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Perché abbiamo paura del Ponte sullo Stretto?

Universome Redazione
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Redazione UniVersoMe
messina opere ponte stretto

Paura: stato emotivo consistente in un senso di insicurezza, di smarrimento e di ansia di fronte a un pericolo reale o immaginario o dinanzi a cosa o a fatto che sia o si creda dannoso […]

Questa è parte della definizione di paura tratta dall’enciclopedia Treccani; come potete notare, non sono esclusi i pericoli immaginari, elemento che rende valido il titolo di questo articolo. Perché – ad oggi – siamo ancora sul piano dell’immaginazione.

Fare un bilancio dei pro e contro sulla realizzazione di un’infrastruttura così imponente potrebbe sembrare una sfida ardua per chiunque: basti pensare ai numerosi aspetti da tenere in considerazione, che richiederebbero certamente un approccio multidisciplinare. Approccio che, per ovvi motivi, non sono in grado di adottare e che – in questi casi – è affidato, tra le altre possibilità, a una VIA (Valutazione dell’Impatto Ambientale) per comprendere a fondo quale sarà l’effetto a breve e lungo termine della realizzazione di una nuova opera pubblica nel contesto in cui sarà edificata.

La valutazione di impatto ambientale (VIA) è una procedura amministrativa di supporto per l’autorità competente (come Ministero dell’Ambiente o Regione) finalizzata ad individuare, descrivere e valutare gli impatti ambientali di un’opera, il cui progetto è sottoposto ad approvazione o autorizzazione (DL 152/06 – art. 5, lettera b) – Fonte: tuttoambiente.com

Mi sono chiesto, da cittadino messinese, cosa mi spaventasse realmente di questa gigantesca opera edilizia; già in questa definizione ho trovato alcune risposte.  Ma andiamo per ordine: ricostruire le complesse vicende che hanno portato alla progettazione e – ad oggi – mancata realizzazione del Ponte non basterebbe un articolo ben approfondito. In breve, dopo oltre 20 anni di progetti, annunci e gare d’appalto, con il Dpcm del 15 aprile 2013, Stretto di Messina S.p.A. ovvero la società concessionaria costituita nel 1981 (in attuazione della Legge 1158/71) “per la progettazione, la realizzazione e l’esercizio dell’attraversamento stabile stradale e ferroviario tra la Sicilia e il Continente”, viene posta in liquidazione con la nomina di un Commissario Liquidatore. Da quella data in avanti nessuna società ha avuto l’incarico di “occuparsi” del ponte, nonostante vari proclami politici.

Il tema è tornato prepotentemente attuale in vista della gigantesca iniezione di liquidità (seppur in parte con modalità di prestito) che arriverà nei prossimi anni dall’Europa, con il tanto faticosamente raggiunto accordo sul Recovery Fund: l’UE stessa ci chiede di rendere più efficiente l’amministrazione del nostro Paese. Ed è proprio questo il punto cruciale: come ci “comportiamo” in Italia quando si tratta di grandi opere pubbliche?

L’ormai celebre foto scattata ai principali leader europei con la Presidente della Commissione Europea

Ammetto di aver cercato tanti esempi a riguardo, provando anche a chiudere un occhio sulle macroscopiche differenze tra nord e sud; sta anche a voi, cari lettori, documentarvi in tal senso. La mia impressione è però certamente negativa, tra progetti finanziati ma mai realizzati e strutture abbandonate all’incuria. Anche il fattore tempo non sembra giocare a nostro favore, con ritardi su ritardi accavallati a proroghe, rinvii e tutti i sinonimi che più vi aggradano.

Introduco a questo punto la “questione ambientale”: giusto qualche settimana fa, pubblicavamo un articolo su flora e fauna dello Stretto, dopo una piacevole chiacchierata con la prof.ssa Nancy Spanò, delegata UniMe alle politiche ambientali. Cosa accadrebbe alla biodiversità, unica nel suo genere, del nostro mare? E alla buona qualità delle acque, oggetto dello studio coordinato proprio dalla professoressa? Difficile negare un “intoppo” di questo tipo, in un mondo che è sempre stato poco attento all’ambiente e che a fatica cerca di cambiare rotta. Anche mettendo da parte il mio sostegno incondizionato alle green policies, il problema, oggettivamente, permane.

