Fase 2: ecco come e perchè le Regioni si schierano contro la linea di Palazzo Chigi

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Da quando il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato che il 4 maggio avrebbe avuto inizio la Fase 2 sono state numerose le critiche rivolte alla strategia del Governo. Alcuni Presidenti di Regione hanno infatti deciso di contestare pubblicamente il contenuto di alcuni punti del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri rivendicando una più ampia sfera di autonomia decisionale.

Tali proteste si sono tradotte, nelle scorse settimane, in una aperta “sfida” verso le posizioni dell’esecutivo. Basti pensare al documento firmato dai Presidenti di Regione espressione di forze politiche opposte a quelle della maggioranza parlamentare (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Umbria e Veneto, Provincia Autonoma di Trento) in cui si richiede una revisione dell’ultimo DPCM datato 26 Aprile.

Proprio in quest’ultimo è importante sapere che il Governo riconosce agli enti locali la capacità di adottare misure maggiormente restrittive, rispetto a quelle aventi carattere nazionale, ove si rendessero necessarie.

Ciò che le Regioni chiedono è, però, l’esatto opposto ovvero la possibilità, sulla base di valutazioni autonome, di allentare tali misure riconoscendo quindi una maggiore apertura.

La sfida più azzardata è partita poi dalle dichiarazioni di Jole Santelli, la neoeletta governatrice della Calabria, che ha approvato un’ordinanza con cui autorizza, nella sua regione, la riapertura di bar e servizi al tavolo all’aperto prima ancora della fine della fase 1,  in netto contrasto con la linea di Palazzo Chigi.

Il Presidente Conte ha respinto le richieste delle Regioni definendo queste azioni come illegittime, profilando dunque l’ipotesi di un ricorso davanti al Tribunale Amministrativo competente, e il Presidente della Camera Fico non ha mancato di sottolineare come, in un periodo straordinario come quello che stiamo vivendo, qualsiasi decisione circa l’allargamento delle maglie delle restrizioni deve essere frutto di una decisione centrale.

Le Regioni, sebbene godano nel nostro ordinamento di un grado di autonomia più o meno intenso a seconda del settore di riferimento, della natura del loro statuto e di apposite previsioni della Costituzione, sono comunque enti derivati che trovano il fondamento delle loro attribuzioni in un sistema che ha nello Stato la sua istituzione più elevata.

Questa “sfida” al Governo, oggetto di interviste, prese di posizione e servizi televisivi, smuove l’opinione pubblica e suscita acceso dibattito tra i cittadini o sulla necessità di una pronta riapertura per non fare soffrire l’economia o sull’importanza di congelare le nostre vite in favore di un’immediata difesa della salute. Ma, facendo ben attenzione a superare gli “ami” della politica e le battaglie fondate sulla ricerca del consenso, si rimane con una trista realizzazione: l’assenza di un progetto nazionale che si basi, oltre che sugli appelli alla responsabilità dei cittadini, su una vera strategia comune.

In Sicilia il Presidente Nello Musumeci, ha più volta ricordato che, con l’arrivo della stagione estiva, la riapertura del Paese possa comportare un nuovo esodo, di portata ben maggiore di quello avvenuto cinque settimane fa, sposando dunque una linea di chiusura con il resto della penisola.

E quindi, se per Luca Zaia “il Veneto potrebbe riaprire già domani” e il Presidente della Lombardia, Attilio Fontana, riapre i mercati all’aperto, se il Governatore della Campania “chiude i confini” e in Calabria vengono riaperti i bar perché la stagione estiva è alle porte, a noi cittadini non ci resta che aspettare che interessi più grandi si allineino con i nostri.

Filippo Giletto