Haiti: il rapido declino del paese più sfortunato degli ultimi anni

Redazione Attualità
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Nella notte tra il 6 e il 7 luglio è stato assassinato il presidente haitiano Jovenel Moïse. Il capo di stato è stato raggiunto e freddato nella sua villa a Péticion-Ville, non lontano dalla capitale Port-au-Prince, da un commando di 28 persone. Questi, dopo avere aperto il fuoco contro il presidente e la moglie, hanno saccheggiato l’ufficio per poi scappare. Secondo le ricostruzioni della polizia haitiana, e confermate dal comandante Leon Charles, tra i 28 individui vi sono 26 colombiani e 2 haito-americani. Questi sono accusati di essere gli esecutori materiali dell’omicidio ma restano ancora ignoti mandanti e movente dell’attentato.

Il defunto presidente haitiano Jovenel Moise, fonte: ibw21.org

Il Commando

Già 3 membri del commando sono stati uccisi nel corso delle operazioni di indagine mentre 17 sono stati arrestati. I restanti 8 sono latitanti. L’Afp scrive che i 26 colombiani sono ex membri dell’esercito colombiano di cui sei membri  in ritiro: quattro ex soldati semplici e due ex sottufficiali. Ci sono poi due americani di origine haitiana: James Solages, ex guardia giurata ed ex agente diplomatico ed ora capo della sicurezza dell’ambasciata del Canada a Haiti, e Joseph Vincent, ufficialmente semplice uomo d’affari. Nel gruppo questi erano i soli due uomini di colore e dovevano svolgere il ruolo di interpreti in un Paese dove si parla francese misto al creolo. Tra i fattori che hanno permesso una rapida identificazione e il tracciamento dei sospettati vi sono stati infatti la carnagione bianca e l’utilizzo della lingua spagnola.

Le reazioni all’attentato

Il premier ad interim Claude Joseph ha detto alla BBC che il presidente potrebbe essere stato fatto fuori perché in contrasto contro “gli oligarchi” nel Paese. Intanto il governo di Bogotà (Colombia) ha assicurato che collaborerà nelle indagini con Port au Prince mentre il dipartimento di Stato americano non ha ancora confermato il coinvolgimento dei suoi connazionali. Il premier Joseph ha provveduto a dichiarare lo stato di assedio, cercando di rassicurare la comunità internazionale e i suoi stessi cittadini sulla continuità dello Stato.

La crisi politica di Haiti

Nonostante la tragicità dell’evento molte fonti riportano come l’attentato in questione non fosse totalmente imprevedibile o imprevisto. Il Paese risulta da parecchio tempo attraversato da una profonda crisi politica. Nel 2015 Moïse si era presentato alle elezioni presidenziali alla guida del partito di centrodestra Tèt Kale. La sua però non fu una vittoria schiacciante: arrivato al ballottaggio salì con solo il 21% delle preferenze. Una percentuale troppo bassa e che, unita ai sospetti brogli elettorali in suo favore, ha contribuito non poco al clima di tensioni. Tensioni che sfociarono in proteste violente e che comportarono un notevole ritardo nell’insediamento dello stesso Moïse ( da settembre 2016 a febbraio 2017). Ritardo che il defunto presidente avrebbe voluto “recuperare” spostando la naturale scadenza del suo mandato dal settembre 2021 a febbraio 2022 attirando non poche critiche dall’opposizione. Moïse stava inoltre elaborando una riforma costituzionale con cui dare più poteri all’esecutivo, eliminare la figura del primo ministro, e permettere il doppio mandato consecutivo per i presidenti uscenti. Il tutto però in un periodo in cui le camere sono sciolte non essendo state queste ultime state rinnovate alla loro naturale scadenza per via del mancato accordo sulla legge elettorale.

Già a febbraio Moise aveva denunciato un golpe ordito ai suoi danni dall’opposizione e che ha portato all’arresto di 23 persone. Tra queste anche un giudice della Corte Suprema.

Strade di Puer-au-Prince, fonte: evasion-online.com

Le tragedie di Haiti

Il clima di instabilità politica è frutto si del malgoverno ma anche della sfortuna. Haiti, che occupa la parte occidentale dell’isola di Hispaniola, è stata falcidiata prima dal terremoto del 2010, il secondo più forte della storia e che causò più di 200 mila morti e 3 milioni di sfollati, e poi dall’uragano Matthew del 2016, che si stima abbia inciso sul Pil per il 32%. Tra il terremoto e l’uragano anche una epidemia di colera che causò altre migliaia di morti e che, ironia della sorte, fu portata sull’isola proprio dagli interventi umanitari dell’ONU. Le catastrofi naturali hanno portato a una costante situazione di emergenza umanitaria aggravatasi ulteriormente nell’ultimo anno e mezzo dalla pandemia da Covid-19. Ad oggi risultano poco meno di 20 mila i casi totali registrati e meno di 500 i morti. Molte Ong però contestano fortemente questi dati. Il sistema sanitario del Paese è di fatto inesistente e non esiste né un sistema di tracciamento né le infrastrutture adeguate per curare chi ne ha bisogno. Haiti risulta, inoltre, tra i 26 Paesi al mondo a non aver ancora iniziato la campagna vaccinale anti Covid-19.

Un futuro imprevedibile

Haiti risulta ad oggi il Paese più povero delle Americhe e tra i più poveri al mondo. Il tasso di povertà superiore al 60% e un Pil pro capite di poco superiore ai mille dollari lo posizionano al 170° posto su 189 Paesi per Indice di Sviluppo Umano. Ormai, secondo numerosi analisti, le condizioni di Haiti rispecchiano quelle della Somalia, quindi di uno Stato prossimo al fallimento. L’uccisione del presidente Moïse rappresenta l’ennesimo colpo assestato ai danni di un Stato troppo fragile e che necessita il prima possibile di una nuova guida. Il vuoto istituzionale che è stato generato deve essere necessariamente colmato nel minor tempo possibile, ma non sarà facile. Questo perché le leggi haitiane stabiliscono che in caso di vacanza della carica presidenziale questa debba essere ricoperta dal presidente della Corte Suprema. Quest’ultimo però è morto di Covid. Il ruolo spetterebbe allora al primo ministro che però necessita dell’approvazione parlamentare. Ma le camere sono tutt’ora sciolte, in attesa di nuove elezioni. Nuove elezioni che però dovrebbero essere indette in assenza di una legge elettorale.

 

Filippo Giletto