Israele verso un nuovo governo, fine dell’era Netanyahu

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Benjamin Netanyahu è sempre più vicino a lasciare il potere. “Bibi” (questo il soprannome con cui viene spesso identificato in patria) parrebbe essere giunto alla fine del suo lungo dominio a capo dell’esecutivo israeliano. Dopo 12 anni di ininterrotto governo (dal 2009 ad oggi) e 15 in totale (con un primo mandato dal 1996 al 1999) il leader del partito conservatore dovrà lasciare spazio a una coalizione di ben 8 partiti e partitini. Figure politiche ben diverse fra loro, non solo nell’orientamento politico ma anche etnico e religioso ma accomunate tutte dal medesimo elemento: l’ostilità verso Netanyahu stesso.

l’attuale premier israeliano Netanyahu, fonte: ilGiornale

L’accordo poco prima della mezzanotte dell’ultimo giorno

Non ci si può esimere dal definire la svolta di questa settimana come una pagina storica per il paese, già solo nelle modalità con cui l’accordo è stato trovato. A pochi minuti dalla mezzanotte di mercoledì, termine ultimo per l’opposizione per riuscire a formare un nuovo governo. All’interno dello stesso ci saranno tutti. Dall’estrema destra che si batte per il sostegno delle colonie alla sinistra più pacifista che invece professa la pace con i palestinesi, fino a ricomprendere, ed è la prima volta, il sostegno di un partito islamista eletto dai palestinesi di Israele. Il tutto però senza mai menzionare la guerra con Hamas a Gaza. Troppo divisiva e rischiosa per la stabilità della già fragile coalizione.

 

L’ennesima fallimentare consultazione elettorale e le difficoltà di formare un governo

Le trattative per la formazione del nuovo governo sono iniziate lo scorso marzo, poco dopo le ultime elezioni. Queste, esattamente come le precedenti tre, non sono riuscite a indicare un chiaro vincitore. Il partito conservatore di Netanyahu, Likud, ha ottenuto il maggior numero di seggi nella Knesset (il parlamento israeliano) ed è dunque risultato naturale per il presidente israeliano incaricare il suo leader del mandato per formare il governo. Ma con la scadenza dell’incarico nei primi di maggio sono diventate palesi delle difficoltà oramai sistematiche: il malcontento verso Netanyahu non è mai stato così alto e il numero di seggi conquistati dal Likud non sono sufficienti nemmeno insieme ai suoi alleati storici.

Il mandato all’opposizione e le difficili trattative

Con il fallimento di Netanyahu l’incarico è stato dato all’ex giornalista televisivo Yair Lapid, il capo del partito centrista Yesh Atid e membro principale dell’opposizione. Questi aveva tempo fino al 2 giugno per consegnare un nuovo esecutivo al paese. Un’impresa che si è visto avere avuto esito positivo ma che lascia spazio a numerose perplessità. In primis, se e come sarà possibile far coesistere nella medesima formazione di governo figure così lontane fra di loro. Lapid ha infatti accolto chiunque potesse fornire un sostegno alla causa e tra questi spicca la presenza di Naftali Bennett, ex protetto del premier Netanyahu ed esponente dell’estrema destra israeliana oltre che un nazionalista-religioso. Bennet è riuscito ad ottenere, in cambio del suo appoggio, la promessa di divenire capo del governo fino al settembre 2023, e successivamente alla quale lascerà l’incarico proprio a Lapid.

Come farà una figura simile a coesistere all’interno di una coalizione in cui è presente Meretz, partito di sinistra pacifista e laico, e Ra’am, il primo partito islamista israeliano eletto da palestinesi residenti in Israele, è fonte di non poche preoccupazioni.

Bennet e Netanyahu, fonte: formiche.net

Proprio l’appoggio di un leader islamista rappresenta un primato storico. Mansour Abbas, leader del partito islamista moderato Ra’am ha infatti deciso di fornire il proprio supporto al nuovo esecutivo. Per superare tutti gli scogli e dare il proprio consenso però sono serviti una serie di interminabili riunioni nell’albergo Kfar Maccabiah. Le lunghe trattative avevano come fine quello di venire incontro alle richieste di Abbas e calmare il dissidio tra due ulteriori partiti della coalizione: Laburisti e Yamina. Ra’am voleva un impegno concreto a favore dell’edilizia della parte araba della società e il riconoscimento di località municipale per alcune località beduine del NegevLaburisti e Yamina, invece, desideravano entrambi la presidenza della Commissione che nomina i magistrati. Esattamente come per la guida dell’esecutivo anche qui ha prevalso il criterio della rotazione. I primi due anni sarà presidente Ayalet Shaked, numero due di Yamina, e gli altri due Merav Michaeli, leader dei Laburisti.

Con il raggiungimento dell’accordo adesso tocca al presidente della Knesset Yariv Levin. Questi dovrà indicare la data in cui verrà votata la fiducia al nuovo governo. Servono almeno 61 seggi su 120 e al momento la coalizione può vantarne 62. Un numero risicato che non permette di escludere eventuali sorprese non gradite: singoli deputati  dei partiti della coalizione hanno infatti fatto già sapere di essere in disaccordo e che si asterranno o voteranno contro.

L’elezione di Herzog a presidente dello Stato di Israele

La giornata di mercoledì si è conclusa, inoltre, con un ulteriore novità. Contestualmente al raggiungimento dell’accordo sul nuovo esecutivo è stato eletto il nuovo presidente d’Israele: Isaac Herzog. Questi conclude così la sua lunga ascesa al potere. Figlio di Chaim Herzog, che prima di lui è stato il sesto presidente di Israele, e già presidente dell’Agenzia Ebraica, è il rampollo dell’aristocrazia ashkenazita sionista che ha fondato Israele. Herzog ha battuto la sfidante Miriam Peretz di estrazione sefardita. Israele sembra dunque possa iniziare una nuova fase della sua storia recente, con numerosi volti nuovi e soprattutto con la presenza al governo di un partito islamico, per prima volta dalla creazione dello stato israeliano.

Il nuovo presidente d’Israele Isaac Herzog, fonte: money.it

Filippo Giletto