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Giornata internazionale della donna. Tra storia, leggenda e dati reali

Attualità
Una manifestazione per la giornata internazionale della donna a Giacarta, in Indonesia, di oggi, 8 marzo 2021 (Fonte: ansa.it – AP Photo/Dita Alangkara, LaPresse)

Tra leggenda e fatti storici, oggi ricorre la Giornata internazionale della donna.

Ancor prima di iniziare una piccola analisi su quella che è la situazione attuale della condizione delle donne nel mondo, tra diversità culturale e generazionale, è doveroso ricordare che oggi si “celebra” e non si “festeggia” l’8 marzo.

Con questo non si vuole di certo imporre a nessuno un modo ben preciso di trascorrere tale giornata, né storpiare la faccia davanti a uno scambio di auguri e mimose, ma ricordare i motivi che hanno portato all’istituzione di tale giornata, per ricordare l’importanza della riflessione su tematiche fondamentali.

La storia dell’8 marzo

Era il 1909, quando negli Stati Uniti, su iniziativa del Partito socialista americano, le americane furono invitate a partecipare a una manifestazione in favore del diritto di voto femminile. Il Women’s Day venne organizzato anche l’anno seguente, sempre per la concessione del diritto di voto, ma anche per altre rivendicazioni sindacali. Così, nell’estate del 1910 la questione fu portata all’attenzione del VIII Congresso dell’Internazionale socialista, organizzato a Copenaghen. In quell’anno non si raggiunse un accordo per tutto il mondo, ma negli Stati Uniti l’ultima domenica di febbraio continuò ad essere una giornata della donna, mentre in altri Paesi europei vennero scelte altre date, legate a motivi diversi: per questo furono scelte altre date.

Il primo 8 marzo ad esser festeggiato come “festa della donna”, fu quello del 1914, forse solo perché era una domenica.

Tre anni dopo, però, nel 1917, l’8 marzo, le donne di San Pietroburgo – capitale dell’impero zarista russo – organizzarono una protesta perché si ponesse fine alla Prima guerra mondiale. Quattro giorni dopo lo zar abdicò, mentre si consumava una profondissima crisi, e il governo provvisorio concesse alle donne il diritto di voto. Era il 23 febbraio per il calendario all’epoca in uso in Russia. Fu questo l’evento con cui coincide l’inizio della Rivoluzione di febbraio. Nel 1922, Lenin istituì l’8 marzo come festività ufficiale.

Questa veniva comunque celebrata ormai in gran parte del mondo quel giorno. Ciò spinse le Nazioni Unite ad adottare convenzionalmente questa data come ufficiale a livello mondiale nel ’77.

Per iniziativa del neonato Pci, la prima giornata della donna in Italia fu celebrata il 12 marzo 1922, prima domenica dopo il fatidico 8 marzo russo, tradizione abolita dal regime fascista e ripresa nel 1945, con la guerra ancora in corso, come prima Festa della Donna dell’Italia libera.

(fonte: meteoweb.eu)

Dunque, erroneamente si dice che la ricorrenza viene celebrata in tale giorno in ricordo di un incendio – peraltro, mai avvenuto – divampato nella fabbrica tessile Triangle di New York; effettivamente ci fu un incendio il 25 marzo del 1911 nel quale morirono 140 persone, soprattutto donne immigrate italiane e dell’Europa dell’Est, ma neanche questo non fu il motivo dietro l’istituzione della giornata.

Parità di genere. A che punto siamo?

“Un salario minimo europeo e reddito di autodeterminazione, socializzazione della cura, welfare universale e non familistico, un permesso di soggiorno europeo non condizionato al lavoro e alla famiglia, diritto alla salute e all’autodeterminazione, priorità della salute ecosistemica rispetto ai profitti.”. Questo è ciò che chiede il movimento italiano Non una di meno”, uno dei tanti in tutto il mondo che sostengono le donne nel cammino verso il raggiungimento della parità di genere, l’obiettivo verso cui si cerca di spingere la società e che l’Onu stessa ha inserito nell’Agenda 2030.

Guardando la situazione attuale molti credono che ciò non sarà possibile. È stata addirittura fatta una stima: senza una vera e propria svolta, ci vorranno ancora sessant’anni per raggiungere la piena parità, almeno in Italia.

Purtroppo nel nostro Paese, nel 2020, si è registrato, inoltre, un tasso più alto di femminicidi e violenze sulle donne rispetto al 2019. L’incidenza percentuale di donne uccise è passata dal 35,2 per cento del 2019 al 41,1 del 2020.

Una delle manifestazioni di oggi, in Italia (fonte: larepubblica.it)

I dati relativi, nello specifico, al nostro Paese, alla condizione della donna, già a livello mondiale svantaggiata, risultano al di sotto della media europea.

