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La lettera aperta di Davide alla città di Messina

Redazione UniVersoMe
lettera

Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta di Davide, ragazzo messinese vittima di discriminazione e insulti online da parte di un professore UniMe.

LETTERA APERTA ALLA CITTÀ
Ciao a tuttə!
Mi chiamo Davide ho 24 anni (ancora per poco) e vivo a Bologna come studente fuori sede, anche se sono messinese.
Sono uno di voi: uno di quelli che a 19 anni ha messo i suoi sogni dentro una valigia e, speranzoso, è salito su un treno in cerca di un futuro. So che in tanti e tante mi capirete. Sapete, io da Messina sono anche un po’ scappato: essere “diversi”, essere un adolescente queer in questa città è stata una delle cose più complicate della mia vita, e finalmente ora riesco a dirlo senza risentimento. Ora che, essendo lontano, ho imparato di nuovo ad amare il posto che ho lasciato.
Direte, perché? Ho capito del mio orientamento non conforme da piccolo, quando ancora frequentavo le scuole medie di Villafranca Tirrena, un posto ancora peggiore per essere queer. Così tanto che fino a 16 anni, ovvero dopo due anni in città, ho trovato il coraggio per uscire allo scoperto. È stato un momento molto bello: mi reputo fortunato per aver trovato un ambiente scolastico come quello del Liceo Classico La Farina dove questo non è mai stato un problema ed ho sempre ricevuto solidarietà dal contesto studentesco e dal corpo docenti. Questo contesto, una bolla, mi aveva fatto credere che oltre le porte del mio Liceo il mondo sarebbe stato lo stesso. Mi sbagliavo.
A 17 anni ho dato il mio primo bacio ad un ragazzo e ho conosciuto l’omofobia.
Qualcuno (anzi, più di qualcuno) mi vide sul gradino del binario 1 a dare quel bacio “proibito”: un gruppo di ragazzi iniziò a perseguitarmi sul treno e sull’autobus in direzione Palermo. All’inizio avevano cominciato con gli attacchi verbali da lontano, poi da vicino, sempre di più. Un po’ per paura (essendo in cinque contro uno), un po’ perché pensavo avrebbero smesso da soli, pensavo che ignorandoli sarebbe finita.
Ben presto questa persecuzione diventò cronica: facevamo sempre la stessa tratta ed erano sempre lì. Dagli abusi verbali sono poi passati agli abusi fisici, prima qualche spintone e poi l’evento che divenne un trauma: dopo avermi minacciato di morte, mi presero di peso in quattro e cercarono di buttarmi fuori dall’autobus (allora 81/) presso il curvone di Acqualadroni, dicendo che mi sarei dovuto schiantare sullo strapiombo e morirci. Davanti a tutta quella violenza gratuita, che non riuscivo a comprendere, non sapevo come reagire. La cosa peggiore di tutte però è stata vedere chiunque su quell’autobus (dall’autista all’ultimo passeggero) completamente indifferente. È stato questo il vero trauma: vedere che quella violenza era completamente normalizzata – quindi essere gay era ovvio portasse a questo. Ho vissuto con questa convinzione per anni. Ma – devo ammetterlo – se non ho completamente perso fiducia nella possibilità di combattere tutta questa violenza lo devo ad un ragazzo (che non ho mai ringraziato davvero e vorrei farlo ora, davanti a tutti e tutte). Ho ricordi confusi, perché quel periodo è stato un po’ rimosso. Dovrebbe essere un ex studente dell’artistico, di nome Giuseppe Marra: in uno di questi episodi sul bus fu l’unico a reagire, a dire ‘adesso basta’ e darmi il suo supporto. Mi aveva anche suggerito di andare a denunciare, che mi avrebbe accompagnato e che non era normale. All’epoca non lo feci perché avevo troppa paura, non volevo andare in una caserma a farmi ridere in faccia, a rivivere tutto per poi sentirmi dire che l’omofobia non è reato. Lo è la violenza, ma se oggi ad una donna che denuncia uno stupro chiedono perché ha denunciato dopo così tanto tempo, come fosse vestita e tutto questo, a me cosa potevano dire? In questo Stato semplicemente non esistiamo. Ma in realtà quel gesto è rimasto impresso nella mia mente: mi ha salvato da cose molto peggiori e quindi grazie Giuseppe, anche se dopo anni.
