
Pulp Fiction, un gangster movie in cui i dialoghi sovrastano le armi. Voto UVM: 5/5
È con la schermata seguente che Quentin Tarantino decide di aprire il suo secondo film, cambiando la sua vita e quella di tutto il cinema. Pulp Fiction è stato scritto da Tarantino e Roger Avary nel 1993 e solo un anno dopo è arrivato nelle sale di tutto il mondo. Oggi questo cult compie 30 anni ed è tornato in sala in una versione restaurata in 4k.

IL CONCETTO DI “CINEMA” PER TARANTINO
Tarantino si nutriva di cinema, ne conosceva ogni sfaccettatura, ed è per questo che ha deciso di mettere insieme quelle poche cose che possedeva: follia, amore e passione, per creare qualcosa di mai visto prima.
Parlare di Pulp Fiction significa essere disposti a cambiare la visione di ciò che noi credevamo fosse “cinema”.
Non esiste più un buono, un brutto o un cattivo ma solo uno sporco e deplorevole cerchio della vita, ricco di crudeltà, violenza ed erotismo.
PULP FICTION: LA TRAMA È COSÌ IMPORTANTE?
Se dovessimo utilizzare una semplice visione oggettiva potremmo classificare Pulp Fiction come un “gangster movie” che cavalca la stessa onda (più romanzata) dell’opera prima di Tarantino: Le iene. Questa visione però è eccessivamente limitante; l’atmosfera gangster è solo il contorno di questo dipinto.
Il film racconta 6 eventi tutti concatenati fra loro e caratterizzati da dialoghi intriganti, riflessivi, divertenti e soprattutto PULP!
Tutte le azioni svolte dai nostri personaggi sono messe in secondo piano. Sono le parole, infatti, ad influenzare i protagonisti (e il pubblico) più che le loro singole gesta, talvolta estreme e grottesche.

PERCHÉ LO CHIAMIAMO CULT?
Perché un film confusionario, senza una vera trama e politicamente scorretto è diventato l’emblema dei film cult?
Non esiste una vera risposta, non vi è un significato ovvio che fa di Pulp Fiction una pietra miliare del nostro cinema. Ciò che ha permesso a questo film di spiccare il volo e rubare la scena a tutti gli altri film sono stati i dettagli maniacali e impercettibili che Tarantino ha inserito all’interno della pellicola.
Lo spettatore riesce ad entrare dentro lo schermo, venendo ipnotizzato da qualcosa che con fatica riesce a capire, poiché invisibile all’occhio umano. E anche alla quarta o quinta visione questo film “sputa” dettagli da far accapponare la pelle. Ogni minimo particolare è capace di procurare un “orgasmo visivo” e perpetuo. Per non parlare poi delle scene iconiche entrate nella storia come “Ezechiele 25.17” o il Twist di Vincent e Mia.
Parallelamente alle scene diventate storiche vi sono poi delle imponenti colonne sonore che oggi riconducono tutte a questo film come Misirlou di Dick Dale, You never can tell di Chuck Berry e molte altre…

LE MARIONETTE DI QUENTIN TARANTINO
Il talento del nostro regista si fonde in maniera osmotica con la potenza espressiva dei nostri attori. L’impulsività di Ringo e Yolanda (Tim Roth e Amanda Plummer), la divertente stupidità di Vincent Vega (John Travolta), la sadica ironia di Jules Winnfield (Samuel L. Jackson), la sensualità e l’insoddisfazione di Mia Wallace (Uma Thurman) e la determinazione di Butch Coolidge (Bruce Willis) riescono a dare vita ad una messa in scena che raffigura perfettamente il niente.
Proprio così, i nostri attori riescono a dare significato ad un film che non porta a niente, nessun obiettivo, nessun messaggio morale, nessuna investigazione sull’ambito sociale ma vero e proprio intrattenimento strategico ed intelligente.
PULP FICTION È IL FILM PERFETTO?
Cosa può portare un film ad essere considerato perfetto? Ogni risposta sarebbe superflua, non esiste veramente un film perfetto. Ciò che caratterizza Pulp Fiction è l’intelligenza e lo studio che c’è dietro ad ogni scena, ripresa, inquadratura o dialogo. Tarantino dimostra che per quanto gli studi di formazione possano essere importanti, la passione batterà sempre ogni manuale.
È con Pulp Fiction che Quentin ci permette di andare oltre i canoni classici del cinema: l’arte non necessita di un teorema o un postulato ma solo di amore e, questo, ci dimostra Tarantino, non viene insegnato in accademia ma nasce dentro ognuno di noi.
«Ezechiele 25,17. Il cammino dell’uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre; perché egli è in verità il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare e infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farò calare la mia vendetta sopra di te.»
di Pierfrancesco Spanò