L’ombra di Chernobyl torna a far paura: il reattore si è davvero risvegliato?

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La notte del 26 aprile 1986 presso la centrale nucleare di Chernobyl, nell’attuale Ucraina settentrionale, si è verificato quello che ancora oggi, dopo oltre trent’anni, è ritenuto il più disastroso degli incidenti nucleari mai verificatosi al mondo. Ma cosa accadde davvero quella notte? Facciamo un passo indietro.

Come funziona un reattore nucleare?

Un reattore nucleare è un sistema in grado di produrre energia mediante processi di fissione nucleare, cioè la separazione del nucleo di un atomo in due prodotti di fissione. Quando il nucleo di un atomo di grandi dimensioni, come quello dell’uranio, viene scisso in frammenti nucleari radioattivi, si libera un’energia davvero enorme. Essa è dovuta alla rottura dei legami generati nel nucleo da quella che in fisica nucleare viene definita la forza nucleare forte’, in grado, in condizioni di stabilità, di vincere le forze repulsive che si generano tra i protoni, e quindi di tenere unito il nucleo stesso.

 

Fissione nucleare – fonte: ecoage.it 

Bombardando di neutroni il nucleo di un atomo come l’uranio, e provocandone la scissione, vengono liberati ulteriori neutroni, che interverranno nella scissione successiva, e così via, generando una vera e propria reazione a catena.

Tali processi avvengono all’interno del nocciolo di un reattore, detto anche core, strutturato da un certo numero di elementi di combustibile nucleare, tipicamente appunto l’uranio. Per controllare le reazioni nucleari, vengono inoltre inserite nel nocciolo le cosiddette barre di controllo, costituite da materiali come il boro, o la grafite borata, che hanno la funzione di abbassarne la temperatura. Se tali barre vengono inserite nel core, infatti, il sistema è considerato spento. Man mano che vengono estratte invece, le reazioni iniziano a susseguirsi, ed il sistema a scaldarsi e produrre energia. Durante una così delicata dinamica è di vitale importanza raggiungere una condizione di equilibrio: è necessario cioè che il fattore di moltiplicazione, ossia il rapporto tra i neutroni presenti in una generazione di fissioni nucleari e quelli presenti nella successiva, rimanga pari ad 1. Più tale valore aumenta, più aumenterà la reattività.

Un altro parametro fondamentale per garantire la sicurezza dei processi di reazione nucleare è il coefficiente di vuoto, indice pari al rapporto tra il volume della parte di vapore e il volume della miscela di liquido/vapore, presenti nella zona attiva del reattore. Valori positivi indicano un incremento della reattività, viceversa valori negativi ne indicano una diminuzione. In un reattore come quello di Chernobyl, appartenente alla classe dei reattori RBMK, l’acqua non veniva utilizzata come moderatore delle reazioni nucleari (cioè per rallentare il flusso dei neutroni veloci), ma solo come fluido termovettore, in grado cioè di trasportare calore. Il coefficiente di vuoto, nella centrale nucleare di Chernobyl, era quindi essenzialmente un valore positivo.

 

Reattore nucleare – fonte: Wikipedia 

Cosa è successo a Chernobyl il giorno dell’incidente?

Questo fattore di rischio ha notevolmente contribuito all’avvento del terribile incidente, tuttavia il vero problema fu un altro. Durante quello che voleva essere un semplice test per verificare la capacità delle turbine di raffreddare il nocciolo del reattore, l’ingegnere capo Leonid Fëdorovič Toptunov, disinserisce volontariamente il sistema di raffreddamento di emergenza: la potenza del reattore passa dopo poco più di mezz’ora dai 30 MW ai 200MW. Le barre di raffreddamento a grafite vengono inserite solo per un terzo all’interno del nocciolo. Temperatura e pressione salgono alle stelle, saltano i tappi delle condutture di combustibile pesanti 350 kg, e si schiantano poco dopo sulle strutture dell’impianto. Si tenta il reinserimento delle barre di raffreddamento ma la manovra non ha successo: il reattore ormai ha raggiunto una potenza pari a 120 volte quella normale. Si verifica l’esplosione: un mostro di mille tonnellate di combustibile nucleare viene scagliato in aria, rilasciando una quantità incalcolabile di radiazioni nell’atmosfera. Il disastro è ormai avvenuto.

Reattore dopo l’esplosione – fonte: agi.it

Il “risveglio” del reattore

Sono passati ormai più di trent’anni dalla terribile catastrofe, ma l’incubo non sembra essere del tutto passato. E’ di pochi giorni fa infatti la notizia di un possibile risveglio del tristemente famoso reattore numero 4 di Chernobyl, palcoscenico del più grande disastro nucleare della storia. Sembrerebbe infatti che nella stanza 305/2 in cui precipitarono dopo l’esplosione 170 tonnellate di uranio radioattivo, i sensori abbiano rilevato un grande aumento di neutroni, dovuti alla presenza di reazioni nucleari autosostenute.

Le cause certe sono ancora ignote, tuttavia un’ipotesi imputa paradossalmente l’evento all’installazione del nuovo sarcofago, impiantato per confinare in sicurezza i materiali radioattivi. Nel 2016 è stata infatti sostituita la prima struttura, inserita subito dopo l’incidente nel 1986, con un colosso in acciaio, alto 110 metri e pesante ben 36.200 tonnellate. A differenza della prima struttura di confinamento, l’ultima è stata designata per scongiurare le infiltrazioni di acqua piovana all’interno del reattore: l’assenza di acqua tuttavia, potrebbe aver aumentato le probabilità dei neutroni di scontrarsi con l’uranio, generando le reazioni a catena di cui sopra. Dall’impiantazione del nuovo sarcofago, infatti, il numero dei neutroni registrato dai sensori è raddoppiato.

Il rischio non è, sottolinea Anatolii Doroshenko dell’Istituto ucraino per la sicurezza nucleare, così allarmante come quello del 1986; tuttavia è sufficiente a far temere un’esplosione che possa coinvolgere le zone non stabili dell’edificio, rilasciando polvere radioattiva nella struttura.

Il mondo dell’energia nucleare è certamente tanto affascinante quanto terrificante. Come in ogni ambito della scienza, però, la ricerca si evolverà, andrà avanti… e chissà quante altre sorprese ci riserverà in futuro.

 

Giulia Accetta