Tra il 1977 e il 2018, in Italia, il tasso di occupazione femminile è aumentato dal 33,5% al 49,5%. Un ritmo più sostenuto rispetto a molti Stati dell’Ue, ma è ancora al 14° posto per la velocità di progresso verso la parità. Inoltre, se si guarda al tasso di occupazione equivalente a tempo pieno, l’Italia è all’ultimo posto della graduatoria europea con un punteggio pari a 31, contro il 59 della Svezia e il 41 della media europea.

Nel nostro Paese, si deve anche fronteggiare, anche in questo caso, il gap tra Nord e Sud: nel 2018, solo il 32% delle donne meridionali erano occupate, mentre al Nord il 60%. Un altro aspetto da non dimenticare è la difficoltà nel cambiare posto di lavoro, una difficoltà che, in realtà, è quasi un “immobilismo”.

Secondo dati Ocse, soltanto il 5% delle ragazze quindicenni in Italia aspira a professioni tecniche o scientifiche e, spesso, dietro vi è uno stereotipo culturale, secondo cui le donne sarebbero “più portate” verso professioni di cura, empatiche, di assistenza.

Nel 2018, erano 6mila in più rispetto all’anno precedente le aziende al femminile e, confrontando il dato con il valore di cinque anni fa, sono aumentate del 2,7%. Però, purtroppo, il valore assoluto è anche frutto dell’apporto dall’estero: sono 4mila le nuove aziende condotte da imprenditrici non italiane. Uno dei problemi principali, è la difficoltà nell’accesso al credito, come emerge in una indagine di Cna: il 56% delle donne intervistate ha sostenuto che, a parità di altre condizioni, un uomo è avvantaggiato nelle relazioni con le banche. L’imprenditorialità è una delle chiavi fondamentali per l’emancipazione femminile: sempre più protagoniste femminili nell’economia darebbe più slancio alla piena realizzazione dell’uguaglianza di genere. In Italia, la percentuale di patrimoni superiori a 50mila euro detenuta dalle donne sarebbe in linea con quella maschile, con un 15% di donne capofamiglia con un patrimonio considerato “abbondante” contro il 18% degli uomini.

Questo è un dato positivo che ci ricorda che, in realtà, qualcosa ormai è in azione e che va alimentato con il contributo di tutti, non solo delle donne. Si tratta di un dato riguardo l’economia, è vero, ma, maggiore indipendenza economica significa una conquista in più verso il raggiungimento della parità. Capire di avere un ruolo attivo anche a livello economico, molto più che in passato, è una spinta verso l’acquisto della consapevolezza di avere lo stesso valore di un uomo in generale.

A creare un rallentamento è stata la pandemia, che ha costretto le donne a fronteggiare nuove sfide. Si parla di una “She-cess”, una recessione femminile. Anche se, in questi mesi, rispetto agli uomini, le donne sono state più resilienti contro il virus, sono tra i soggetti più deboli nel mercato del lavoro. Questa crisi sta investendo soprattutto il settore terziario insieme a tutti quelli in cui le donne sono molto presenti, come turismo e ristorazione. Più del 50% delle richieste di cassa integrazione e più del 75% delle richieste di congedo-Covid sono arrivate da donne.

Nuovi sani modelli a cui ispirarsi

Abbiamo bisogno di uscire da questa crisi cambiati. Abbiamo bisogno di modelli positivi con i quali costruire una società più sana e capace di affrontare coesa eventuali altre sfide; esempi positivi, che, fortunatamente, già ci sono e anche in buona quantità, che vengono anche dalle generazioni più giovani, dimostratesi molto combattive. Donne libere e soddisfatte di sé che possano ispirare le bambine e le ragazze di oggi nel costruire una propria identità lontano da etichette mortificanti.

In Italia, ad esempio, abbiamo un ottimo esempio dal mondo dello sport con la squadra di calcio femminile nazionale. Il calcio femminile è nato all’inizio del Novecento, ma solo negli ultimi vent’anni si è cominciato ad allontanare dalla dimensione dilettantistica e avvicinarsi al professionismo, attirando l’interesse del pubblico e di sponsor. Le calciatrici italiane hanno conquistato numerosi titoli, dimostrando la necessità che il loro valore da sportive debba esser necessariamente riconosciuto al pari di quello di sportivi maschi.

Insomma, dovremmo accogliere gli input, per fortuna numerosi, che arrivano da alcune realtà positive, affinché la parità di genere sia un valore di tutti, donne e uomini.

Infine, è bene, però, anche sottolineare che i modelli a cui ispirarsi, rimangano, per l’appunto solo dei modelli e non diventino delle nuove etichette che finiscano per costruire altre gabbie. È bene sostenere l’ideale di una donna forte, senza che questo diventi un dovere con cui ogni donna debba confrontarsi, perché ognuna ha anche il diritto di essere fragile.

Rita Bonaccurso