Gli “Amori disperati” di Pavese

Quel po’ d’anima

“Le parole sono il nostro mestiere. Le parole sono tenere cose, intrattabili e vive, ma fatte per l’uomo e non l’uomo per loro.”

Così parla Cesare Pavese in una delle sue opere più celebri, quando racconta di quel “Mestiere di vivere” che fa apparire l’uomo quasi come un artigiano.

Prometeo, dalla sua argilla, creò l’uomo che, a sua volta, darà un contorno, sulla bianca tela, ad un inquieto mondo interiore. Proprio qui, il giovane Pavese scorge le sagome, tanto luminose quante distanti, delle moderne Pleiadi che lui, Orione dei nostri tempi, osserva in silenzio.

La prima di queste figure viene chiamata affettuosamente Milly. Lei, attrice, recita inconsapevolmente una parte nel primo atto della vita del poeta piemontese. Lui, dalla platea, la osserva di sfuggita e ogni suo sguardo è stenografo di una storia ancora al suo prologo.

“Quel poco d’anima” che conosceva della giovane bastò a scatenare una tempesta d’emozioni, che troveranno via d’uscita solo grazie alle lettere che il poeta le scriverà. Ma il giovane Cesare, “perduto sotto la pioggia”, per riprendere le parole di De Gregori, lo sa: l’acqua sbiadisce l’inchiostro.

E lui rimane lì, ai margini di una storia di cui a malapena riesce ad annotare non mere parole ma sguardi.

Sospinto oltre il suo porto sicuro, ormai, il tormentato cuore del poeta ha iniziato la sua Odissea, in un mare tutt’altro che quieto, rischiando di naufragare sugli scogli dell’incertezza.

Inquietudine, questa, che fa da preludio ai tormenti sentimentali del poeta, leitmotiv delle vicende che, su carta, prendono vita.

Carla Mignone, la “Milly” di cui ci parla il giovane Pavese

 

Sentimenti al confino

“Gli amori di un timido sono sempre più seri di quelli di uno sfrontato.”

Frase, quest’ultima, che meglio descrive la vita sentimentale dello scrittore.

Dall’inchiostro della sua penna, sembrano tracciati i confini di una parete invisibile”. Essa separa Pavese da colei che chiamerà, affettuosamente, la “Donna con la voce roca”.

Ma l’amore dello scrittore non riuscirà mai a varcare le sbarre della sua indifferenza, come il rapporto tra Stefano e Concia non supererà quelle dell’incomunicabilità e della solitudine.

Sullo sfondo, due storie (e altrettante delusioni), con lo stesso epilogo. Entrambi condannati per difendere la donna di cui si erano invaghiti. E allo stesso modo, nessuno dei due, riceverà la tanto attesa lettera dell’amata.

Ma, mentre l’esilio di Stefano è limitato alle righe di un romanzo, quello del poeta sbatte sulle catene della realtà. Anche quando potrà lasciare la Calabria, dove si trovava, le mura dell’inquietudine continueranno, però, a tracciare i contorni di un vero e proprio confino interiore.

E in questo enorme Panopticon, dal quale scorgiamo incertezze e sentimenti, palpita inascoltato il martoriato cuore di un Pavese ormai disilluso.

D’altronde, citando Werther, l’uomo felice è una creatura che dimora nella nostra fantasia. Qui è relegato in una prigione cui fa da sfondo, come quella “quarta parete” citata dal poeta, il placido mare dell’inquietudine. All’orizzonte nessun porto sicuro, l’ Odissea sentimentale dell’autore piemontese lo conduce per altri mari, mostrandogli altrettante rive.

Nella bufera, a tuonare è quello che Pavese stesso ricorda come un attimo di “lucida follia”, quando la Pizzardo rifiuta la sua proposta di matrimonio. Ma lo scrittore, dalla “Donna con la voce roca” non si separerà tanto presto. Anzi, negli anni a seguire, ella rimarrà musa di versi e parole.

Incanalati in una stilografica, fidata compagna, Pavese comincia così a delineare i contorni di quel che definirà “Il mestiere di vivere”.

Tina Pizzardo, la “donna dalla voce roca”

 

“Tu, Vento di Marzo”

“Il peggior modo di sentire la mancanza di qualcuno è starci seduto vicino e sapere che non lo potrai avere mai.”

Chissà a cosa pensava García Márquez, quando scrisse queste poche parole. Sembra quasi facciano eco all’ultimo atto della tormentata Odissea del poeta piemontese, definendo i tratti di una trama già vista.

A dipingerne il tema, ancora una volta, la solitudine. Ormai, ella è quasi una compagna inseparabile, ancor di più dopo quelle che, tra i versi, ricorderà come le “serate di Cervinia”.

È il periodo in cui ogni battito e tremore hanno un nome: quello di Constance Dowling, giovane attrice americana di cui il poeta s’invaghisce. La definisce “vento di marzo”: è lei che ridesta il “torrente del cuore”, ispiratrice di versi che scandiscono le sue ultime, monotone, giornate.

Moderna Beatrice, “Connie” rappresenta l’aurora di una vita ormai al crepuscolo, avvinta da quel “vizio assurdo” che, infine, vincerà Pavese.

Ma la giovane ritorna in America, lasciando incompiuta la sceneggiatura di una vita con lo scrittore. Copione che ci parla, a tratti, di un Leandro dei nostri tempi, separato, non solo fisicamente, dalla sua Ero, a causa della lontananza. Leandro morirà in balia delle acque, come Pavese naufragherà nel mare del suo stesso dolore.

Chissà se, nel leggere le ultime battute di questa tragedia, Connie si fosse resa conto che, nei pensieri di Pavese, la morte aveva i suoi occhi color nocciola.

Il poeta e l’attrice, Constance Dowling

 

 

Manuel Mattia Manti

 

 

Fonti

https://www.sololibri.net/amori-donne-Cesare-Pavese-libri.html

https://www.unionesarda.it/3-minuti-con/cesare-pavese-e-lamore-per-tina-la-donna-che-voleva-essere-solo-unamica-irft6zil

https://www.ingenere.it/articoli/pioniere-tina-pizzardo-anticipo-sui-tempi

https://rivistasavej.it/lung/2016-2020/lamore-secondo-cesare-pavese-7b5ca736c081

https://glicineassociazione.com/cesare-pavese-e-lesperienza-del-confino-in-calabria/

https://www.harpersbazaar.com/it/cultura/libri/a37490166/constance-dowling-chi-e-amante-pavese/

https://www.ultimavoce.it/constance-dowling-lultimo-amore-di-cesare-pavese/

http://www.torinocittadelcinema.it/pdf/prono2.pdf