Ma quel ciclo di violenze non è semplicemente passato: ho smesso di prendere gli autobus di sera, ho vissuto nel terrore ogni volta che uscivo di casa, in fondo sei fr***o, succede. E così mia madre, la mia rete di amici e di conoscenti mi sono stati vicini e grazie a questi ho resistito altri due anni, fino a quando pochi mesi dopo il diploma mi sono lasciato tutto alle spalle, con sdegno.
Sette anni dopo sono una persona diversa: innanzitutto sono un attivista. Ho capito, rielaborato, attraverso percorsi personali e politici che quella violenza ha un nome e si chiama “cis etero patriarcato”, ovvero quell’orizzonte politico e sociale in cui le persone LGBT+ e le donne stanno un gradino sotto: è normale essere picchiatə per aver baciato la persona sbagliata, è normale subire fischi per strada per il semplice fatto di essere donna, è normale essere abusatə con i vestiti sbagliati; c’è questo sottofondo tetro che ribadisce che le strade pubbliche non sono di tutti noi ma sono degli uomini eterosessuali che con i nostri corpi possono fare ciò che vogliono: stuprarli, deriderli, picchiarli, oggetti di desiderio o scherno – semplicemente oggetti. Ho iniziato a capire che era così in qualsiasi spazio pubblico e il web non faceva eccezione. Gli insulti omofobi erano all’ordine del giorno e semplicemente mi sono abituato.
Per questo, all’inizio, quando X.X., professore dell’Università di Messina, ha iniziato la sua persecuzione virtuale iniziando da dicembre 2020 e con l’ultimo caso qualche giorno fa, ho solo ignorato la cosa. Avevamo contatti indiretti perché militavamo in due organizzazioni vicine e si sa, nelle comunità piccole, ci si conosce tutti e tutte. Quando ho abbandonato questa organizzazione per la scarsa attenzione dedicata a queste tematiche, che mi faceva sentire fuori posto anche nella mia comunità politica, il professore ha rincarato la dose. Ho cercato di eliminarlo dagli amici, sperando che bastasse dal dissuaderlo nel commentare i miei post a tematica LGBTQIA+. Evidentemente non è bastato.
Da un mio commento riguardo il cat-calling su un gruppo privato (da cui è stato bannato per sessismo e omofobia), inizió a commentare miei vecchi post insultando me e i miei amici, dicendo che “gli etero non ci avrebbero dovuto mettere al mondo” e poi, facendo screen dei miei post, pubblicandoli sul suo profilo, incitó i suoi amichetti ad andare sul mio profilo sostanzialmente ad insultarmi, dando il meglio di sé.
“Fr***o perso”, “Per questo militanza è parlare dei suoi pruriti sessuali”, “Fatelo tornare giù e vedi come lo pestano, tanto a questi piace pure”.
Questo è stato il tenore dei commenti. Però qualcosa ha cambiato tutto: mi ha ricordato di essere di Messina. Un flashback: e se lo rifacesse? Se lo rifacesse con uno più piccolo, con meno reti, esattamente come Davide 7 anni fa? Altre vite devastate? Per questo questa volta ho deciso di denunciare, perché oggi sono in una comunità, oggi al mio fianco ci sono Liberazione Queer+ e Arcigay Messina insieme ad altre realtà (non solo messinesi): non sono solo, “mai più” come mi ha ricordato il mio amico di una vita.
Se vi scrivo questa lettera non è per muovere compassione. Sinceramente non ce ne facciamo molto, quanto per smuovere le coscienze. Alla mia comunità, che a Messina è sempre più organizzata, voglio dire: urlate, denunciate nelle forme che vi sembrano più opportune, rompete questo non detto. Questa convinzione di sottofondo che è normale! Denunciate prima di tutto a voi stessə: urlate che questa violenza fa schifo! Alla comunità cittadina in generale: non siate indifferenti. Le parole devastano le esistenze e specie quando hai 16 anni lasciano ferite che non rimarginano. Pensate, siate complici, dimostrate e dimostriamo cosa significa vivere in una città portuale al centro del Mediterraneo: solidarietà.
Per secoli siamo stati e siamo ancora l’Altro: sicilianə al Sud, terronə al Nord, persone troppo povere, pigre, disordinate, buone ad intrattenere qualcuno e basta. Sapete, è così che ci sentiamo noi persone LGBTQIA+ ogni giorno della nostra vita, freaks e fonte di intrattenimento. Questi pregiudizi vi fanno incazzare, ogni volta che la nostra Sicilia viene dipinta come immorale, criminale, mafiosa, vero? Allora ci potete capire, anche noi lo subiamo come messinesi ma anche come persone queer.

Davide, un terrone, povero, LGBT, sempre fuori posto.