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Intervista allo scrittore Giuseppe Staiti – “La Risalita di Colapesce”

Universome Redazione
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“…è bastato chiedersi, e se lui tornasse?”

©Antonino Micari – Giuseppe Staiti (sinistra) dialoga con l’editore Gianluca Buttafarro (destra)

La leggenda di Colapesce narra una storia eterna, che come tutte le serie tv più moderne termina ma ti lascia con il fiato sospeso. E la storia di una figura mitologica rimasta nei mari dello Stretto a sorreggere la Sicilia sembra non voler mai finire. Giuseppe Staiti da sempre coltivava la passione per la lettura, scherzando mi dice che spendeva così tanto in libri che d’un tratto si è detto “Beh, forse ora conviene che inizi a scriverli io!”. In realtà il grande merito (e talento) del giovane scrittore messinese è quello di aver saputo cogliere la necessità di questa storia nel voler essere raccontata, una necessità che tutti i messinesi, siciliani e semplici conoscitori di questo mito sentono. Da qui nascono degli interrogativi che danno lo slancio alla storia de “La Risalita di Colapesce”, edito da La Feluca edizioni. In una splendida domenica, presso la Libreria Doralice – Mondadori point (un gioiellino della litoranea di Messina nord) abbiamo avuto l’opportunità di scambiare qualche parola con Giuseppe Staiti.

Partiamo dal libro. Chi è per te Colapesce?

Colapesce credo che sia un po’ lo spirito delle legende siciliane. Con il fatto di essere un po’ il sostegno della Sicilia, ha un posto privilegiato tra tutte le leggende siciliane. Anzi io ci vedo addirittura una valenza storica: perché i miti, ci tengo tanto a precisare, sì sono delle storie, storielle che le persone raccontano e con cui si intrattengono, però c’è un sottotesto storico, ci sono vari livelli per leggere i miti, e il bello della mitologia è anche questo, che ci raccontano delle storie “oltre”. Partono da questa necessità di avere un qualcuno o qualcosa al di sotto della Sicilia, un sostegno a quest’isola.

L’idea di scriverci qualcosa come ti è venuta?

È venuta un po’ dalla necessità di raccontare questi miti in un modo nuovo. Ho visto che tutte queste storie stavano lì e avevano, anzi, hanno, un grande potenziale letterario. A volte sono raccontate in modo anacronistico, sono sempre viste un po’ con diffidenza.

©Antonino Micari

Probabilmente sei il primo che fa questo tipo di rielaborazione.

Sì, ti posso dire che c’è una citazione che ho aggiunto all’inizio del libro, di questo grande studioso di cultura popolare, Giuseppe Pitrè. Dal 1800 lui ha raccolto una monografia su Colapesce, ne ha raccolto circa 40 versioni, oltre a migliaia e migliaia di altre storie. Lui andava in giro per la Sicilia a chiedere ai pescatori, alle lavandaie, alla gente del popolo di raccontargli una storia. Le ha raccolte tutte in un migliaio di pagine, ha fatto un’enciclopedia del siciliano, della grammatica siciliana, e poi a Colapesce ha dedicato una monografia: comincia questo libro chiedendosi proprio come mai nessuno dei siciliani abbia mai apportato una modifica al mito di Colapesce. Nonostante sia quello più raccontato e meglio conosciuto, risulta il mito con meno innovazione rispetto a tutti gli altri.

La storia di Colapesce invece ha una grandissima potenzialità, ed il tuo libro ne è la prova.

Penso che chiunque abbia letto un libro riconosca subito una buona storia: la si riconosce dal fatto che si vorrebbe non finisse mai, ed è un po’ quello che si prova anche con la leggenda di Colapesce se ci pensi, perché nel finale lui arriva sott’acqua, e poi? Cosa succede? Resta un po’ a metà, è un finale che sentivo servisse. Questa rielaborazione è stata anche doverosa, è arrivata anche spontaneamente, è bastato chiedersi:“ e se lui tornasse?”

A proposito di questo, tu sei laureato in Ortottica, hai studiato violino al Conservatorio, nel frattempo lavoravi anche in macelleria, però tutte le volte che venivo a casa tua per incontrare tuo fratello, mio amico, vedevo delle librerie immense, piene di libri, e non mi capacitavo del fatto che qualcuno potesse leggere così tanti libri in così poco tempo. Cosa ti ha spinto a fare il passo decisivo, dalla passione per la lettura alla scrittura di un libro?

È bastato soltanto sentire la storia con il suo potenziale, quindi proprio una sensazione esterna di questa storia che vuole essere raccontata, e lì hai un po’ l’intuizione. Poi c’è tanto lavoro dietro, mettersi lì con pazienza, costruire la trama, ma a volte basta magari mettere gli elementi, i soggetti, e poi lasciarli vivere. Io credo che il lavoro dello scrittore, nella mia piccola esperienza, stia in questo: non si crea niente, si mettono insieme degli elementi e li si fa camminare, li si fa vivere, li si fa vivere delle proprie scelte. In quei momenti nei quali avevo un dubbio sulla trama mi bastava semplicemente andare a cercare un luogo, una foto di un posto, o semplicemente guardare la Sicilia e vedere che lì, dai luoghi, dai colori, dai profumi usciva fuori una storia, ogni luogo qui ha la sua storia.

