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L’invio delle armi in Ucraina accende una forte tensione nel M5S. Di Maio accusato da una parte del partito

Redazione Attualità
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Il Movimento 5 Stelle nelle ultime ore sta respirando aria di crisi: Luigi Di Maio ha scatenato il dissenso del consiglio nazionale del partito con la sua posizione in merito alla questione dell’invio delle armi all’Ucraina.

Scontro tra Di Maio e una parte del M5S di cui Conte si è fatto portavoce (fonte: www.ilmessaggero.it)

La bozza che ha innescato gli scambi di accuse tra i pentastellati

I pentastellati avevano subito il crollo nelle elezioni amministrative svoltesi pochi giorni fa e ora si ritrovano davanti a uno scontro interno. “Non si proceda, stante l’attuale quadro bellico in atto, ad ulteriori invii di armamenti che metterebbero a serio rischio una de-escalation del conflitto pregiudicandone una soluzione diplomatica”: così recita il passaggio principale della bozza stilata dal M5S per il 21 giugno, giornata in cui sono previste le comunicazioni del premier Mario Draghi per il Consiglio europeo del 23-24 giugno.

Il contenuto del testo, da cui si è originato l’acceso dibattito, ha iniziato a circolare, nella mattina di venerdì 18 giugno, tramite alcune agenzie di stampa, quando Di Maio e i viceministri, rispettivamente, dell’Economia, Laura Castelli e, allo Sviluppo Economico, Alessandra Todde si trovavano a Gaeta per presenziare un evento della Confcommercio di Frosinone.

Nella bozza era stata fatta una premessa che si soffermava soprattutto sulla durata ormai consistente del conflitto e sul fatto che questo si stia trasformando in una guerra di logoramento.

L’Italia, secondo quanto emerso tramite il testo, per i sostenitori della linea contraria all’invio di altre armi, dovrebbe rafforzare la sua azione diplomatica.

Proprio da Gaeta sono state scagliate le prime accuse, la viceministro Castelli è stata la prima ad esporsi sulla pubblicazione della bozza redatta da alcuni membri del partito: «Io di sicuro non voterei una risoluzione, qualora presentata dal mio gruppo, che va fuori dalla collocazione storica dell’Italia».

Castelli è nota per essere vicina a Di Maio, perciò le sue dichiarazioni non potevano che essere di biasimo rispetto alle critiche mosse al ministro degli Esteri, il quale ha, subito dopo, risposto in maniera più netta al contenuto della bozza, generando l’escalation di tensione all’interno del partito:

«C’è una parte del Movimento che ha proposto una bozza di risoluzione che ci disallinea dall’alleanza della Nato e dell’Ue, la Nato è un’alleanza difensiva, se ci disallineiamo dalla Nato mettiamo a repentaglio la sicurezza dell’Italia.».

Di Maio è convinto della sua posizione favorevole all’invio dell’armi, considerandolo un dovere rispetto all’Alleanza Atlantica.

Successivamente, il viceministro Todde, si è, invece, espressa in difesa e a favore della linea ufficiale adottata dal resto del partito anche in relazione allo stesso testo. Con lei d’accordo anche Michele Giubitosa, il quale aveva parlato di “fango sul Movimento 5 Stelle” e “punto di non ritorno”, per poi, nei giorni successivi essere ancora più deciso nelle sue critiche:

«È gravissimo che un ministro degli Esteri, in un periodo di guerra delicato come quello che viviamo, alimenti un clima di incertezza e di allarme intorno alla sicurezza del proprio Paese, accusando con delle palesi falsità la sua stessa comunità politica di attentare alle sue alleanze e credibilità internazionale.».

Così, nella giornata di ieri, ha avuto inizio la resa dei conti tra Giuseppe Conte, postosi a portavoce di tutti coloro che sono contrari alla scelta di Di Maio sulla questione relativa all’Ucraina, e quest’ultimo.

