal grottesco e dalla brutalità viste in “Kinds Of Kindness” al fantastico utilizzato in “The Lobster” e “Povere Creature”, con riferimenti al mito greco come ne “Il Sacrificio Del Cervo Sacro” rielaborati in salsa contemporanea. Tutti stili portati all’estremo che si incastrano tra loro in modo a tratti confusionario, come se non avesse una propria dimensione, ma che c’entra l’obiettivo dando un grosso impatto visivo ed emotivo.

Fonte: ComingSoon.it

Il comparto tecnico alla “Lanthimos”

Se si conosce la filmografia di Yorgos Lanthimos o si guarda “Bugonia” senza aver visto un suo film precedente, si capisce subito il suo stile, seppur sia reso volutamente “non alla portata di tutti”. La regia adottata qui funziona come un meccanismo che unisce il visivo e l’ideologico: non solo racconta la storia ma pone lo spettatore in una posizione di dubbio e disequilibrio, coerente con i temi del film. La regia è accompagnata da una fotografia che svolge un ruolo chiave nella definizione di estetica, tono e simbolismo visivo e ha un colore artificioso, che porta lo spettatore ad avere un senso di dislocazione e surrealtà e a percepire un contrasto tra ambienti. Non è solo coloratissima, ma funzionale per quel senso di minaccia e quel carattere allegorico presente nel film.

Il montaggio contribuisce a far sentire lo spettatore “intrappolato” insieme ai personaggi, per fargli provare un senso di angoscia che farà a cambio con un senso di disorientamento e una percezione di un ritmo disallineato. Per quanto riguarda la scenografia e i costumi non sono solo “elementi di contorno”. ma camminano di pari passo con la regia, la fotografia e il tema del film. Da non trascurare la colonna sonora che è una colonna vera e propria coerente con la pellicola, dando quel senso di atmosfera cupa e divenendo una parte della struttura espressiva.

Bugonia
Fonte: ilbolive.unipd.it

Emma Stone e Jesse Plemons lasciano il segno. Il finale è inquietante. Avvertimento?

Emma Stone non si smentisce neanche stavolta: alla sua quarta collaborazione con il regista greco, ha avuto modo di esprimere al massimo il suo talento nel ruolo di una CEO, abituata ad usare la violenza psicologica per tirare acqua al suo mulino (un riferimento ai potenti?). Jesse Plemons, invece, ha saputo interpretare in modo folle ed inquietante il ruolo di un complottista che rappresenta uno spaccato di una società e si fa schiacciare dalla paura, dando la colpa ai potenti per ciò che gli succede e che cerca rifugio nelle sue teorie.

Il finale non offre una speranza, al contrario: offre un’amara parabola. Il rituale a cui si riferisce il titolo del film diventa metaforico: la civiltà umana è in uno stato di decomposizione – corruzione, sfruttamento, distruzione ambientale – e da essa, può rinascere in una forma migliore. Si azzera tutto per ripartire. Ma cosa vuole dire Lanthimos con questo? Vuole avvertire il pubblico che si sta andando verso quella direzione? Per salvare l’umanità? E se è per questo, occorre smettere con questi comportamenti o forse quella soluzione drastica è l’unica “salvezza”? Il finale lascia questa libera interpretazione.

Giorgio Maria Aloi