Nomadland: 3 Oscar per una pellicola “d’autrice”

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Uno dei migliori film di quest’anno. Il cinema d’autore paga ancora: Hollywood riconosce i meriti di un film diverso dal solito e attuale- Voto UVM: 5/5

Nomadland si presenta da pellicola a basso budget: “soltanto” tra i quattro e i sei milioni di dollari spesi per produrla. Firmata dalla regista cinese Chloè Zhao, la prima asiatica ad ottenere un Oscar per la miglior regia e la seconda donna dopo Kathryn Bigelow (vincitrice con The Hurt Locker), Nomadland si è confermato vincitore di ben altri due premi Oscar, tra cui quello per miglior film; la terza statuetta va invece alla francese Frances McDormand, miglior attrice protagonista.

La pellicola ottiene inoltre l’ambitissimo e prestigioso Leone d’oro della Mostra Internazionale Cinematografica di Venezia, kermesse che si tiene nella Serenissima ogni due anni.

Nomadland: locandina. Fonte: cnn.com

La pellicola si basa  sul libro-inchiesta dall’omonimo titolo della giornalista statunitense Jessica Bruder; l’autrice scrive delle  storie di moderni nomadi Usa: la Bruder ha infatti vissuto per alcuni mesi a bordo di un camper, seguendo i viaggiatori lungo i loro itinerari.  Il periodo storico di riferimento è quello della crisi del 2008, innescata dal crack dei Sub-Prime.

Il film inizia con la ripresa in primissimo piano della protagonista Fern (Frances McDomand), cittadina del centro industriale di Empire, Nevada. Lo stabilimento di cartongesso “US Gypsum”, fulcro dell’economia locale, è costretto a chiudere i battenti a causa della scarsa domanda del prodotto; via via il centro si spopola, i negozi abbassano le serrande e Fern, perso il marito per un tumore, acquista un furgone e decide di abbandonare la città ormai quasi fantasma.

Quello della protagonista è un personaggio di finzione ma molto simile ai tanti “nuovi nomadi” americani descritti nel libro. Empire è altresì tanto simile a una di quelle città fantasma del West, ormai parte dell’immaginario collettivo di qualsiasi spettatore. Questo film d’autore potrebbe apparire un Western con al posto dei cavalli, furgoni e camper, anziché yankee, pistoleri cittadini che hanno superato la mezza età alla ricerca di un nuovo impiego o alle prese con  viaggi esistenziali.

La precarietà della vita nei camper, spesso fatta di sopravvivenza e sacrifici, è ripagata dai giorni trascorsi nella libertà dalla dipendenza dal denaro e dalle cose materiali, dal giudizio o buonismo di una parte della società borghese, temi che la regista asiatica affronta, senza mai sfociare in un’aperta critica al sistema borghese-capitalistico. A parlare saranno i racconti e le opinioni dei personaggi, fieri nella loro compostezza, sempre orgogliosi seppure provati – chi più chi meno – dalla vita.

A fare da leitmotiv della pellicola la fotografia del film e le riprese in primissimo piano dei personaggi, che andranno via via allargandosi con il dipanarsi della trama.

Uno dei primissimi piani di Fern, firmati Zhao. Bravissima l’attrice nella resa delle emozioni. Fonte: WordPress.com

Da subito emerge il contrasto/complementarietà fra i primissimi piani e le riprese lunghe se non lunghissime di straordinari paesaggi americani. Entrambi i tipi di ripresa faranno sì che chi guarda possa quasi sentirsi dentro la pellicola, quasi a peregrinare con la protagonista per gli States.

Fern trova lavori saltuari, tra i quali il più amato sembra essere l’impiego nella catena di impacchettamento di Amazon. Terminato il contratto sarà costretta a ripartire alla ricerca di nuove precarie occupazioni. La donna si districherà infatti fra lavoretti nell’ambito dell’agricoltura, paninoteche, pulizie, nonostante i 60 anni suonati, per poi far ritorno al colosso di Jeff Bezos.

Anche qui Zhao non vuole strizzare un occhio ai tanti critici di Amazon e del capitalismo, nonché alle lamentele dei lavoratori e l’azienda viene piuttosto mostrata come un gigante buono che offre lavoro dignitoso, dai ritmi umani, che pagherà a Fern persino il campeggio del suo furgone. Diversamente quindi, per citare un caso, dal film Furore (1940), che mostrava la crudezza dello sfruttamento dei lavoratori di inizio ‘900.

Nomadland non è un film di denuncia del capitalismo o il racconto di una società o di singoli personaggi in fuga. La pellicola narra piuttosto di persone ordinarie che vogliono vivere la vita diversamente. Mai appaiono eccentriche o strane, ma anzi serie e compite, fiere anche se provate. Decise ad andare avanti nel loro percorso alternativo.

Qualcuno fra i personaggi parla contro il capitalismo, contro il consumismo. Sarà Bob (Bob Wells), leader e sorta di santone di un campo di “nomadi” a spiegare : «Siamo rifiuti, ci hanno sfruttato e buttato via.» ma ancora con un tono di fiera compostezza, privo di isterismi, volgarità, rabbia eccessiva.

Nomadland è un film da vedere, anzi da gustare con calma e attenzione prendendosi il giusto tempo. Un lungometraggio dal sapore intimista, che riesce a mescolare bene dolce e amaro della vita senza scadere nella banalità di scene già viste e frasi già sentite. Non può certamente che meritare i tre premi Oscar, il Leone d’Oro e i nostri 5 punti.

Un esempio di una ripresa con una maggiore profondità; a fare da sfondo il sorgere o il tramontare del sole. Fonte: cloneweb.net

Marco Prestipino