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L’obelisco egizio del Duomo di Messina

Cultura Locale
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Messina è una città antichissima: la tradizione (per calcolo del grande Francesco Maurolico attraverso la cronologia di Eusebio da Cesarea) pone la sua nascita nell’anno 1765 a.C. (!), una datazione confermata dall’odierna ricerca archeologica (alla quale per la prima volta appunto in tema di preistoria diedero grande impulso i membri del Circolo Archeologico Codreanu tra cui Franz Riccobono). Eppure, a Messina scarseggiano lasciti dell’antichità, monumenti che riportino al tempo più lontano della sua esistenza, e quelli che ci sono sono praticamente nascosti o poco valorizzati o non divulgàti.

Un pezzo importantissimo e antichissimo, nonché misteriosissimo, della nostra storia si trova proprio sotto i nostri occhi, ma forse l’avremo visto innumerevoli volte senza accorgercene (assurdo per quanto sia!): avete mai guardato sopra le colonne angolari oltre le quali si apre l’abside, nel nostro Duomo? Se non l’avete fatto, fatelo: troverete due “pietre egizie”.

L’abside del Duomo di Messina e le due pietre egizie – Fonte: colapisci.it

Pietre egizie a Messina?

L’occhio sano e dotato, e un buono zoom d’una macchina fotografica, possono facilmente osservare due piccoli obelischi che si ergono proprio al di sopra di quelle colonne, sorreggendo l’arco a sesto leggermente acuto dell’abside.

Delle due, solamente una reca scolpite figure di chiarissimo stile egizio, e ben visibili, oltre a dimostrare una perfetta levigazione del materiale; l’altra, meno precisa nella fattura ma comunque aggraziata, è ornata da figure di stile chiaramente diverso, somiglianti più vagamente a quelle dell’arte egizia.

Leggere queste cose può risultare impressionante, sono parole difficili da credere, ma si tratta della verità. Se vi capitasse d’osservare da vicino, vi accorgereste che c’è una figura d’Iside o Hathor con le corna di mucca, un’altra forse di Maat con le ali spiegate, e che i riquadri sono tutti circondati da geroglifici.

È risaputo che molti materiali con cui fu eretto il Duomo in principio furono recuperati dall’area dei laghi del Peloro, presumibilmente smontando l’antico tempio che si ergeva nel “terzo lago”; la diffusa consapevolezza di questo fatto ha dato da pensare che dunque questi pezzi d’“arte egizia” possano provenire proprio dai laghi, e che dunque lo stesso edificio dedicato all’ignota deità acquatica o ctonia (di cui parlava Solino) fosse allora un tempio egizio. Se questo fosse vero, la storia di quell’area s’infittirebbe.

Ora che avete letto e probabilmente la vostra curiosità è stata fomentata, vi svelo un’altra cosa: quelle che ci sono dentro il Duomo non sono gli originali, ma due copie, là collocate in sostituzione degli originali, che ora si trovano al Museo Regionale di Messina.

©Daniele Ferrara – Uno dei due obelischi, Museo Regionale di Messina 2021

Sconosciute anche ai sapienti

Rincresce estremamente e profondamente dovere dire che la posizione in cui si trovano non è lontanamente adeguata a reperti di tale importanza: si ergono nei giardini, a sinistra rispetto all’ingresso principale, davanti alle porte dei magazzini. In poche parole, le due pietre egizie sono poco accessibili all’attenzione di chi visita il riposo della nostra storia, e per giunta esposte alle intemperie, che a lungo andare deteriorano e deterioreranno la fine e antica opera scultorea di quegli obelischi. È una posizione, occorre dirlo, che riflette perfettamente e fedelmente lo scarsissimo interesse dei nostri organi ufficiali di cultura per questi due monumenti, o meglio residuo di monumento. Una curiosità: accanto, nel medesimo luogo, c’è forse l’unica statua esistente di Madonna della Lettera, che non a caso gode d’egualmente povera attenzione.

