Covid-19: ecco perchè i commercianti consegnano le chiavi delle proprie attività

Redazione Attualità
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Risorgiamo Italia è una manifestazione di protesta ideata da Paolo Bianchini, portavoce di Ho.re.Ca e del M.I.O, che ha mostrato grande successo in tutta l’Italia, da nord a sud. Una protesta simbolica atta a chiedere maggiore sostegno da parte delle istituzioni sovra comunali. È una manifestazione pacifica di un settore, quello delle attività commerciali e delle PMI, che si sente abbandonato dalle istituzioni, una categoria fin troppo spremuta già prima della crisi legata al Coronavirus e che adesso vede messi in discussione anni di sacrifici.

I commercianti chiedono di essere aiutati sia per le spese da sostenere in vista degli adeguamenti da attuare in ossequio alle misure di sicurezza anti-Covid, sia per quanto riguarda tasse e tutela dei dipendenti. Così in molti si sono recati presso il proprio locale alzando le serrande e accendendo le insegne e le luci interne.

Nella maggior parte dei comuni italiani hanno partecipato quasi tutte le attività, circa 185 mila in 19 regioni.
Instagram e Facebook sono stati letteralmente sommersi di stories e post con l’hashtag #risorgiamoitalia, raggiungendo in una sola notte più di mille interazioni. Ma per far capire quanto sia stata sentita e partecipata la protesta ideata da Bianchini e altri ristoratori italiani, basta sapere che a Venezia il sindaco Brugnaro ha fatto illuminare il campanile di Piazza San Marco proprio con l’hashtag dell’evento.

Dopo questo “flashmob”, ristoratori e gestori di locali, estetisti e parrucchieri, chiedono dunque a gran voce di tornare ad aprire, protestando contro la decisione del Governo di mantenere la chiusura delle attività commerciali anche nella fase 2, che partirà dal 4 maggio.

Riaprire sì, ma con le modalità più consone per farlo.
Non c’è solo rabbia, seppur presente e preponderante, ma c’è una forte volontà di non mollare e di non consegnare, in maniera definitiva, le chiavi delle varie attività ai sindaci dei propri comuni.

Per loro si prospetta infatti una riapertura il 1° giugno, dopo le parole del premier Giuseppe Conte, secondo il quale il nuovo provvedimento non sarà un via libera per tutti, in quanto non possiamo permetterci di dire che si esce liberamente. Si contestano, quindi, sia la proroga del lockdown, sia le modalità di riapertura che sono assolutamente insostenibili per i commercianti. Tantissime attività, schiacciate dai costi di gestione (affitti, personale, merci deperite), rischiano di non poter riaprire.

La consegna delle chiavi è sicuramente un gesto estremo. In realtà si sa benissimo che gli imprenditori sono gli ultimi ad arrendersi, sono quelli che fanno andare avanti l’Italia e il loro gesto non sarà certo quello della resa, ma il modo per richiamare l’attenzione del Governo e dell’opinione pubblica sulla situazione insostenibile che stanno vivendo. Ad oggi non esistono i presupposti economici per riaprire le attività e tornare al lavoro: il Governo chiede di aprire con gli stessi costi che si sostenevano prima dell’emergenza epidemiologica, con una previsione di incassi che, nelle migliori delle ipotesi, sarà pari al 30% dell’anno precedente. 

Diciamo che ogni commerciante non sa se riuscirà a riaprire a giugno perché non sono chiare nemmeno le regole. 

Abbiamo subito cali di fatturato del 70% e dovremo investire per adeguare le nostre attività a nuove misure di sicurezza. Noi viviamo di convivialità e al momento non sappiamo nemmeno se una famiglia di 4 persone può stare seduta insieme al tavolo di un bar o di un ristorante. Anche sui dispositivi di protezione non c’è chiarezza, ha detto un ristoratore di Milano.

E’ evidente che è impensabile immaginare una società in cui crolli l’attività produttiva della piccola impresa: se falliscono queste attività, le conseguenze coinvolgeranno tutti, per cui, se lo Stato non dovesse intervenire immediatamente con adeguati interventi, si rischia di perdere il patrimonio economico e culturale più importante del nostro Paese.

Piero Cento