Fondali dello Stretto

Come districarsi dunque in questa annosa questione? Si tratta, come sempre, di una bilancia rischio-beneficio. Tuttavia questo non significa aver risolto i dubbi con facilità; piuttosto, è necessario soppesare entrambi i lati della bilancia metaforica per comprendere quale sarebbe la scelta migliore. Sicuramente non un gioco da ragazzi.

Ma qual è l’altro lato della bilancia? Facile intuire che stiamo per parlare di economia. Una delle prime “preoccupazioni” delle civiltà più antiche di cui ci sono pervenute testimonianze è stata certamente la vicinanza a fonti di sostentamento per stabilirsi in una determinata zona. Il problema immediatamente successivo è stato collegare aree diverse, qualora le risorse fossero non sufficienti o comunque non successivamente diversificate. Non a caso, le zone più impervie sono sempre state le meno popolate. Le comuni strade, che hanno reso celebri civiltà come l’antica Roma, sono state la chiave per il progresso, sia dal punto di vista commerciale che culturale, mettendo in contatto realtà diverse (non sempre con intento propriamente pacifico).

Via Appia, Roma – Fonte: Wikipedia

Basti pensare a quanto oggi questo concetto sia esasperato dalle moderne tecnologie, che permettono di collegare in un attimo – seppur in forma digitale – qualsiasi luogo o persona nel globo terrestre. Dunque, di per sé la condizione di “isolamento”, che fisicamente si incarna nella insularità della regione Sicilia, non può che essere storicamente connessa a una difficoltà nell’accedere (e ancora oggi vi invito a dare un’occhiata ai prezzi dei voli aerei, emergenza a parte) alla nostra terra. Difficoltà oggettiva, tanto per le merci quanto per le persone. È innegabile che un’opera come il ponte ovvierebbe a questo enorme problema di connessione, con benefici a cascata su tantissimi settori economici. Connessione come sinonimo di progresso: anche se c’è chi nega questo binomio, lo scenario che stiamo vivendo nel terzo millennio è nettamente orientato in questa direzione.

Arrivati a questo punto abbiamo compreso come siano presenti una quantità non indifferente di complessi punti di vista, ai quali siamo costantemente esposti; risultato: paralisi. Ed è questo che è accaduto fino ad oggi. Così il ponte diventa la terza figura mitologica dello Stretto, aggiungendosi ai mostri Scilla e Cariddi: un colosso di circa 3 km, che si erge sospeso tra fattibilità e inconsistenza tra le sponde di Sicilia e Calabria.

Ulisse fra Scilla e Cariddi, Johann Heinrich Füssli- Fonte: Wikipedia

Rimane una sensazione: è possibile limitare al minimo i contro per fare rendere al massimo i pro. Sensazione del tutto personale, per carità, e giocata solo su due elementi, ambiente ed economia, quando la partita è molto più ampia (proprio mentre scrivo questa frase penso al noto rischio sismico dello Stretto). Ma da ottimista e fiducioso nei progressi di scienza e tecnica, la sensazione potrebbe essere non troppo lontana dalla realtà. Mi direte: sì, tutto molto bello, ma poi?

Poi ci sono i fatti. E questi raccontano un Paese che, il più delle volte, è incapace di reggere il peso delle grandi opere. Ed è proprio qui che ritorna la famosa paura, vocabolo presentato in apertura di articolo; ecco che la risposta al quesito nel titolo mi appare chiara: se mi chiedessero quale dei miei discendenti (se mio figlio, nipote o bisnipote) riuscirà a viaggiare sul ponte ad opera compiuta, se fosse deciso di realizzarla oggi, non sarei mai in grado di rispondere. E così via, a tanti altri dubbi non riuscirei a controbattere con convinzione: sicurezza della struttura, materiali, ingerenza delle mafie, inchieste, processi, ammanchi e tangenti.

Tutto ciò gravita nella mia mente intorno al concetto grande opera all’italiana.

Ed è così che l’ottimismo sbandierato poco sopra cede il passo alla paura.

Emanuele Chiara

Immagine in evidenza: ilsole24ore.com