Un anno dalla detenzione di Zaki: UniMe si illumina di giallo per sostenerne la liberazione

Redazione Attualità
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Il 7 febbraio 2020 veniva fermato nell’ aeroporto del Cairo Patrick George Zaki, studente egiziano dell’Università Alma Mater di Bologna. A un anno dall’ingiusta carcerazione del giovane attivista, l’Università degli studi di Messina aderisce all’iniziativa solidale proposta da Amnesty International (sez. Sicilia) per sostenerne la liberazione.

L’impegno di UniMe

Nel comunicato stampa dell’ateneo messinese, pubblicato oggi, si ribadisce il sostegno e l’interesse per la tutela dei diritti umani, aprendo all’iniziativa che vedrà il Palazzo della Sede centrale illuminato di giallo nella serata dell’8 febbraio.

Numerose le manifestazioni di solidarietà da parte delle università italiane, tra cui Unime, il cui impegno sulla vicenda è tra i più notevoli. Nei mesi scorsi lo stesso Rettore, il professore Salvatore Cuzzocrea, ha partecipato all’appello della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) che rilanciava la petizione in favore del ritorno a casa dello studente, luogo in cui avrebbe potuto riprendersi dalle sofferenze psicologiche inferte durante la detenzione. Le parole del vice presidente della Conferenza:

«Esprimo, anche a nome di tutta la Comunità Accademica, apprezzamento per la delibera della Giunta comunale di Messina sulla cittadinanza onoraria per Zaki e speriamo che questa mobilitazione degli atenei di tutto il nostro Paese e delle Istituzioni possa servire a muovere le coscienze. Ringrazio chi ha aderito e credo che il gesto dell’Amministrazione Comunale sia in piena sintonia con la campagna della CRUI».

Patrick Zaky, attivista e studente di UniBo. Fonte: Il Fatto Quotidiano.

Le accuse

Attivista per i diritti umani e collaboratore dell’associazione Eipr (Egyptian initiative for personal rights), Patrick è stato anche ex manager della campagna presidenziale di Khaled Ali, oppositore dell’attuale presidente Al-Sisi. La Freedom House, ong americana che si occupa di diritti civili e umani, non solo ha dichiarato l’Egitto “paese non libero” ma accusa Al-Sisi di governare in maniera sempre più autoritaria con la repressione dell’opposizione laica e islamista.

Quello che doveva essere un breve viaggio nella sua terra d’origine si è ben presto rivelato una detenzione di 12 mesi trascorsi nelle carceri egizie. Le accuse vanno dal rovesciamento del regime di potere (per cui è previsto il carcere a vita), all’incitamento alla manifestazione illegale, diffusione di notizie false e propaganda per il terrorismo. Torture, percosse, scariche elettriche, interrogatori lunghi giornate intere sono solo alcuni dei supplizi subiti dal giovane universitario, il quale è stato trasferito da Monsoura (sua città natale), al carcere di massima sicurezza di Tora, già molto noto come luogo in cui vengono sistematicamente violati i diritti umani dei detenuti.

Medesima sorte toccata poi a novembre scorso anche ad altri componenti dell’ong Eipr, con cui lo stesso Zaky collaborava: Mohammed Basheer, direttore amministrativo, Karim Ennarah, direttore per la parte giustizia penale, Abdel Razek, direttore generale.

Gli appelli per la scarcerazione e i rinvii della custodia cautelare

Nonostante le mobilitazioni per la sua scarcerazione da parte di atenei italiani ed europei, il presidente della Regione Emilia Romagna Bonaccini, il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, numerose personalità parlamentari, fino all’appello virtuale dell’attrice Scarlett Johansson, i numerosi rinnovi della custodia cautelare da parte delle autorità egiziane continuano a perpetuare una condanna profondamente ingiusta. L’ultimo rinvio a inizio febbraio, con cui si stabilivano ulteriori 45 giorni di prigionia.

Le lettere dal carcere

Intanto, nelle due ultime lettere giunte dal carcere alla famiglia (datate 22 novembre e 12 dicembre), Patrick Zaki scrive delle sue sofferenze fisiche ma soprattutto psicologiche, angosciato per il suo futuro e i suoi studi: «Le recenti decisioni sono deludenti come al solito, senza una ragione comprensibile. Ho ancora problemi alla schiena e ho bisogno di forti antidolorifici e di qualcosa per dormire meglio» e ancora «Continuo a pensare all’Università, all’anno che ho perso senza che nessuno ne abbia capito la ragione. Voglio mandare il mio amore ai miei compagni di classe e agli amici a Bologna. Mi mancano molto la mia casa lì, le strade e l’università».

Lettera di Zaki giunta alla famiglia lo scorso 12 dicembre. Fonte: AGI.

Ad unirsi al dolore della famiglia di Zaki anche i coniugi Regeni, che in questo anno hanno levato forte l’appello di giustizia per lo studente bolognese. Un appello rivolto in particolar modo alle istituzioni italiane, a cui si chiede un intervento quanto più urgente affinché non si verifichi l’ennesima vittima innocente per azione congiunta tanto di meccanismi di potere autoritari quanto dell’inefficacia da parte dello Stato nella protezione dei suoi cittadini.

Alessia Vaccarella