Narciso

Narciso e l’iconoclastia dell’essere nell’era digitale

Giusy Lanzafame
GIUSY LANZAFAME
Cultura
narciso Ovidio

Nel vasto e affascinante pantheon della mitologia classica, il mito di Narciso, delineato da Ovidio nelle Metamorfosi, assurge a paradigma universale dell’alienazione ontologica: una condanna immanente all’autoreferenzialità, all’invalicabilità di un ego che si erge a unico orizzonte dell’esistenza.

Narciso, epifania vivente di una bellezza irraggiungibile, sprofonda nella contemplazione estasiata di un’immagine che non è altro se non la più effimera delle proiezioni: un riflesso acquoreo, ambiguo e inattingibile, che, anziché rispondere al suo desiderio, lo intrappola in un circolo vizioso di aspirazione vana. Così, il giovane, preda di una passione insostenibile e sterile, è condannato all’autodistruzione.

Narciso
NarcissusGerard van Kuijl
Fonte: commons.wikimedia.org

Tale vicenda, benché figlia di un contesto arcaico, assume un valore di straordinaria contemporaneità. Prefigura, con inquietante lucidità, l’impasse esistenziale dell’individuo moderno, dominato da una pervasiva estetizzazione dell’identità e da un culto dell’immagine che non conosce confini.

Narciso, oggi, si riflette nella glaciale levigatezza di una superficie digitale, resa ancora più alienante dalla sua natura perennemente manipolabile.

I social media si configurano come templi moderni consacrati all’auto-idolatria. Sono spazi immateriali in cui l’essere non è più condizione, ma spettacolo, non più sostanza, ma parvenza. Ogni frammento dell’esistenza, da quello più triviale a quello più intimo, si consacra in una liturgia visiva che soggiace alle logiche ferree della visibilità e della gratificazione collettiva.

Tuttavia, ciò che si cela dietro tale parossistica ricerca di approvazione è una forma sottile di alienazione.

L’immagine non è più specchio dell’essenza, bensì una maschera (come direbbe Pirandello) cesellata per sedurre lo sguardo degli altri. È un artificio estetico che svuota l’identità del suo significato più autentico. Come Narciso si illudeva di poter abbracciare il riflesso, così l’individuo contemporaneo tenta invano di trovare appagamento in una rappresentazione illusoria e costantemente mediata.

La frenesia di accumulare consensi digitali surroga l’intima consapevolezza del proprio valore, riducendo il riconoscimento di sé a un meccanismo di valorizzazione esterna, perpetuo e inesorabile. Come Narciso, l’individuo digitale si abbandona a una solitudine siderale. L’essere non trova compimento, ma si dissolve in un riflesso illusorio, incapace di affrancarsi dalla sua prigione speculare.

La metafora del mito si estende, inoltre, quale critica implacabile alla superficialità che ha invaso ogni recesso della modernità. Se lo specchio d’acqua che intrappola il giovane nella sua tragica fascinazione è metafora del vuoto, altrettanto lo è lo schermo digitale. L’immagine, sottoposta a un’alterazione continua e plasmata dalle aspettative sociali, si traduce in un’ombra frammentaria dell’identità umana.

Questa dinamica di dipendenza dall’approvazione esterna esacerba la solitudine dell’individuo, che, nonostante sia immerso in una marea di connessioni virtuali, rimane prigioniero di un isolamento esistenziale. Diviene, in tale prospettiva, incapace di un autentico incontro con l’altro.

E così, il mito di Narciso si conferma come una profezia amaramente lucida sulla dissoluzione dell’essere in un’epoca dominata dall’illusione della propria immagine.

Io sono io! L’ho capito, l’immagine mia non m’inganna più!

Per me stesso brucio d’amore, accendo e subisco la fiamma!

Che fare? Essere implorato o implorare? E poi cosa implorare?

Ciò che desidero è in me: un tesoro che mi rende impotente.

Oh potessi staccarmi dal mio corpo!

Voto inaudito per gli amanti: voler distante chi amiamo!

Ormai il dolore mi toglie le forze, e non mi resta

da vivere più di tanto: mi spengo nel fiore degli anni.

No grave non mi è la morte, se con lei avrà fine il mio dolore;

solo vorrei che vivesse più a lungo lui, che tanto ho caro.

Ma, il cuore unito in un’anima sola, noi due ora moriremo.

(Ovidio, Le Metamorfosi, Libro VIII)

 

 

Fonti:

mediterraneoantico.it