Medicina, verso l’accesso senza test. Fioccano i primi dubbi

Gabriele Nostro
GABRIELE NOSTRO
Attualità
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La maggioranza politica ribadisce di avere a cuore l’Università, impegnandosi per risolvere le più discusse questioni correlate. Dopo aver sciolto il problema del voto degli studenti fuorisede, infatti, ora il Parlamento sta operando per modificare l’iter d’accesso ai corsi di Medicina.

L’affare è davvero complesso e su di esso sono state condotte argomentazioni secolari; al centro sempre il confronto tra il valore del diritto allo studio, la necessità di formare una classe lavorativa in numero utile e i bisogni della società in generale, troppe volte posta a conflitto con la cronica assenza di medici nel settore pubblico.

Medicina, il nuovo iter per la selezione

Come scrivevo, appena qualche giorno fa il comitato ristretto della Commissione istruzione del Senato ha dato il via libera al testo base per la riforma dell’accesso al corso di laurea in Medicina.

La riforma – o rivoluzione, che dir si voglia – basa sul principio nuovo per cui: il primo semestre sarà frequentabile da tutti, senza test d’accesso, mentre sarà il passaggio al semestre successivo a essere condizionato dal superamento di dei requisiti.

In termini valoriali si prevede un totale ribaltamento del paradigma; non sarà più il famigerato e criticato super esame a distinguere meritevoli e immeritevoli di prevalere, quanto (prevalentemente) il profitto accademico vero e proprio da inscrivere durante i primi mesi del corso.

I suddetti requisiti da superare non sono ancora perfettamente delineati, e sono certamente passibili di modifica, tuttavia si preannuncia che avranno proprio a che vedere con il superamento dei primi esami, le votazioni conseguite e infine un test su base nazionale diverso dall’attuale.

La promessa di investimenti ulteriori

Si può poi leggere come una promessa di attenzioni economiche ulteriori la successiva parte del testo legislativo. Che recita:

“In coerenza con il fabbisogno di professionisti determinato dal Servizio sanitario nazionale”, si dovranno “individuare le modalità per rendere sostenibile il numero complessivo di iscrizioni al secondo semestre”, anche “attraverso il potenziamento delle capacità ricettive delle università, nel rispetto di standard innovativi relativi alla qualità della formazione”.

Ergo, in funzione delle necessità previste nel mondo del lavoro, si promette di adeguare il flusso di selezionati e, di seguito, la grandezza e la cifra delle strutture didattiche, la numerosità dei corsi e l’assunzione dei docenti adibiti all’insegnamento.

Gli scettici e le loro ragioni

Come al solito, però, se da una parte si pongono quelli che accolgono la riforma come un successo, dall’altra si pongono gli scettici; i quali, adducendo svariate ragioni, contestano una generale insostenibilità della rivoluzione.

E un’insostenibilità particolarmente riferita all’investimento iniziale, e un’insostenibilità largamente riferita al mantenimento e allo sviluppo della riforma.

Con quali fondi si presume di acquisire nuove strutture e nuovi docenti per il futuro ordine degli studenti di medicina? Siamo certi che gli aspiranti medici saranno in numero coerente – e non eccessivo – per coprire il fabbisogno di medici dell’Italia di domani? Sono i dubbi più frequenti.

Il numero di posti a Medicina è stato progressivamente aumentato, per il nuovo anno oltre i 20mila in Italia. Siamo passati da una carenza assoluta, e quando lo dicevamo anni fa nessuno ci ascoltava, alla frenesia di aumentare continuamente i posti. Nel 2034 avremo 132mila medici attivi in più rispetto a oggi: aumentare a dismisura i medici non serve senza la giusta programmazione, se non abbiamo abbastanza infermieri, se non rendiamo più attrattive le specialità e le discipline che non vengono scelte oggi“. Afferma, per esempio, Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo.

Cui si accoda Ivan Carrara, segretario regionale della Fimmg (sindacato dei medici di medicina generale) e coordinatore del polo didattico di Bergamo del Corso di formazione specifica in Medicina generale:

“far laureare troppi medici creerà il rischio di una generazione di disoccupati, i migliori se ne andranno all’estero. Tra l’altro, nei primi sei mesi non si affrontano esami clinici, ma corsi come Fisica o Chimica: non sembra una soluzione particolarmente efficace”.

Conclusioni

Poco da aggiungere di sostanziale. Probabilmente – riconosciute le buone intenzioni – tutto starà alla matematica cui gli operatori burocratici si rifaranno per eseguire la riforma. A calcoli errati ed eccessive libertà d’accesso potrebbe conseguire un esubero di laureati, cioè una fascia di inoccupabili. A calcoli esemplari potrà invece conseguire la risoluzione totale dei problemi da una vita sollevati.

Altro elemento da notare è l’alternativa per gli studenti che dovessero essere scartati dal nuovo meccanismo di selezione.

Sarà opportuno che loro – all’inizio del secondo semestre accademico – vengano muniti della facoltà di virare verso un corso “suppletivo” senza nuove perdite di tempo.

Già è prevista la possibilità di esprimere una preferenza preventiva sul corso eventuale in cui approdare. Sarà bene che il morbo burocratico non si interponga per rendere a rilento il sontuoso meccanismo nazionale di scorrimento delle graduatorie.

Comunque, per lo stato processuale delle cose, si prevede che la riforma entri in vigore non prima dell’anno accademico 2025/2026. Per il 2024/2025 dovrebbe restare ancora in vigore il test.

Gabriele Nostro