Sopravvivere al freddo dell’Artico: una questione genetica

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Gli uomini hanno colonizzato il pianeta in maniera efficiente, tanto da occupare gli ambienti più rigidi dal punto di vista climatico. Il National Snow and Ice Data Center dell’Università di Boulder in Colorado (Usa) afferma che circa 4 milioni di persone vivono al di sopra del Circolo Polare Artico. Il 10% di loro fa parte di una popolazione indigena.
Come fanno, dunque, gli individui che abitano al Polo Nord a sopravvivere alle bassissime temperature di questi territori? Quando necessario, l’uomo, per tentare di mitigare gli effetti avversi sulla sua salute, riesce ad adeguarsi fisiologicamente alle esposizioni croniche al freddo. Una parte di questo adattamento include cambiamenti genetici, ma anche risposte morfologiche e fisiologiche.

  1. Origini: l’Homo di Denisova e l’Homo di Neanderthal
  2. L’enigma dei Fuegini ed il grasso bruno
  3. Quali sono i geni associati al freddo?
  4. Adattamenti metabolici
  5. Come si è modificato il corpo?
  6. Effetti sulla salute
  7. Conseguenze del riscaldamento globale

Origini: l’Homo di Denisova e l’Homo di Neanderthal

 

https://ilbolive.unipd.it

Gli incroci dell’Homo Sapiens con l’Homo di Denisova in Siberia e di Neanderthal in Europa, avvenuti decine di migliaia di anni fa, sono correlati alla comparsa di alcune modificazioni genetiche.
Il genoma dell’Homo di Denisova, specie umana scoperta nel 2008, secondo uno studio condotto dall’Università di Copenhagen, presenta delle somiglianze con quello delle popolazioni siberiane, in particolare degli Inuit. Essi, infatti, possiedono due geni, TBX15 e WARS2, che consentono al corpo di generare calore bruciando grasso bruno.
L’Homo di Neanderthal, invece, oltre a disporre di un corpo tozzo e arti corti e muscolosi, possedeva un naso del 29% più largo rispetto all’Homo Sapiens, che gli permetteva non solo di scambiare volumi d’aria maggiori, ma anche di riscaldare ed umidificare meglio l’aria che respirava, assicurandogli la sopravvivenza in zone fredde e secche.

L’enigma dei Fuegini ed il grasso bruno

Recentemente, Lucio Gnessi e Giorgio Manzi dell’Università La Sapienza di Roma, hanno studiato i reperti ossei dei Fuegini, popolazione della Terra del Fuoco estinta circa un secolo fa, identificando due varianti genetiche mai descritte.
La ricerca dimostra come i Fuegini, grazie ai loro geni, fossero capaci di accumulare più grasso bruno rispetto al normale durante tutta la loro vita. Il grasso bruno viene bruciato al fine di produrre calore in risposta ad un calo della temperatura. Coloro che vivono in zone temperate, al contrario dei Fuegini, ne possiedono molto poco e non sempre in forma attiva, cioè in grado di produrre calore. Solo nei neonati è sempre presente in grande quantità. Il neonato, al momento della nascita, affronta uno shock termico del tutto improvviso, in quanto la temperatura ambientale è notevolmente più bassa rispetto a quella intrauterina. Il corpo del neonato reagisce allo stimolo freddo mettendo subito in atto dei meccanismi di produzione di calore, in cui interviene in primo luogo proprio il grasso bruno.

Quali sono i geni associati al freddo?

Quarant’anni fa, il genetista Luigi Luca Cavalli Sforza, osservò che il 60% dei geni “antifreddo” posseduti dalle popolazioni indigene di tutto il mondo erano legati all’ambiente in cui vivevano.
Quelli connessi alle basse temperature sono circa 20.
Uno dei più importanti, ad esempio, è il TRPM8, il quale codifica un “sensore della temperatura” che permette di far percepire il freddo. Nelle popolazioni che vivono nell’estremo Nord, è molto frequente la presenza di una determinata variante di TPRM8 che rende meno sensibili al freddo: la possiede l’88% della popolazione in Finlandia; soltanto l’1% in Nigeria.

Un’altra modificazione significativa riguarda una particolare mutazione del gene ACTN3, il cui compito è quello di promuovere un aumento del tono muscolare. Sebbene sia posseduta da circa un miliardo e mezzo di individui, è più diffusa tra coloro che risiedono in aree fredde. I ricercatori del Karolinska Institutet di Stoccolma hanno, infatti, scoperto che chi è in possesso di questa mutazione presenta una temperatura interna più alta rispetto alla normalità anche in condizioni critiche.

