Ketamina: non una semplice droga

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Qual è la prima cosa che vi viene in mente quando si parla di “ketamina”? Probabilmente una serata in discoteca un pò ”particolare”. Tuttavia la ketamina è una sostanza di sempre più di largo uso anche negli ospedali. No, i medici non hanno alcuna intenzione di “sballare” i propri pazienti, ma la utilizzano nei casi in cui è necessario indurre e mantenere una anestesia, soprattutto in campo traumatologico e pediatrico. Negli ultimi tempi, si sta rivelando anche un ottimo alleato per la cura degli stati depressivi.

Indice dei contenuti

  1. Meccanismo di azione
  2. Storia della ketamina
  3. La ketamina in ambito ospedaliero
  4. Versatilità della ketamina
  5. La ketamina come antidepressivo
  6. La ketamina come droga d’abuso
  7. Principali pericoli
  8. Conclusione

Meccanismo di azione

La ketamina è un farmaco analgesico-dissociativo ed è l’unico composto della famiglia delle arilcicloesilammine (comprendente altre sostanze psicoattive) approvato per uso medico. Per “sostanza dissociativa” si intende un tipo di allucinogeno in grado di provocare uno stato di alterazione mentale simile al fenomeno psicologico della dissociazione, in cui alcuni processi psichici rimangono disconnessi dal restante sistema psicologico dell’individuo. Tra effetti psicoattivi di queste di sostanze si possono includere profonde modificazioni delle percezioni sensoriali e stati simili a trance, sogno, near-death-experience ed estasi.
A livello farmacologico la ketamina espleta la sua azione attraverso il bloccodel N-metil-D-aspartato (NMDA), un recettore dell’acido glutammico presente sulla membrana delle cellule nervose. L’antagonismo del recettore NMDA induce analgesia prevenendo la trasmissione del dolore attraverso i neuroni del midollo spinale ed è proprio questa sua azione che ne ha rivelato anche i potenti effetti contro la depressione.

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Storia della ketamina

La ketamina è stata sintetizzata per la prima volta nel 1962 da Calvin L. Stevens, professore di chimica presso la Wayne State University nonché consulente della Parke-Davis (una sussidiaria della nota compagnia farmaceutica Pfizer). A seguito di promettenti esperimenti preclinici sugli animali, la ketamina è stata testata sull’uomo (i test si svolsero su dei prigionieri) nel 1964. Le ricerche hanno dimostrato che la breve durata d’azione della ketamina e la sua ridotta tossicità la rendevano preferibile come anestetico rispetto alla fenciclidina (PCP).
I ricercatori hanno proposto di chiamare lo stato indotto dall’anestesia da ketamina come “sognante”, ma la definizione non piacque alla Parke-Davis. Mrs. Edward Domino, moglie di uno dei farmacologi che lavoravano alla ketamina, risolse in seguito questo problema terminologico in quanto si accorse della condizione “dissociata” tipica dei pazienti trattati, e propose quindi di chiamare lo stato indotto dalla sostanza come “anestesia dissociativa”. Nel 1970 la FDA la approvò come sicura, ed essa fu utilizzata per la prima volta come anestetico durante la guerra del Vietnam.

La ketamina in ambito ospedaliero

Nonostante oggi la ketamina abbia dimostrato una molteplicità di campi di utilizzo, quello più importante è rimasto, sin dalla sua scoperta, l’impiego come analgesico nella gestione del dolore moderato/grave. In ambito clinico, è utilizzata a dosaggio sub-dissociativo, in quanto permette al farmaco di espletare la sua azione analgesica senza però causare nel paziente quello stato dissociativo che è tipico di più alti dosaggi. Solitamente, il dosaggio sub-dissociativo si aggira intorno agli 0.3 mg pro kg in bolo per via endovenosa. L’emivita della ketamina è di circa 30-40 minuti con un onset (quando somministrata per via endovenosa) di circa 40-50 secondi. Quindi è una sostanza che agisce molto in fretta e permette di gestire il dolore per un tempo piuttosto considerevole.