Oltretutto, questa, è la condizione generale in cui versa il patrimonio storico di Messina in troppi casi: abbandonato dalle istituzioni che possono salvarla, ma costantemente indicato e trattato da altri studiosi, che poi però vengono sistematicamente attaccati e tacciati di tuttologia.

Sono stati effettuati pochissimi studî su questi importantissimi reperti; tra questi occorre segnalare quello del noto storico messinese Alessandro Fumia, instancabile autore di molteplici ricerche sulla nostra identità in tutte le direzioni. Conducendo un’attenta analisi, egli ha rilevato elementi accostabili al periodo achemenide dell’Egitto e tracciato ipotesi sul tempio che qui sorgeva.

Finora tuttavia la risposta definitiva (o quasi) sui reperti è ben lontana, probabilmente proprio per l’assenza di un vero confronto sull’argomento tra le menti erudite che possa, a via d’aggiustamenti e compromessi sui varî dati rilevati, mediare fino alla conclusione più probabile di questo enigma storico, del quale trarrebbe giovamento Messina stessa, che languisce per la poca conoscenza che ha di sé stessa la sua popolazione.

Fonte: strettoweb.com

Un obelisco egizio… ellenistico

Senza la presunzione d’avere il parere risolutivo ma con l’assoluta sicurezza di quanto affermo, voglio fornire anch’io una teoria su questi due obelischi, che ho potuti osservare entrambi da vicino durante una visita. Uno solo degli obelischi è veramente antico, ma non bisogna farsi ingannare: non è veramente egizio, o almeno non appartiene ai secoli dell’Egitto “classico”, ma è di periodo ellenistico (fra 323 a.C. e 500 d.C.). Questo mi sento di dirlo per un dettaglio inequivocabile: tra le figure ce n’è una maschile rappresentata frontalmente nell’atto dell’anasyrma, ossia la sollevazione della veste che in questo caso scopre i genitali, tipico del dio Afrodito o Ermafrodito, maschio dall’aspetto femmineo, che si accompagna ad Afrodite, non certo un dio egizio bensì greco e diffusosi in età ellenistica. Quanto ai geroglifici, finora mai interpretati, sono forse quelli l’elemento che più di tutti urge studiare, per comprendere se contengano davvero concetti di senso compiuto o se siano invece semplici ornamenti scolpiti in un tempo in cui nessuno più capiva gli originali; ma senza uno studio egittologico, e senza porre al riparo questi manufatti dalle intemperie, la verità non verrà mai raggiunta. Probabilmente, questo piccolo obelisco è stato direttamente intagliato in questa città o nelle vicinanze per ornare un tempio adibito a qualche culto egizio (ce n’erano in tutto l’Impero Romano) oppure è stato scolpito in Egitto ma sempre in epoca ellenistica e poi è stato trasportato qui; l’altro pezzo, invece, è probabilmente una copia modellata da un ottimo scalpellino in periodo normanno, forse nella fabbrica del Duomo, per fare coppia con l’altro e a sua immagine.

©Daniele Ferrara – L’obelisco ellenistico, in cui è raffigutato l’atto dell’anasyrma, Museo Regionale di Messina 2021

Se effettivamente quel piccolo obelisco provenisse dal tempio dei laghi non è facile dirlo, per essere così bisognerebbe porre che esso sia stato costruito direttamente in periodo ellenistico o che in tal epoca il nume adorato sia stato egittizzato e quindi onorato attraverso l’arte egizia, ma prima di quelle di Giulio Solino (III secolo d.C.) non abbiamo altre notizie sul luogo sacro. Dicerie, meno fondate, si sono tramandate anche sull’esistenza d’un antico culto egizio a Santa Maria Alemanna, ma ancòra ce n’è di strada da fare verso la verità.

Che aspettate? Andate a vedere sia le copie nel Duomo che gli originali al Museo!

 

Daniele Ferrara

 

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Fonte: colapisci.it