La questione dei lavoratori fantasma: Bellanova propone la regolarizzazione del lavoro nei campi durante l’emergenza Covid-19

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Negli ultimi giorni l’attenzione da parte dei media è puntata su Teresa Bellanova, Ministra delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. La politica e sindacalista, membro di Italia Viva di cui è anche coordinatrice nazionale, ha di recente riportato al centro del dibattito pubblico il problema della carenza dei braccianti agricoli, discorso sul quale, si pensa, possa prospettarsi un suo abbandono dell’esecutivo e giocarsi di conseguenza la stabilità del governo stesso.

In un periodo di forte crisi del lavoro, dovuto alle misure di lockdown imposte dalla pandemia da Covid-19, le difficoltà, o addirittura l’impossibilità, per le migliaia di lavoratori stranieri regolari, dotati dunque di regolare permesso di soggiorno, di arrivare in Italia dai loro Paesi di provenienza, possono costituire un grave danno per la già provata produzione italiana.

La questione non è nuova e già un mese fa, tra la fine di marzo e l’inizio di aprile, la Coldiretti, la maggiore associazione di rappresentanza e assistenza dell’agricoltura italiana, e l’Istituto Bruno Leoni, uno dei più importanti centri di ricerca economici, oltre che numerosi esponenti del mondo sindacale, uno fra tutti Aboubakar Soumahoro, avevano a più riprese invitato il governo a regolarizzare la posizione delle centinaia di migliaia di immigrati irregolari che, ogni anno, lavorano nei campi italiani.

La problematica però non riguarda solamente il settore dell’agricoltura: settori della nostra economia come quello dell’edilizia o dell’assistenza domestica sono svolti per la maggior parte da individui di nazionalità straniera.

In Italia ci sono più di seicentomila lavoratori “fantasma”, intendendosi come tali tutti quegli individui che prestano la propria attività lavorativa senza però essere di fatto riconosciuti non solo come attivi, ma addirittura come effettivamente esistenti sul nostro territorio. Si tratta dunque di esseri umani impossibilitati ad accedere alle cure sanitarie, non avendone diritto in quanto irregolari, e riceventi retribuzioni ben al di sotto del minimo sindacale. Soggetti abbandonati dallo Stato al giogo di un mercato sommerso al cui interno si muovono interessi e cifre sproporzionate. Fenomeni come quello del caporalato, dello sfruttamento della manodopera a basso prezzo e, letteralmente, la gestione della vita di migliaia di indigenti sono sotto il monopolio delle associazioni mafiose e, in generale, criminali.

Quella dei lavoratori invisibili è una discussione che, all’interno del mercato del lavoro, si ripropone ciclicamente e che è stata in passato già oggetto di più di sette sanatorie che hanno riconosciuto, per motivi di lavoro, il permesso di soggiorno a milioni di individui (basti pensare alla Bossi-Fini del 2002 che interessò mezzo milione di persone).

Le soluzioni prospettate per risolvere la questione sono varie e non tutte però prevedono la regolarizzazione dei lavoratori fantasma. Una delle idee più interessanti è quella portata avanti da alcuni esponenti del Movimento 5 Stelle che hanno ipotizzato la possibilità di destinare alla raccolta di frutta e verdura nei campi, e in generale impiegare in quei settori lavorativi in cui si soffre la mancanza di manodopera, i beneficiari del reddito di cittadinanza. Ad oggi i percettori di questa misura assistenzialistica sono circa due milioni di persone di cui però solo un terzo in età da lavoro, quindi circa settecento mila. La misura del Reddito di Cittadinanza, pensata inizialmente come un’assistenza temporanea ai cittadini in attesa del reinserimento nel mondo del lavoro ha trovato esito positivo, a fine 2019, solo per il 2% degli aventi diritto.

È inopinabile che tale possibilità potrebbe risolvere con un’unica soluzione due questioni estremamente impellenti per un governo di centro-sinistra: la regolarizzazione dei lavoratori nei campi e il reinserimento nel mondo del lavoro dei beneficiari del reddito di cittadinanza, dovendo però necessariamente sorvolare su ulteriori problematiche relative alla libertà di scelta o di aspirazione dei diretti interessati.

Rimane in sospeso però una domanda quasi inevitabile: e gli irregolari? Quale destino spetterebbe a delle persone che già si trovano sul nostro territorio, ma sprovviste di un documento, invisibili alle istituzioni ed esistenti solo per i loro sfruttatori?

Sebbene sia difficile non riconoscere che per un corpo politico, che fonda la sua legittimazione sul consenso popolare, questo sia un periodo storico non congeniale per imbastire o anche solo ipotizzare una discussione costruttiva volta a un progetto di riforma dell’immigrazione o della cittadinanza, il problema non è assolutamente da sottovalutare.

Le vite, i diritti e la dignità delle persone, indipendentemente dalla loro storia o nazionalità, non possono certo essere lasciate nell’oblio, con la speranza che in futuro le emergenze facciano venire i nodi al pettine.

Filippo Giletto