C’è tanto di Sicilia, di Messina nel libro, nonostante la sua vocazione moderna.

Sì assolutamente, a volte magari è stato un po’ difficile perché non volevo cadere nell’autoreferenzialità, ovvero una cosa fatta solo per citare, per mettere dei nomi, o una cosa fatta solo perché è siciliana per cui “andatevela a comprare”. Ho tolto tanti nomi, ho cambiato i nomi delle città, proprio perché volevo che fosse visto nella sua storia,  fosse apprezzato per la storia, per la sua componente letteraria.

Tuttavia nel libro c’è molto, in realtà, di tradizione, perché -come dicevamo prima- è uno dei pochi libri in cui c’è una pagina intera dedicata alla bibliografia, quindi comunque hai fatto una grande ricerca.

Sì, è una grande passione che ho, in particolare per i miti e per le tradizioni siciliane, viene tutto da lì.

©Antonino Micari – Libreria Doralice

Come ti vedi da qui a 10 anni? Continuerai a scrivere?

Assolutamente sì! Anzi questo libro lo vedo come il primo di una trilogia, tra dieci anni vorrei continuare, creare tutta una collana di romanzi sui miti siciliani. In questo campo ho trovato un grande serbatoio di storie, un campo veramente fertile su cui scrivere. Anzi, il mio obiettivo è quello di creare una serie di trilogie.

Quindi questo sarà un libro di partenza?

È un po’ una grande panoramica su tutte le possibilità che hanno questi miti siciliani. Poi vorrei far seguire una serie di altri libri che non saranno esattamente dei prequel e dei sequel, ma seguiranno un andamento ciclico. E’ un concetto particolare: il tempo non è lineare, è ciclico ed è una scelta forzata fatta per i miti perché non seguono la vita naturale degli uomini, bensì sono ciclici, continuano ad essere raccontati e raccontati all’infinito. Dunque, questi racconti avranno un punto di partenza e poi si succederanno degli eventi per cui si tornerà continuamente allo stesso punto di partenza, a volte con dei piccoli cambiamenti, ed in tutto i personaggi cercheranno il loro posto in una linea temporale che va avanti e indietro, che li lascia un po’ da parte, ognuno di loro con il proprio desiderio un po’ umano cercherà di ambientarsi.

Già hai in mente qualcosa? Puoi darci qualche anticipazione?

Questo primo libro è incentrato su Colapesce, il secondo che arriverà, ed è già a buon punto, (non so ancora quando uscirà, probabilmente questa è una scelta editoriale) sarà invece incentrato su Giufà e il suo alter ego Ferrazzano che è un po’ meno conosciuto. Però, nella grande enciclopedia di Pitrè anzi ha uno spazio anche più ampio di Giufà: sono queste due maschere, chi è che sembra che ci è o ci fa, e invece quello scaltro che cerca sempre di fregare la gente. Si ritroveranno insieme e cercheranno di dare un rimedio al tempo che torna indietro.

Tu sei un ragazzo eclettico, fai un sacco di cose, ed ad un certo punto dici “No! Io voglio fare lo scrittore, voglio scrivere!” C’è quindi qualche consiglio che vuoi dare a chi ha questa necessità dentro e non ha il coraggio o non fa ancora quel passo?

Innanzitutto vi posso dire che essere una persona eclettica, con mille curiosità come me, in realtà è un disagio di una persona che cerca il proprio modo di esprimersi. Quindi provi tante cose, fin quando non trovi quella con cui ti senti al tuo posto. Io ho provato con la musica, sono andato al Conservatorio, però non era il mio ambiente ed ho lasciato perdere. Ho provato con gli studi di ortottica, però non mi integravo benissimo, mentre i libri sono stati sempre una costante nella mia vita, ci sono sempre stati.

Quindi hai iniziato a scrivere da profano? Senza aver fatto alcun corso?

Da lettore. Credo che il punto di partenza sia “da lettore”, un punto di partenza che non vorrei dire essere il migliore, però è l’altra faccia della medaglia, bisogna essere un lettore per essere uno scrittore, questo è sicuro. Quello che manca è la storia. Uno può essere bravo quanto vuole, può essere anche Proust, cioè tecnicamente la penna migliore del mondo, però se ti manca la storia non ci puoi fare niente, cioè non puoi appioppare a qualcuno 3000-4000 pagine dei tuoi diari!

Quindi il consiglio che dai ad un ragazzo che vuole approcciarsi a questo mondo qual è?

Leggere tanto fino a quando non trovi il tuo spazio, la tua storia, ciò che senti la necessità di raccontare.

Libro “La Risalita di Colapesce”: http://www.lafelucaedizioni.it/catalogo.html

 

Antonio Nuccio, Alice Scarcella, Emanuele Chiara