Ozark 3: ad un passo dalla fine , ma con un occhio al futuro

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Mettere in piedi uno show che tenga il pubblico col fiato sospeso, che funzioni a più livelli d’intrattenimento e allo stesso tempo riesca a scrollarsi di dosso la patina di deja vù e noia che spesso avvolge i contenuti seriali, non è tra le operazioni narrative più semplici da compiere.

Vuoi per l’incalzante competitività delle piattaforme streaming e delle serie, vuoi per l’aspettative sempre crescenti dettate dal livello culturale.

Ozark ne è, probabilmente, uno tra gli esempi più fulgidi e lampanti, nonostante sia fin dal primo episodio bloccato nel limbo del paragone scomodo con uno show forse troppo grande per tutti, Breaking Bad.

Che il paragone con Breaking Bad abbia aleggiato fin dai primi istanti di vita della serie è inevitabile: un uomo comune, un americano medio che si ritrova nel vorticoso circolo della criminalità e del narcotraffico, ed una famiglia coinvolta fa si che il rimando allo show di culto Breaking Bad sia automatico.

Fonte: skycinema.it

Sebbene abbattere un paragone (a colpi di episodi) non sia assolutamente scontato, Ozark ha saputo trovare la sua dignità contenutistica, il suo spirito narrativo, ed i suoi punti di forza tanto da persuadere il colosso Netflix a puntarvici, spendendovi risorse importanti per l’evoluzione della serie giunta alla terza entusiasmante stagione.

Si torna dunque nel Missouri, nella regione degli Ozarks che conferisce allo show un’aura maestosa e malinconica, con le caratteristica fotografia che si adagia alle tinte di blu, e che esalta la fascinazione del lago.

Si rivede Jason Bateman anche in veste di regista (i primi due dei dieci episodi della terza stagione portano la sua firma registica).

Fonte: movieplayer.it

Al terzo giro di boa, Ozark non demorde nel raccontarci la situazione non facile della famiglia Byrde, in particolare dei coniugi Martin (Jason Bateman) e Wendy (Laura Linney), costretti a vedersi regolarmente con Helen Pierce (Janet McTeer), l’avvocato che rappresenta gli interessi del cartello messicano per il quale Martin deve riciclare denaro sporco nel Missouri.

La coppia crede di avere tutto sotto controllo, gestendo gli affari con meticolosità e cercando di prevedere possibili errori.

Un ospite inatteso, una dinamica imprevedibile, Ben Davis (Tom Pelphrey) fratello di Wendy ed affetto da concreti disturbi psichici, rischia di mettere a repentaglio tutta l’operazione e pone un importante quesito sullo sfondo della terza stagione: saranno in grado di gestire un elemento problematico così intimo?

L’improvvisa introduzione di Ben rappresenta il paradosso dello show, costantemente in bilico sulla sottile linea tra precisione e banalità.

La struttura narrativa generale è molto solida, sorretto da una trama efficace ed degli interpreti in stato di grazia, senza dimenticare la componente visiva che, nei momenti giusti, aggiunge un velo di magia.

Fonte: ciakclub.it

L’improvvisa presenza dell’intruso enfatizza il percorso d’evoluzione dei personaggi e delle interpretazioni.
In particolare, Laura Linney continua a brillare, esplorando nuove profondità psicologiche ed emotive con una storyline intrigante proprio perchè continuamente proiettata al futuro della serie (al momento non è stato confermato una quarta stagione).

Janet McTeer, promossa a membro del cast fisso in questa stagione, ruba la scena a dimostrazione di come le figure femminili siano spesso le più affascinanti in un universo apparentemente dominato dagli uomini.

Questo vale anche per Julia Garner, già premiata con un Emmy per la seconda stagione, che si fa carico della dimensione più cruda e pulp dello show.

La stagione si evolve con coerenza, facendo tesoro delle incongruenze per giungere allo sviluppo dei due episodi finali che ritornano a livelli alti e, soprattutto, ponendo le basi per un’eventuale quarta stagione che promette di arrivare a nuovi inediti scenari.

Fonte: hollywoodvideo.it

Una fase che, alla luce del finale, sulla carta potrebbe essere la migliore di tutta la serie.

Del resto l’ansia di non sapere quello che succederà è il motore della serialità.

Antonio Mulone