 

La lotta per la leaderhip

Tra Conte e Di Maio, però, lo scontro si era acceso già qualche mese fa, precisamente lo scorso gennaio, durante le votazioni per il presidente della Repubblica. Gli attriti erano stati smorzati solo in virtù delle elezioni amministrative.

Quella di ora è solo una ripresa di dissapori già in atto, che, in realtà, vanno oltre l’attuale decisione in merito alle armi per l’Ucraina: lo scontro è per la leadership nel Movimento.

Per l’ex premier, Di Maio non oserebbe criticare le scelte di Draghi, rinnegando alcuni importanti principi del partito, per tornaconto personale: il ministro degli Esteri vorrebbe assicurarsi la possibilità di un altro mandato, in vista delle prossime elezioni politiche del 2023. A breve, gli iscritti al M5S, verranno consultati per votare sulle regole del partito in merito proprio al doppio mandato. Conte e Beppe Grillo sperano che le regole non cambino. Dunque, i prossimi giorni saranno decisivi per le sorti del partito, non sono escluse scissioni.

«Mi sorprende molto che mentre Draghi è a Kiev, Di Maio tiri fuori beghe interne al M5S. – ha detto Conte – Oggi il nostro ministro degli Esteri ha rischiato di sporcare questo passaggio di Draghi, questa visita così importante, che il M5S ha chiesto a gran voce perché l’Europa deve essere protagonista verso un negoziato di pace. Mi sorprende che il ministro degli esteri tiri fuori beghe che rischiano di indebolire il governo.».

Il no all’invio di nuove armi all’Ucraina è un tema caldo per il Movimento, ormai da mesi. Conte aveva votato a favore all’inizio del conflitto, per iniziare a schierarsi contro solo in un secondo momento, fino a farsi principale portavoce di questa corrente di pensiero nel partito. La maggioranza stava cercando di arrivare a una risoluzione che facesse accordare tutti i pentastellati, venerdì scorso c’era stato un incontro proprio tra gli esponenti che avevano deciso di rinviare il dibattito sulle armi alla giornata di oggi e che avevano fatto sapere di non ci sarebbe stato “un testo separato”, ma poi sono iniziate le accuse reciproche, il giorno dopo, a partire da Gaeta.

 

Di Maio rischia l’espulsione dal partito?

Durante la scorsa notte, si è svolta una riunione notturna dei 14 membri consiglio nazionale del M5S, durata più di quattro ore. Si pensava che l’esito di tale incontro potesse portare all’espulsione di Di Maio dal partito. La questione è stata “congelata”. L’ipotesi, ventilata durante tutta la giornata di ieri, era stata rafforzata dalle parole del vicepresidente del Movimento, Riccardo Ricciardi, che aveva definito il ministro “un corpo estraneo” e che si auspicava dei provvedimenti ai danni di questo. Si pensava persino che Di Maio potesse anche auto-espellersi, vista la rottura che si era verificata. Però, per ora, il Movimento ha scelto di perseguire la stabilità che sembra comunque vacillare.

Uno dei partecipanti alla riunione ha chiarito che con la bozza che aveva riacceso la crisi nel partito non si voleva in alcun modo mettere in discussione la posizione dell’Italia nella linea euroatlantica.

È stato discusso della risoluzione che dovrà essere votata al Senato domani e dopodomani, 21 e 22 giugno: il movimento non sarà di impedimento alla scelta sull’invio delle armi, si cercherà solo di premere per una una de-escalation militare e perché venga mantenuta la centralità del Parlamento.

Lo scontro nel Movimento è stato messo in stand-by, ma potrebbe riaccendersi presto e forse per mano dello stesso Beppe Grillo. Nelle scorse ore, il fondatore del partito è ritornato sulla questione della regola dei due mandati, che “previene il rischio di sclerosi del sistema di potere, se non di una sua deriva autoritaria, che è ben maggiore del sacrificio di qualche (vero o sedicente) Grande Uomo”.

 

Rita Bonaccurso