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Ritorno in presenza: il racconto degli studenti Unime

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Si paventava il tramonto dell’istruzione per come la conosciamo. Si paventava un mutamento antropologico che avrebbe persino portato all’estinzione di una specie caratteristica dell’ecosistema delle nostre città: lo studente fuori sede. La pandemia sarebbe stata l’anticamera di una rivoluzione copernicana che si sarebbe giocata su due cardini: smart working ed e-learning.

Eppure a Messina così non è stato: Unime dall’11 ottobre ha ripristinato la frequenza in aula al 100%. La città dello Stretto torna a gremirsi di matricole, treni, tram e aliscafi brulicano di universitari in mascherina, nei condomini risuonano di nuovo dialetti diversi.

Di nuovo insieme: studenti durante una lezione di Economia. © Angelica Rocca

Se chiedessimo a un passante di raccontarci il ritorno in presenza, forse ne uscirebbe fuori questo scenario pittoresco. Ma com’è il panorama visto dagli occhi degli studenti tornati in aula?

Un dipinto alquanto cupo emerge ad esempio dalle parole di Alessia, studentessa di Filosofia: «L’ansia che da un momento all’altro la linea potesse cadere durante le lezioni è svanita. Siamo più tranquilli, più sereni, ma esistono comunque altri disagi: siamo stati trasferiti al Polo di Farmacia, edificio a fianco del nostro dipartimento. Ci ritroviamo spaesati: un vero e proprio incubo. La sede del DICAM (Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne) da quasi due anni, si è trasformata in un cantiere, in tutti noi è sorto un senso di angoscia: quella che chiamavamo “casa” si è rivestita di impalcature e false speranze.»

Miryam, studentessa di Informatica, ci racconta invece l’intera Odissea che compie ogni mattina per arrivare a lezione tra tram e bus interurbani. «Tutte le mattine sono arrivata a lezione con ritardi addirittura di 45 minuti. Nonostante l’annuncio di un potenziamento delle corse ATM, gli orari che si ritrovano nelle tabelle non coincidono con quelli reali. Il bus di linea 24 che porta a Papardo (sede delle facoltà scientifiche) spesso salta la fermata delle 8:05 davanti al terminal Cavallotti (vicino alla stazione centrale). Un’alternativa sarebbe il tram, ma anche quest’ultimo salta parecchie corse. Quando dal Terminal Museo partivano le navette verso i poli del Papardo e dell’Annunziata, la situazione non era così disastrosa. Adesso è diventata ingestibile: i bus di linea, non essendo riservati ai soli studenti e ben più piccoli delle navette, possiedono una capienza ridotta

Un tram ATM alla fermata di Piazza Cairoli. Fonte: archivio UVM

Stesso scenario anche all’Annunziata (sede del già citato Dicam oltre che di Farmacia, Veterinaria e Scienze Motorie). Afferma Domenico, studente di Lettere Moderne: «Da qualche settimana hanno aggiunto qualche corsa, ma continuano ad esserci comunque pochi bus e troppo affollati. Molte volte mi è capitato di arrivare tardi a lezione o addirittura di doverne saltare qualcuna proprio per questo motivo.» Nonostante i disagi, se si tratta di scegliere tra lezioni in presenza e corsi su Teams, questi studenti non manifestano dubbi. «I momenti in presenza che ho vissuto i primi anni sono nettamente migliori e imparagonabili alla didattica a distanza.» risponde Myriam. «Il ritorno in presenza è stato un po’ come ritrovare la quotidianità ormai persa: semplici gesti come la pausa caffè con i colleghi, conversazioni, risate tra una lezione e l’altra, strette di mano. Una delle più grandi mancanze della teledidattica è stato proprio il contatto diretto, tutta quella dimensione della corporeità indispensabile all’uomo.» aggiunge Domenico.

Dello stesso avviso Ilaria, studentessa di Scienze Politiche: «Finalmente possiamo vivere l’università sotto un aspetto più sociale. Mi ha stupito molto però che la ripresa delle attività in presenza non sia stata totale: i laboratori linguistici vengono svolti esclusivamente sulla piattaforma Rosetta Stone, sebbene nella mia facoltà esistano docenti di madrelingua predisposti all’insegnamento della materia. Per poter apprendere correttamente una lingua sarebbe necessario un confronto diretto con l’insegnante.»

E-learning garanzia di democrazia? Questo lo slogan di chi ignora un digital divide che attanaglia tante piccole realtà del Belpaese e trova conferma nelle parole di Maria, studentessa di Lettere Classiche: «La dad ha presentato per me dei limiti. Vivo in un paesino dove spesso la connessione è precaria. Il ritorno in presenza mi ha permesso quindi di essere più costante nell’apprendimento.» E aggiunge: «La connessione particolare che ho con il libro nonché la manualità sono importanti e l’attenzione che pongo in aula è maggiore: ho un problema neurologico che limita la mia concentrazione nonché la capacità di ricordare eventi recenti e attività programmate. Con maggiore lentezza e fatica memorizzavo nuove informazioni attraverso uno schermo. Il ritorno in presenza, nonostante l’iniziale corsa ad ostacoli tra pullman e mezzi vari, è stato primario, essenziale!»

“Seguire” in dad: vignetta satirica. Fonte: l’ecodellascuola.altervista.org

Stando a quanto affermano gli studenti Unime, non sarà la nostra generazione a cestinare l’insegnamento tradizionale a favore dell’Università delle piattaforme. Il futuro della formazione non si dovrebbe decidere in un aut aut tra didattica in presenza ed e-learning: quest’ultima più che mera opzione escludente, potrebbe rimanere un’ottima risorsa integrativa alle lezioni frontali (soluzione già sfruttata da altri atenei italiani).

È di quest’idea Lucia, studentessa di Giurisprudenza: «L’interazione vis a vis tra studenti e professori è imprescindibile nel nostro corso di studi, soprattutto in vista di una futura carriera forense e la dad sotto quest’aspetto è fortemente limitante. Tuttavia si sarebbe potuto ricorrere alla teledidattica in questi giorni di maltempo ed evitare di perdere preziose ore di lezione che verrebbero recuperate a ridosso degli esami.»

Il punto di forza della dad, allora, si può rinvenire non sul terreno dell’apprendimento, ma piuttosto nel suo potere di trascendere – al di là dell’emergenza sanitaria- limiti e difficoltà presenti in quel mondo della fisicità reale cui i giovani tuttavia non vogliono (e non devono!) rinunciare. Assenza di strutture adeguate, insufficienza di mezzi di comunicazione sono alcune problematiche esistenti già da tempo che noi studenti chiediamo di risolvere offline a gran voce. Una voce a cui le politiche territoriali e nazionali dovrebbero prestare ascolto.

Angelica Rocca

 

Articolo pubblicato il 04/11/2021 nell’inserto Noi Magazine di Gazzetta del Sud