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Referendum e forma di governo: l’incontro con Andrea Morrone

Universome Redazione
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È questo il titolo del seminario, tenutosi giorno 10 novembre 2022, presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche dell’Ateneo di Messina.

L’incontro è stato moderato dal Prof. Alberto Randazzo, promotore ed organizzatore dell’iniziativa, con la presenza di un ospite importante: Andrea Morrone, Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna.

Il seminario ha avuto ad oggetto una recente opera del Prof. Morrone, il suo libro “La Repubblica dei Referendum. Una storia costituzionale e politica (1946-2022)”, che racconta importanti fasi della storia repubblicana attraverso il prisma dell’istituto referendario.

Il Prof. Randazzo, ringraziando i presenti (tra i quali vi erano anche alunni del Collegio Superiore “Sant’Ignazio”), ha introdotto l’oggetto della relazione del Prof. Morrone, che ha discusso del suo Volume.

Nello specifico, ci si è soffermati in via preliminare sul referendum del 1946, che costituisce anche l’avvio della ricerca. Come si sa, in quell’occasione, gli italiani, reduci dal periodo fascista, furono chiamati a scegliere tra due regimi politici: Monarchia e Repubblica, con la vittoria di quest’ultima.

Come ha ricordato il Prof. Randazzo prendendo spunto dal libro, “il dato saliente emerge nel periodo storico che va dal 1970 al 2022, dalle cui statistiche si evince che ci siano state 666 proposte di referendum abrogativi e 23 costituzionali”.

I votati furono 73 e, di questi, ben 34 sono andati a vuoto a causa dell’astensionismo (uno dei limiti del referendum).
Il referendum – come lo definisce Morrone – costituisce il “sottotesto” della storia della Repubblica.
A tal proposito, come ricorda il Prof. Randazzo richiamando l’opera di Morrone, in Assemblea costituente, fu prezioso il contributo di Costantino Mortati, che propose l’introduzione di questo istituto al fine di creare e rafforzare l’interconnessione tra cittadini ed Istituzioni politiche; esso si riteneva necessario, come sostiene Andrea Morrone “contrastare quelle sfasature fra partiti ed opinioni pubbliche”.

Il Prof. Randazzo ha poi rivolto due domande all’autore:
“Colmare questo gap tra rappresentanti e rappresentati è ancora possibile attraverso il referendum, dal momento che la società è mutata e si è digitalizzata?”. Si fa riferimento al concetto di disintermediazione delle nuove tecnologie.
“Il referendum può, tutt’oggi, svolgere quell’originaria funzione per la quale è stato pensato da Mortati, visti i partiti odierni, lontani da quelli di un tempo?”.

Snodo cruciale e, al contempo, filo conduttore dell’intera opera è il rapporto tra referendum e partiti; questi ultimi temevano che l’istituto referendario, in quanto espressione di democrazia diretta, potesse avere delle ripercussioni in negativo sulla democrazia rappresentativa nel nostro Paese.
Stessa preoccupazione fu manifestata quando Mortati, nella Seconda Sottocommissione, avanzò la sua proposta, che infatti venne molto ridimensionata. Come si sa, si ammise soltanto il referendum abrogativo.

Dunque, al centro del libro vi è questo gioco di forze, questo rapporto complicato tra referendum (espressione di democrazia diretta) e partiti (espressione di democrazia rappresentativa), rapporto che a prima vista potrebbe sembrare connotato da scontri e contrapposizioni. Tuttavia, gli stessi partiti si sono serviti dello strumento referendario, fino ad abusarne.

Come ha affermato il Prof. Morrone, il referendum è stato funzionale e “servente da sempre alla democrazia rappresentativa”. Questo strumento, dunque, è stato recepito ed utilizzato come acquisizione di consensi ad uso partitico (si fa cenno ad una vicenda che coinvolse Berlinguer)
“Qual è il senso più profondo e l’intento di questa ricerca storiografica?”, si chiede l’Autore.

Il Prof. Morrone, illustrando il suo libro, ricorda che quest’ultimo è una prosecuzione di una ricerca condotta con Augusto Barbera nel 2003; nel concreto, trattasi di una storia dei referendum. Lo scopo dei due studiosi era quello di colmare un vuoto, contrapponendo al mero approccio formale dei giuristi – tra i quali, Vittorio Emanuele Orlando – un metodo giuridico, costruito attraverso la contaminazione di altre scienze (sociologia, storia).

Ecco perché il sottotitolo è “Storia costituzionale e politica”, volto a collocare l’istituto referendario nel contesto storico-politico e costituzionale del Paese. La scelta del titolo ha, tuttavia, una duplice funzione: entrare in un rapporto dialogico e al tempo stesso di netta contrapposizione rispetto all’opera “La Repubblica dei Partiti” di Pietro Scoppola, storico della sinistra democristiana.
L’idea è quella di attenuare la centralità dei partiti nella storia della Repubblica italiana, soprattutto del ’900, mettendo in luce il ruolo del referendum. La modernità c’insegna come l’unico modo possibile di concepire la politica sia stato quello di organizzare gli individui (il popolo definito bambino, privo d’identità, “massa informe”) in forme politiche (partiti). Da qui, il referendum concepito solo per abrogare una legge vigente. Benché non vi sia di fatto un referendum propositivo, è emerso come, nel concreto, quello abrogativo abbia indirettamente anche avuto una funzione di stimolo per l’introduzione di nuove leggi.

Benché, come introduceva il Prof. Randazzo, solo alcuni referendum abbiamo raggiunto il quorum di validità, è importante focalizzarsi sul ruolo di questo strumento che ha segnato tappe importanti nella storia del nostro Paese, in termini di innovazioni sul piano sociale e sul piano politico.

Come ha detto Morrone, si è avuto “un processo di costruzione della nostra cultura che è fatto non solo di partiti, ma anche di istanze popolari, cittadini, movimenti, gruppi sociali che si sono fatti promotori di notevoli iniziative”.
Molti gli spunti di riflessione che hanno animato il dibattito finale.

Ylenia Zirilli