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Giovani insoddisfatti? Uno studio ISTAT dice di sì

Attualità
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Proprio ieri, il 20 marzo, si celebrava la Giornata mondiale della felicità. Quell’emozione passeggera che, con un senso di soddisfazione, gioia e serenità, riempie la vita di ognuno. Ma, purtroppo, secondo i dati del World Happiness Report, l’Italia non è poi così felice. Infatti, ci troviamo al 33esimo posto, ben due posizioni indietro rispetto all’anno scorso.

Che sia dovuto all’insoddisfazione riscontrata in particolar modo nei giovani?

I dati Istat parlano chiaro: tra i giovani dai 14 ai 19 anni, circa 220 mila i ragazzi avvertono frustrazione e malcontento per la propria vita. Queste sensazioni sono principalmente dovute ad uno scarso benessere psicologico e ad un senso di inadeguatezza causato dal non sentirsi parte di qualcosa sia nelle relazioni famigliari (8,9%) che nelle relazioni amichevoli (16,1%).

Anche il tempo libero sembra non accontentare più i ragazzi e le ragazze, che preferiscono vivere in maniera quasi insonorizzata, a tratti passiva, rimanendo sospesi in una realtà dove la speranza per il futuro viene meno. Infatti, molti scelgono di sparire, di osservare tutto da uno schermo freddo e sterile trascurando la parte più umana di loro stessi. E ciò è provocato dal mancato senso di appartenenza manifestato dagli adolescenti.

Ma come dice l’autore Alessandro D’Avenia:

I ragazzi di oggi non sono né migliori né peggiori di quelli di ieri e quando gli adulti decino di esserci, in corpo e spirito, loro fioriscono. Perché, come ogni germoglio curato, hanno trovato terra in cui metter radici e nutrirsi di vita buona.

Dunque, sarebbe sufficiente prendersi cura di se stessi e degli altri come se fossimo piante. Trovare radici salde a cui aggrapparsi nei momenti difficili, un buon terreno fertile dove assorbire tutti i valori necessari per diventare uomini e donne migliori… E acqua fresca per purificarsi da tutti quei veleni che provano a turbare la nostra anima.

E i giovani universitari come se la passano?

La situazione non è delle migliori, infatti più volte si è sentito parlare delle difficoltà lamentate dai giovani lungo il percorso universitario. A maggior ragione nell’ultimo periodo, dove i tristi fatti di cronaca ne sono l’esempio più tangibile. La paura di fallire e di deludere genitori, parenti e amici è la causa principale che provoca infelicità, ansia e difficoltà psicologiche.

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Fonte: Flickr. Autore: Università di Pavia

Un sondaggio eseguito da Skuola.net dimostra come gli universitari, per sfuggire alla pressione familiare e per tranquillizzare gli altri, tendono a mentire sulla propria carriera universitaria: circa uno studente su tre ammette di averlo fatto per non angosciare la famiglia, perchè si vergogna di non essere all’altezza oppure per evitare lo scontro. Più è difficile la situazione più le bugie potrebbero aumentare e andare fuori controllo. Il 32% degli intervistati vorrebbe confessare, ma l’angoscia di riconoscere il fallimento farebbe troppo male.

Ad allarmare però è il 25% che ritiene di poter essere preda di uno stato di disperazione che potrebbe sfociare anche in un gesto estremo.

È forse giunta l’ora di intervenire?

Non è più possibile aspettare il prossimo tragico epilogo, bisogna trovare un modo per fermare o limitare questo fenomeno che rischia di arrivare a un punto di non ritorno. Il 46% degli studenti vorrebbe che passasse il messaggio che la laurea non sia necessariamente sinonimo di successo. Solo il 15% di questi vede utile incrementare il supporto psicologico da parte degli atenei, mentre uno su tre vorrebbe un approccio più umano e comprensivo da parte delle Università.

Ciò non significa mettere da parte lo studio, perché è con forza di volontà e dedizione che i risultati arrivano. Bisognerebbe solo ricordarsi che il voto non rappresenta la persona, né questa è definita dal numero di esami dati o di bocciature ricevute.

Infine, sarebbe anche necessario porre un freno alla domanda più temuta tra tutte… «Ma quando ti laurei?»

Serena Previti