A Complete Unknown

A Complete Unknown merita davvero l’Oscar?

Carla Fiorentino
CARLA FIORENTINO
Film
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A Complete Unknown
Grande prova attoriale da parte di Timothée Chalamet, ma la scelta minimalista della regia di Mangold risulta in una narrazione priva d’intensità. Ma è davvero degno delle sue nomination agli Oscar? – Voto UVM 3/5

Ė al cinema dallo scorso 23 gennaio A Complete Unknown,  l’attesissimo biopic su Bob Dylan.

Una fatica di durata quinquennale quella di Mangold – basata sul soggetto di Elijah Wald nel libro Dylan Goes Electric! (2015) – ora nominata Best Picture e Best Adapted Screenplay agli Academy Awards.   

Si tratta di uno dei titoli più chiacchierati dell’ultimo anno: vuoi per l’attrattiva del cast (Timothée Chalamet, Elle Fanning, Monica Barbaro), vuoi per la grande campagna promozionale dedicatagli, vuoi per il fascino enigmatico di un’icona come Dylan (nientemeno che uno dei produttori esecutivi del film), e per un’interpretazione che è valsa a Chalamet una nomination ai Golden Globe e ai prossimi Oscar.

Sinossi

New York. 1961. Il ventenne Robert Zimmerman arriva dal Minnesota, per incontrare il suo idolo Woody Guthrie, malato in ospedale, per inserirsi nella scena folk del periodo. Nasce Bob Dylan: mito costruito su mezze verità e reinvenzioni continue, ispirato da due amori tormentati e diventato la voce che ha incendiato gli animi di una generazione stravolgendo la scena folk in un solo iconico momento: Il Newport Folk festival del 1965.

A complete Unknown
una scena di A Complete Unknown di James Mangold (2024) (Searchlight Pictures, The Walt Disney Company Italia)

A Complete Unknown tra alti e bassi

Bob Dylan è notoriamente un tipo enigmatico: “un incrocio tra un chierichetto e un beatnick” come lo definisce una storica recensione del New  York Times del ‘61.

Si parla di un personaggio privo di quei tratti eroici che ci si aspetta dal protagonista di un biopic. E se si unisce una personalità estremamente ermetica ad un ambiente asettico, circondata da personaggi privi di ogni sviluppo, la narrazione cola a picco.

Calato in un’America in fermento che vuole abbattere e ricostruire la sua identità culturale, il film abbonda di indizi storici ricorrendo all’espediente di telegiornali, radio e quotidiani. 

Eppure, osservando il comportamento del protagonista, allo spettatore non arriva mai l’urgenza della lotta sociale che ha mosso la carriera di Dylan. Mentre la si percepisce meglio nelle due protagoniste femminili, emotivamente più coinvolte negli eventi socio-politici del tempo. 

La narrazione scorre lenta e lineare, con pochi dialoghi e ancor meno azione. L’unico momento di picco si ha a un passo dalla fine: il Newport Folk Festival del ‘65. Qui troviamo una scena che sfiora il ridicolo, con un pubblico così furibondo da sembrare una parodia, e vari cazzotti sganciati dietro le quinte nel tentativo di sabotare lo spettacolo. Un exploit d’azione alla spaghetti western totalmente fuori luogo, ma che almeno rende bene l’eccezionalità del momento.  

A Complete Unknown
una scena di A Complete Unknown di James Mangold (2024) (Searchlight Pictures, The Walt Disney Company Italia)

L’amore in A Complete Unknown 

Tormentate vicende sentimentali diventano qui un semplice susseguirsi di eventi di cui il cantautore muove le fila. Ė un flipper infinito tra Joan e Sylvie senza alcun margine evolutivo da parte delle due donne. Bob fa ciò che vuole e nessuno gli chiede spiegazioni. Il problema non sta nell’interpretazione di Monica Barbaro e di Elle Fanning, che sono invece degne di nota, ma sta nella resa cinematografica di dinamiche amorose così complicate.

Un’interpretazione da Oscar

Timothée Chalamet ha dovuto sfoderare la sua poliedricità come mai prima: interprete, voce di ogni traccia presente nella pellicola e co-produttore del film. 

La caratteristica ermetica e ambigua e l’umorismo sfacciato del cantautore sono ciò su cui Chalamet ha puntato di più nella sua interpretazione. Grande lavoro sullo studio della voce, della mimica facciale, della cinesica e dello staging: dal modo in cui tiene la sigaretta a quello in cui suona la sua Fender, alle unghie lunghe solo nella mano destra fino alla postura ricurva e ai suoi famosi “dead eyes”. 

Chiunque salga sul palco e voglia catturare l’attenzione deve essere un po’ strano, la gente non deve smettere di guardarti, devi essere come un incidente d’auto.

A Complete Unknown
una scena di A Complete Unknown di James Mangold (2024) (Searchlight Pictures, The Walt Disney Company Italia)

A Complete Unknown: un’overview sul lavoro di Mangold

Dopo il successo di Walk the Line sulla vita di Johnny Cash, Mangold torna al genere biografico. La fotografia è minimalista, senza movimenti di camera e sequenze elaborate. Vediamo luci fioche e gialle in ambienti interni cupi e ombrosi. L’elemento luminoso non è stato sfruttato granchè, mantenendosi su un’illuminazione d’ambiente priva di personalità. 

La palette del film privilegia colori come il giallo e il beige, e il legno norvegese – trend iconico dell’interior design dell’epoca – domina scenografie storicamente accurate e piacevolissime all’occhio.

La scelta di fare un uso quasi esclusivamente diegetico della musica è coerente col soggetto ma poco funzionale allo storytelling: allo spettatore non viene offerta nessuna hint sulla carica emotiva dei personaggi nei vari momenti della narrazione. Per capire cosa stia succedendo di fronte a lui ad ogni scena, lo spettatore deve contare unicamente sui dialoghi – per giunta anch’essi ridotti all’osso.

A Complete Unknown: Il folk che raggiunge tutti

Il folk che raggiunge tutti” è il vero protagonista dell’opera di James Mangold. Un genere che cambia insieme alla società, che dà voce alle lotte generazionali, e che per questo non può essere limitato ai brani di repertorio, ma deve poter innovarsi. Questa la mission del nostro protagonista, questo il mantra dell’intera opera. La musica di Dylan ci parlava di progresso quando nessuno era disposto a guardare al di là del proprio naso. Fino a quel ‘65 in cui Bob Dylan portò sul palco la sua Fender elettrica e cambiò per sempre la storia della musica.