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Adattamenti metabolici

In media, il metabolismo basale delle popolazioni dell’Artico è del 19% più alto rispetto a quello di chi abita in zone temperate, ma può superare addirittura il 50%.
Proprio per questo, sono stati individuati geni associati al consumo di energia e al metabolismo.
Alcuni ricercatori dell’Università di Cambridge (Uk), che hanno condotto uno studio su popolazioni siberiane, hanno dichiarato:

«Ci sono segni inequivocabili di una selezione che ha favorito un più elevato metabolismo basale in grado di aumentare la capacità di riscaldarsi, e bassi livelli di grassi nel sangue, per la presenza del metabolismo energetico accelerato».

Inoltre, Matteo Fumagalli dell’University College di Londra, ha notato come gli Inuit, pur mangiando enormi quantità di grassi, non presentano un rischio insolito di sviluppare colesterolo alto o malattie cardiovascolari. Ciò è dovuto ad un’altra mutazione genetica.

«Pensavamo che la protezione cardiovascolare fosse dovuta alla preponderanza di grassi omega-3 nella dieta. Nel 100% degli Inuit, invece, è presente una mutazione genetica che ne modifica il metabolismo lipidico rendendo possibile consumare quantità spropositate di grassi, che, pur essendo buoni come quelli del pesce, non darebbero risultati altrettanto positivi se consumati dagli europei, dato che solo il 2% di loro possiede questo tipo di adattamento metabolico. Tutto ciò ha, però, portato con sé anche un cambiamento morfologico evidente, riducendo l’altezza di un paio di centimetri», afferma Matteo Fumagalli.

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Come si è modificato il corpo?

La bassa statura è una peculiarità tipica di tutti i popoli dell’Artico. Possedere un corpo massiccio, infatti, garantisce che il calore venga preservato più efficacemente. Essi presentano, inoltre, un naso alto e stretto ed occhi sottili e allungati, che servono a preservare meglio le mucose, ed un pannicolo adiposo più spesso, che rappresenta uno strato di tessuto connettivo adiposo localizzato al di sotto della cute, che fa sì che i tratti del viso risultino più arrotondati.
In alcuni casi, solo alcune parti del corpo possono adattarsi alle basse temperature.

«Gli indiani dello Yukon sono esposti al freddo in modo discontinuo. Durante la caccia, solamente le estremità si rivelano utili a contrastare il freddo, permettendo così il mantenimento di una temperatura corporea più elevata», chiarisce Tiina Maria Makinen dell’Università di Oulu in Finlandia.

Effetti sulla salute

Se da un lato questi adattamenti conferiscono notevoli benefici alle popolazioni dell’Artico, dall’altro presentano un rischio più elevato di sviluppare determinate malattie. In particolare, la variante del gene TRPM8 predispone maggiormente allo sviluppo di emicrania e, secondo alcuni, persino di aneurismi cerebrali. Dall’analisi del genetista Konstantinos Voskarides dell’Università di Cipro, inoltre, emerge che tutte queste variazioni sono correlate all’insorgenza di tumori.

«L’incidenza di certi tipi di tumori, specialmente al polmone, al seno e al colon retto, è decisamente maggiore tra le popolazioni dell’Artico. L’esistenza di metodi che consentono all’organismo di sopportare le basse temperature ha, verosimilmente, aumentato il rischio di insorgenza di tumori. Essi non hanno comunque influito sui processi di selezione naturale, in quanto, solitamente, questi individui si ammalano da adulti, dopo aver avuto figli», spiega Voskarides.

Conseguenze del riscaldamento globale

In conclusione, se si considera che queste popolazioni si sono evolute per secoli in modo da sopravvivere in ambienti così rigidi, difficilmente riusciranno ad adeguarsi tanto velocemente ad un cambiamento climatico drastico come quello degli ultimi anni. L’Arctic Council afferma, infatti, che i Poli si stanno riscaldando molto più rapidamente rispetto al resto del mondo. Ciò farà sì che tutti i popoli stanziati in queste zone perderanno il proprio habitat, dovranno modificare la loro alimentazione e, in casi estremi, saranno costretti a migrare.

https://phys.org

Erica D’Arrigo

Per approfondire:

https://www.focus.it/scienza/scienze/perche-inuit-sopportano-freddo

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/20515840/

https://www.uniroma1.it/it/notizia/due-mutazioni-genetiche-alla-base-della-straordinaria-resistenza-al-freddo-dei-fuegini-gli

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4861193/