Confini Fonte: UVM © Taobuk 2025

Confini

Valeria Vella
VALERIA VELLA
Eventi
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Cosa sono i confini?

Questa domanda mi è balenata più volte nella mente, nell’ultima settimana.

Conosco la risposta, o, almeno, ho sempre creduto di saperla.

Prima di questo Taobuk, infatti, li immaginavo come limiti, solidi e invalicabili. Per una persona come me, poi, decisa e irremovibile per quanto riguarda gli spazi personali, avevano anche un ché di sacrosanto.

Non è un concetto del tutto sbagliato. È un bene trovare la propria dimensione e stabilire dei paletti – morali – oltre cui non far spingere chi ci circonda. Ma finisce di esserlo nel momento in cui i confini si fanno muri, più che porte.

Le porte si possono aprire, chiudere e accostare. E presuppongono una volontà: quella di oltrepassarle.

I muri, invece, ci ingabbiano e isolano, impedendoci di vedere aldilà della loro altezza.

Territoriali, ideologici, sociali, psicologici… I confini sono un prodotto umano, intangibili e temporanei.

Qualunque sia la loro natura, questa quindicesima edizione del Taobuk ci ha insegnato quanto sia necessario varcarli.

In modo da conoscere. Gli altri, il mondo e, soprattutto, noi stessi.

Solitudine

Peter CameronFonte: UVM © Taobuk 2025
Peter Cameron
Fonte: UVM © Taobuk 2025

«Molto spesso, il concetto di solitudine viene confuso con il sentirsi soli. Devo dirvi, io amo molto la solitudine e trascorrere del tempo da solo. Ma mi ci sento davvero quando sono in mezzo alle persone»

così ha esordito Peter Cameron, autore di “Un giorno tutto questo dolore ti sarà utile”, durante il suo intervento del 21 giugno, “La letteratura luogo di empatia”.

Tale constatazione ha acceso un interruttore dentro il mio petto. Ho annuito alle sue parole, più che concorde. Vi sfido ad affermare di non aver provato lo stesso almeno una volta nella vostra vita.

Nel mio caso, temo che quella sensazione, più che solitudine, fosse riconducibile alla paura di vedermi ignorata, e quindi di essere incompresa e rifiutata.

Ricordo bene il silenzio che pareva circondarmi in quelle situazioni, e il rombo assordante del mio cuore che andava a riempirlo. Sembrava che mi fosse stato consegnato uno spartito diverso rispetto a quello degli altri, e che, suonandolo, avessi fatto una grande gaffe.

La solitudine, però, non è il mostro incombente dell’insicurezza, né, tantomeno, la mancanza di reciprocità. E come Peter, anche io l’ho amata e continuo a farlo.

C’è del positivo nel suo vuoto, nell’assenza di corrispondenze, quasi fosse uno spazio bianco che può essere colmato, in cui far proliferare a ruota libera i propri pensieri.

In questo senso, la solitudine dovrebbe essere accolta, perché è in essa che accogliamo proprio noi stessi, permettendoci di riflettere e ascoltare il nostro flusso.

Il confine fra solitudine e sentirsi soli, per me, risiede qui: nella natura di quel silenzio.

Luce

Susanna TamaroFonte: UVM © Taobuk 2025
Susanna Tamaro
Fonte: UVM © Taobuk 2025

«L’umanità aspira a riconciliare il mondo: attraverso la scrittura»

Questo quanto è stato detto da Susanna Tamaro, una delle autrici più emblematiche del panorama letterario contemporaneo.

Secondo la sua visione, la scrittura abbatterebbe i confini in quanto porta l’uomo nella profondità del suo cuore. Un cuore metà luce, metà ombra.

È il valore salvifico della parola a impedire che l’oscurità umana – che esiste e non può essere negata – prevalga.

Conosciamo benissimo il ruolo che i libri, come veicoli di principi, hanno rivestito nella nostra storia. Non è un caso, infatti, che più volte, in passato, siano stati condannati, banditi e distrutti. Sono uno strumento potente, un ponte fra le civiltà. Garantiscono una conoscenza plurale che consente di rimuovere i filtri precostituiti che abbiamo assimilato e che ci sono stati imposti, per poter così vedere il mondo in maniera più chiara, critica. Nella sua vera – o quantomeno, verosimile – essenza.

La letteratura, quindi, non solo illumina, ma è generatrice di libertà.

Ne è conferma l’esperienza di un ragazzo iracheno, che la scrittrice ha portato alla nostra attenzione.

Letti nel mercato di Bagdad, sono stati proprio i libri di Susanna a ispirare la sua fuga, e a donargli la forza di abbandonare una terra buia per approdare in prospettive di vita migliori.

Odio

Massimo RecalcatiFonte: UVM © Taobuk 2025
Massimo Recalcati
Fonte: UVM © Taobuk 2025

«L’odio è sempre una negazione del dialogo, o può essere, talvolta, un appello estremo a essere visti, ascoltati e riconosciuti? Esiste una funzione utile e trasformativa dell’odio?»

È stata la domanda che ho posto a Massimo Recalcati, durante la nostra intervista.

Sebbene la sua risposta («L’odio è una spinta ad annientare l’altro. Non c’è mai un punto di appagamento in esso») abbia le sue più che assodate e lecite motivazioni, mi sento, almeno in parte, di non condividerla.

D’altronde, come scriveva Jung:

«Tutto ciò che ci irrita negli altri, può portarci a capire noi stessi».

E se il conflitto che proiettiamo all’esterno non è altro che interiore, mi chiedo se, allora, veramente non ci sia in esso del positivo.

L’odio non è mai la giusta strada percorribile, ma fermarsi a ricercarne le origini potrebbe essere un punto di partenza da cui cominciare a guardarci dentro e, magari, risolverci.

Vuoto

Amélie NothombFonte: UVM © Taobuk 2025
Amélie Nothomb
Fonte: UVM © Taobuk 2025

«La bellezza si nutre di mancanza»

ha sostenuto Amélie Nothomb, quando, il 22 giugno, ha incontrato il suo pubblico nell’evento “Dove i confini si dissolvono e il significato emerge”.

La nota scrittrice belga faceva riferimento all’ambito artistico e, nello specifico, a quello europeo. Un’arte che, in contrapposizione all’estetica orientale, risulta essere satura, ricca di elementi.

Una complessità che celerebbe una intrinseca paura: quella del vuoto.

Così come nell’arte, anche nella vita di tutti i giorni ci riempiremmo di impegni frenetici e irrinunciabili, perché timorosi di uno sprazzo libero che, se improficuo, non avrebbe alcun valore.

In un mondo in corsa, dove tutto è calcolabile, razionale, temporalizzabile e orientato al guadagno, dovremmo arrestarci e riconciliarci con la lentezza, una vacuità che, seppur tale, potrebbe solo giovare.

Benessere

Vittoria LombardoFonte: UVM © Taobuk 2025, Confini
Vittoria Lombardo
Fonte: UVM © Taobuk 2025

Anche nel male c’è una punta di bene. E, talvolta, è vitale riuscire a rintracciarlo.

Quando soffri di una patologia aggressiva e potenzialmente invalidante o mortale, è difficile rimanere ottimisti. Come si potrebbe, concretamente, esserlo?

In soccorso, in tali situazioni, giunge Victoria’s cells, un progetto che coniuga arte e scienza per fornire a chi è in difficoltà una nuova prospettiva da cui guardare la malattia.

«Un metodo per veicolare il benessere, inteso come, soprattutto, studio del bello»

ha spiegato la sua creatrice, Vittoria Lombardo, nel dialogo “Oltre i confini del visibile”.

«Attraverso analogie evocative tra il mondo cellulare e la realtà», si legge sul suo sito, i pazienti verrebbero condotti in un percorso che, non solo punta alla conoscenza circa gli aspetti clinici della propria condizione, ma anche alla sua accettazione.