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Versatilità della ketamina

Nel caso di infusione continua, la ketamina ha dimostrato anche di avere una bassa incidenza a livello emodinamico. Tra l’altro ha l’eccezionale caratteristica di mantenere i riflessi delle vie aeree, riducendo così la necessità dell’eventuale intubazione. Questo è infatti uno dei motivi per cui trova impiego soprattutto in ambito pediatrico. Inoltre, può essere utilizzata anche per via intramuscolare, senza la necessità di ottenere un accesso venoso, condizione non sempre facile soprattutto nei casi emergenziali. L’onset, anche quando iniettata intramuscolo, rimane accettabile e va dai 2 ai 5 minuti con una emivita di 60-70 minuti.

La ketamina come antidepressivo

Gli straordinari effetti della ketamina non finiscono qui. Nei primi anni 2000 si scoprì la sua azione antidepressiva, e la comunità scientifica la definì come uno dei progressi più importanti degli ultimi 50 anni nel trattamento della depressione. Questo farmaco ha infatti acceso l’interesse verso i recettori NMDA come recettori antagonisti per la depressione ed ha radicalmente cambiato la direzione della ricerca e dello sviluppo degli antidepressivi.
Diversi studi hanno evidenziato come la sua infusione intravenosa possa dare buoni risultati nel trattamento della Treatment-resistant depression (TRD), cioè quel tipo di depressione clinica che non risponde in maniera adeguata al trattamento con comuni antidepressivi. Anche se il suo effetto è temporaneo, si è dimostrata un antidepressivo a rapida azione, con un miglioramento delle condizioni del paziente già nelle prime 4 ore dalla somministrazione e raggiungendo un picco entro le 24 ore. Si è anche dimostrato come la ketamina riesca a ridurre la tendenza al suicidio fino a 3 giorni dopo la sua somministrazione.
Nonostante non sia ancora stata approvata ufficialmente come farmaco antidepressivo, uno degli enantiomeri di questa molecola, l’esketamina, è stata approvata in America nella formulazione di uno spray nasale per il trattamento della TRD. Numerosi studi in questo ambito sono ancora in corso, ma i risultati dei primi trials sono promettenti, tant’è che in Canada l’uso della ketamina è già raccomandato come antidepressivo di terza fascia.

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La ketamina come droga d’abuso

Tuttavia a partire dagli anni ’70, poco dopo la sua scoperta, la ketamina è diventata anche una droga d’abuso. Dal momento da sola produce effetti allucinatori brevi (dai 10 minuti fino a qualche ora), essa è di solito assunta insieme ad allucinogeni o amfetamine che ne prolungano la durata. Gli effetti della sua assunzione, sono estremamente variabili e dipendono in larga parte dalla dose, la via di somministrazione e lo stato d’animo di chi la assume. Lo stato indotto può variare da una semplice e leggera condizione di euforia fino ai ben noti stati dissociativi, durante i quali questa droga può esacerbare stati mentali presenti già prima della sua assunzione.

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Principali pericoli

I principali pericoli dell’assunzione “ricreativa” di questa sostanza sono dovuti proprio al suo effetto anestetico. Non percependo il dolore, il soggetto può facilmente procurarsi lesioni senza accorgersene. Ulteriori effetti nocivi includono: ipersalivazione, aumento della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca, ipotermia e perdita della memoria a breve termine. Mentre gli effetti di un uso prolungato includono: deficit mnemonici, problemi digestivi e della minzione, nonché può indurre tolleranza, assuefazione e dipendenza.

Conclusione

In conclusione, la ketamina è una sostanza dalle grandi risorse e la ricerca è ancora fortemente concentrata nello studio delle sue molteplici applicazioni. Essa rappresenta un eccellente esempio di come una sostanza apparentemente pericolosa e generalmente considerata nociva, abbia in realtà molti aspetti positivi, se dosata nel modo corretto. Per la ketamina, così come per quasi tutte le sostanze impiegate dalla farmacologia di ieri e di oggi, vale la saggia massima di Paracelso, medico-alchimista del XVI secolo, il quale affermava:

Tutto è veleno: nulla esiste di non velenoso. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto.

Luca Bonafede

 

Fonti: