Russia, quando un paese civile manca nella tutela dei suoi cittadini

Redazione Attualità
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Domani inizierà un processo fondamentale per la storia dei diritti civili in Russia, quello “contro” le sorelle Khachaturyan. Il virgolettato è una precisazione doverosa da fare: le sorelle sono accusate di aver ucciso il padre ma se gli stessi fatti fossero successi in Italia il suddetto processo non avrebbe ragione di esistere né tanto meno esisterebbe.

Le tre sorelle Khachaturyan con il padre. Fonte: Daily Mail

Le premesse

Kristina, Angelina e Maria sono tre dei quattro figli del 57enne Mikhail Khachaturyan, un uomo benestante conosciuto per la sua forte religiosità. Non aveva un lavoro stabile e viveva con la famiglia a Mosca, precisamente in periferia. Secondo la CNN, era un eroinomane legato alla mafia russa. Mikhail e la moglie Aurelia Dunduk si sono conosciuti nel 1996 e le premesse matrimoniali non erano esattamente rosee. Aurelia racconta di essersi sposata piangendo, non di felicità ma a causa delle percosse.

Percosse che non si sono fermate nemmeno durante la prima gravidanza. Quando nacque Sergey, il primogenito, l’orco ha trovato un nuovo sfogo e, come scusa per le percosse al figlio, asseriva che lo facesse per “educarlo“. Tutti notano la situazione interna alla famiglia ma nessuno si espone. Nessuno denuncia. Nemmeno gli insegnanti. Quando poi nascono le tre figlie femmine, l’orco si trasforma in qualcosa di peggiore.

Qualcosa inizia a muoversi quando il figlio maggiore e la moglie denunciano l’uomo. Il mostro già abusava delle tre  figlie quando venne accusato di violenza domestica ma le testimonianze di Sergey e Aurelia in tribunale non portano a nulla. Anzi, portano i due fuori dalla porta di casa. Da quel momento in poi le ragazze diventano proprietà dell’uomo e vengono videosorvegliate in continuazione. Gli abusi a quel punto non hanno più limiti. Non si tratta esclusivamente di violenze sessuale, ma anche di violenze verbali e psicologiche.

Essendo sole con lui e non avendo nessuno dalla loro parte, non hanno strumenti per difendersi: non possono uscire, non possono vedersi con gli amici, non possono andare a scuola. Hanno il diritto di “vivere le quattro mura di casa loro” e di essere delle vere e proprie schiave. Gli abusi continuano e più passa il tempo, più sono disumani. Fino a quando Angelina, Kristina e Maria non ce la fanno più e scoppiano.

Kristina, Angelina e Maria. Fonte: Corriere della Sera

I fatti

Hanno rispettivamente 19, 18 e 17 anni quando nel luglio 2018 non ce la fanno più. Le torture sono diventate troppo da ” sopportare” e capiscono che quella non è vita. Le indagini si aprono il 27 luglio, quando il corpo del mostro viene trovato senza vita sul pianerottolo di casa. Ha decine di ferite da lama sul petto e una mortale sul collo. In casa vengono trovate varie armi come una balestra, un martello e dei proiettili.

Le indagini rivelano anche le dinamiche: Mikhail torna a casa alterato il 27 luglio da una visita in un centro di igiene mentale. Subito se la prende con le figlie e decide di punirle spruzzando loro dello spray urticante sugli occhi e poi le minaccia con un coltello. “Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso” ha detto la figlia Maria agli inquirenti.

Il mostro si mette a sonnecchiare tranquillamente dopo l’ennesima angheria. Le figlie lo guardano e poi decidono: lo aggrediscono con un coltello (lo stesso coltello usato poco prima per minacciarle) e un martello mettendo fine alla sua vita. Lui prova a scappare agonizzante ma muore sulle scale di casa. Il peggio sembra passato ma subito si rendono conto di essere incappate in qualcosa di più grande: il bigottismo cristiano-ortodosso che caratterizza gli ambienti russi.

Il padre Mikhail. Fonte: Dagospia

Il processo

Le ragazze diventano subito le prime sospettate dell’omicidio e vengono arrestate. Confessano e testimoniano più e più volte davanti a inquirenti, dottori e avvocati le torture perpetrate dal padre. Anche le prove raccolte sono schiaccianti e confermano la loro testimonianza, che è uguale per tutte e tre.

Lo odiavamo e l’unica cosa che volevamo era che scomparisse per sempre o che non lo avessimo mai conosciuto.

Quando il processo inizia, si divide in due. Da un lato ci sono Kristina e Angelina, all’epoca dei fatti maggiorenni e nel pieno delle loro facoltà; dall’altro Maria, che non aveva ancora compiuto 18 anni. Prima vengono accusate di premeditazione, poi si aggiunge l’aggravante della cospirazione. La pena in questi casi va dagli 8 ai 20 anni secondo il Codice penale russo. Gli ambienti religiosi e conservatori fanno pressione per il massimo della pena ma a loro si oppongono i cittadini russi.

Questi ultimi infatti si mobilitano immediatamente: varie petizioni online raggiungono le 115.000 firme e le proteste raccolgono migliaia di partecipanti nelle piazze di Mosca e San Pietroburgo. A loro si uniscono l’ex candidato alla presidenza Ksenia Sobchak e il cantante dei System of a Down, Serj Tankian. Gli esperti di violenza domestica dicono che la causa di tutto ciò è da imputare alla quasi totale assenza di meccanismi protettivi all’interno sia delle forze dell’ordine sia del sistema giudiziario.

Un esempio di questa mancanza è data dalla cosiddetta “legge sugli schiaffi“, una legge che rende la violenza domestica un illecito amministrativo meno grave. Con questa legge, voluta fortemente dalla parlamentare conservatrice Yelena Mizulina, i reati “commessi nell’ambito familiare che non provocano ‘seri danni corporali’ sono puniti con una multa di circa €300 e 15 giorni di ‘arresto’“. Tutto ciò fa sì che, secondo varie associazioni indipendenti, in Russia circa 9.600 donne ogni 12 mesi siano vittime di abusi domestici. Per lo Stato russo però le statistiche sono meno gravi e contano 1000 omicidi e circa 300 vittime di violenza domestica nello stesso lasso di tempo.

Le sorelle in tribunale. Fonte: TGcom24

La tutela della famiglia ed il confronto con l’Italia

Secondo Amnesty International, “la violenza contro le donne è ancora diffusa e non adeguatamente contrastata“. Inevitabilmente sorge spontaneo voler paragonare lo Stato russo a quello italiano: se la stessa cosa fosse capitata in Italia (un padre-orco che tiene prigioniere le figlie e le violenta in continuazione privandole della libertà e che viene ucciso dalle stesse) cosa sarebbe successo? Si sarebbero fatte pressioni per avere una determinata pena? Ci sarebbe stata o meno una indignazione così vasta? Come sarebbero viste le ragazze, come vittime o come carnefici?

La risposta è quanto meno scontata: le accuse sarebbero cadute nella legittima difesa. Il nostro ordinamento giuridico afferma che sussiste la legittima difesa anticipata, cioè prevede il caso in cui una donna uccide l’uomo con cui vive se lei subisce sistematicamente delle violenze da parte di quest’ultimo. Come mai la stessa cosa o qualcosa di simile non è previsto nella legislazione russa? La risposta è controversa. Lo Stato russo non vuole interferire negli affari di famiglia. Questo è l’allarme su cui gli attivisti per i diritti umani fanno luce e sostengono che questa politica condanna una serie di persone che potrebbero invece essere salvate.

Diversi sono stati i tentativi di introdurre una legge per contrastare la violenza ma hanno tutti fallito. A dicembre verrà proposta una nuova legge che dovrebbe fornire validi strumenti alle vittime come ad esempio aiuti legali per impedire i contatti tra vittime e aggressori oppure l’allestimento di veri rifugi per potenziali vittime. Tuttavia non è certa la sua approvazione: molti deputati (perlopiù conservatori sostenuti dal clero locale) si oppongono in modo deciso al grido di: “la famiglia è il posto più sicuro sulla terra“.

Oksana Pushkina è una delle rare parlamentari che si battono per questa legge ma confessa di aver ricevuto varie ritorsioni nonostante le prove depositate alla Duma secondo cui “il 70 % delle famiglie sconta violenze domestiche; nell’80% dei casi le vittime sono donne. La categoria successiva sono gli anziani, poi i bambini”.

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Sarah Tandurella