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Il mito di Risa

Cultura Locale
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Una delle più affascinanti leggente legate al territorio peloritano è quella della città perduta, dal nome Risa, situata proprio verso l’estremità del Peloro, a ridosso del Lago di Faro. Ora la raccontiamo, dopo la interpretiamo.

Risa, Morgana e il Peloro

Risa si trovava a ridosso delle acque del Pantano Piccolo – o meglio, il Lago Santo di soliniana memoria –; era una città opulenta e ricca, per quanto comunque di ridotte dimensioni, la cui economia certamente si basava sul commercio; Risa si chiamava, pare, dal nome della sua Principessa, che la governava sapientemente. Un giorno, a causa dell’ira divina o di un sisma, essa fu completamente distrutta e fu sommersa dalle acque del lago, rimanendo da quel momento nascosta alla vista.

Oggi ancora i pescatori giurano d’avere sentito il rintocco d’una campana, appartenente a una torre di Risa, ritenuto un chiaro presagio di tempesta; si dice che sia il fantasma della principessa Risa a suonare, per avvertire i vivi del pericolo incombente. Un’altra versione vuole le rovine sommerse abitate da Morgana la Fata, la potentissima strega sorella di Artù e nemica dell’altrettanto potente Merlino, che si sarebbe trasferita dalla Britannia in Sicilia insieme ad ancelle e apprendiste e abbia il controllo dell’area (da cui il nome fatamorgana dato al particolare fenomeno di rifrazione), tutt’ora vivente e di tanto in tanto si fa vedere.

C’è una certa confusione nelle contrade del Peloro su quale dei due pantani celi Risa, giacché anche alcuni Ganzirroti se l’arrogano, ma vedremo che non c’è dubbio sulla sua locazione fra Margi, Torre Faro e Capo Peloro.

La Fata Morgana – Fonte: sferapanoramica.blogspot.com

Il Tempio nelle acque del Lago

Già quindici secoli fa, l’importantissimo passo della Raccolta di cose memorabili di Giulio Solino ci racconta del santuario lacustre – un’ara invero – situato al centro del Pantano Piccolo (la descrizione che ne fa è precisa): già di suo questa informazione basterebbe a chiarire che la base storica della leggenda di Risa esiste eccome. I santuarî di particolare importanza di solito non erano vuoti e soli, ma spesso avevano nelle vicinanze gli alloggiamenti degli ordini sacerdotali officianti o monastici, nonché l’eventuale mercato che vendeva animali sacrificali per le offerte e le abitazioni di tali commercianti: ecco come sorge un piccolo abitato, che se unito alla zona frequentata di Capo Peloro dà come risultato una probabile città di Risa.

C’è molta confusione fra le persone che conoscono la leggenda, poiché ripetono insistentemente che la campana i cui colpi si sentono appartenga alla “chiesa di Risa”, il che collocherebbe questa città a un periodo almeno post-romano, ma questo non è possibile poiché non abbiamo nessuna testimonianza d’un vero e proprio abitato; si tratta di una fantasia popolare, prodotto dell’abitudine a sentire le campane delle chiese, poiché a Risa ovviamente il Cristianesimo non c’era e non appartenevano campane agli edifici di culto. Invece, viene da pensare che il ricordo d’un luogo di culto rimandi al santuario testimoniato da Giulio Solino.

L’idea di scavare canali di collegamento con il mare sicuramente non è nuova, giacché si è ritrovata un’imbarcazione risalente al periodo bizantino. Bisogna rammentare che tutta quell’area era adoperata come stazione navale e militare, come testimonia la presenza del faro e di un attracco almeno in epoca romana, pertanto è assai probabile che vi fosse un approdo di cui si servivano anche i marinai fenici quando dominavano i mari; persino a loro potrebbe essere legata l’ara che continuava a esistere nel Tardo Impero.

Il “Pantano Piccolo”, Lago di Torre Faro – Fonte: sferapanoramica.blogspot.it

Ma Risa è Reggio…

A complicare la situazione c’è il fatto che il vecchio nome di Reggio – la dirimpettaia – fosse proprio Risa, nel dialetto dei Normanni, e ch’essa sia un luogo centrale nel corpus dei Paladini di Francia caro all’Opera dei pupi, ma non è un argomento che qui verrà discusso.

Si cade troppo spesso nell’errore di pensare che le leggende siano romanzetti privi di fondamento, quando non è affatto così: se qualcosa viene raccontato, è perché qualcosa si ricorda, che ci piaccia o no. Per essere sempre tutto falso dovrebbe esserci dietro ogni leggenda qualcuno che se l’è inventata di sana pianta per puro piacere, il che è statisticamente improbabile.

Stupisce, in ogni caso, come in così tanti anni da quando se ne parla non si sia voluto procedere con un’approfondita ricerca archeologica quello che potrebbe essere un elemento fondamentale per ricostruire la nostra storia più remota. Se non per Risa, per l’Ara delle Acque.

 

Daniele Ferrara