Gli Usa dell’era Biden bombardano le milizie filoiraniane in Siria: i motivi delle tensioni tra i due Paesi

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Attacco Usa in Siria. Fonte: Il Riformista

Giovedì 25 febbraio gli USA hanno compiuto un attacco aereo – il primo dall’insediamento del presidente Joe Biden – contro alcune milizie appoggiate dall’Iran nella zona orientale della Siria, al confine con l’Iraq. Si è trattato di una risposta all’attacco del 15 febbraio scorso contro la base statunitense di Erbil, nel Kurdistan Iracheno. Di qualche giorno fa, invece, la notizia del rifiuto dell’Iran di partecipare a un colloquio informale per la negoziazione di un accordo sul nucleare con gli Stati Uniti.

Il Pentagono statunitense risponde alle provocazioni iraniane

La prima azione militare dell’amministrazione Biden è stata ordinata come avvertimento a Teheran (capitale dell’Iran): dopo le consultazioni del presidente col capo del Pentagono Austin e con gli alleati, sono state sganciate ben sette bombe da 500 pound di esplosivo – cioè circa 227 chili – nella zona di confine tra Al Qaem e Abu Kamal. Un chiaro segnale di non tolleranza di ulteriori provocazioni iraniane, dopo quelle dello scorso 15 febbraio, delle quali sono stati responsabili i militanti legati alla Repubblica islamica.

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Fonte: The New York Times

Con questa azione il capo della Casa Bianca ha voluto inoltre dimostrare di non essere debole nei confronti dell’Iran e né tanto meno pronto a fare qualsiasi concessione pur di ripristinare l’accordo nucleare, come sostenuto dagli oppositori interni repubblicani. In ogni caso, il Pentagono ha risposto con forza solo dove gli faceva più comodo, ovvero in territorio siriano, proprio per non mettere in difficoltà il governo iracheno con cui spera in una collaborazione per il contenimento delle infiltrazioni iraniane.

“La decisione di colpire in Siria invece che in Iraq avrebbe probabilmente evitato di causare problemi al governo iracheno, un partner chiave nei continui sforzi contro l’ISIS”, ha detto un alto funzionario del Pentagono di nome Michael P. Mulroy in una e-mail. “È stato astuto colpire in Siria ed evitare il contraccolpo in Iraq”.

Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha detto che nell’attacco statunitense sono stati bombardati alcuni edifici appartenenti alle milizie filoiraniane, tra cui Kataib Hezbollah e Kataib Sayyid al-Shuhada, che venivano usate per far arrivare le armi da un Paese all’altro (Siria e Iraq). Senza specificarne il numero, è stato aggiunto poi che durante l’attacco sono stati uccisi diversi miliziani: l’Osservatorio siriano per i diritti umani, che da anni monitora la guerra in Siria, ha parlato di 17 miliziani morti.

L’attacco iraniano del 15 febbraio

La mappa dell’attacco iraniano alle basi in Iraq. Fonte: la Repubblica

La risposta militare statunitense è arrivata in seguito agli attacchi missilistici in Iraq verso una base aerea ospitante alcune truppe statunitensi vicino all’aeroporto di Erbil, il lunedì sera del 15 febbraio 2021. Durante l’attacco è stato ucciso un contractor, vale a dire un soldato professionista chiamato a lavorare a pagamento in zone di guerra, e sono state ferite altre 9 persone.

L’offensiva è stata rivendicata dal gruppo Awlya al Dam (che significa ‘’i guardiani del sangue’’), una milizia emersa di recente che, a detta di molti, sarebbe appoggiata dai principali gruppi sostenuti a loro volta dall’Iran e ostili agli USA, tra cui Kataib Hezbollah.

La BBC ha escluso che il contractor ucciso fosse di nazionalità americana, scansando così il rischio di ripetere quanto accaduto poco più di un anno fa: allora il governo statunitense aveva risposto al lancio di alcuni razzi, provocanti l’uccisione di un contractor americano, bombardando cinque siti in Iraq e in Siria controllati dalla milizia irachena Kataib Hezbollah e uccidendo più di 20 persone.

L’Iran si rifiuta di negoziare

La scorsa domenica, il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Saeed Khatibzadeh ha fatto sapere che l’Iran non ha alcuna intenzione di riprendere i negoziati con gli Stati Uniti sul dossier nucleare. L’incontro – organizzato alcuni giorni fa dall’Unione Europea – è stato a sua detta rifiutato per gli stessi motivi per cui non c’era stato un meeting con l’ex presidente Donald Trump, ossia per via delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti sull’economia iraniana. Anche se il recente attacco aereo statunitense ha cambiato le carte in tavola, il rifiuto dell’Iran non è stato affatto scontato, dal momento che negli ultimi giorni sembrava esserci la possibilità di ripresa delle trattative.

Cos’è l’accordo sul nucleare?

L’accordo sul nucleare iraniano venne firmato a Vienna il 14 luglio 2015, dopo lunghi negoziati tra l’Iran e i membri del Consiglio di sicurezza dell’ONU con il potere di veto (Regno Unito, Francia, Stati Uniti, Russia e Cina) più la Germania, vale a dire i paesi del cosiddetto “5+1”.

I ministri degli Esteri dell’Iran e del P5+1, annunciano l’accordo a Vienna, 14 luglio 2015. Fonte: Wikipedia

L’obiettivo era quello di sorvegliare le attività della Repubblica islamica dell’Iran in campo atomico, coinvolgendo nel patto le grandi potenze mondiali. Ciononostante, nel maggio 2018, l’allora presidente americano Donald Trump annunciò l’uscita degli Stati Uniti dal patto: fu in quell’occasione che vennero reintrodotte pesanti sanzioni economiche nei confronti di Teheran. L’Iran, in risposta a tale decisione, cominciò a ridurre gradualmente i suoi obblighi previsti dall’accordo, arrivando infine ad annunciare l’intenzione di un arricchimento di uranio che segnò la fine del patto. La decisione arrivò dopo la crisi scatenata dalla morte del generale iraniano Qassem Soleimani, ucciso il 3 gennaio 2020 in un raid aereo statunitense all’aeroporto di Baghdad.

Negli ultimi anni i paesi europei coinvolti nel patto tentarono in tutti i modi di salvare l’intesa, per esempio mediante l’introduzione di meccanismi per aggirare gli effetti delle sanzioni americane sulle aziende europee. I risultati però non furono quelli sperati ed è per questo motivo che, dopo anni di chiusure e tensioni, sarebbe stato importante che le due parti fossero ritornate a negoziare.

Gaia Cautela