Workshop sul trapianto polmonare – Intervista al prof. Vancheri

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Workshop trapianto polmonare grafica presentazione
©Antonino Micari – Workshop trapianto polmonare – Unime, 11 Novembre 2019

Lunedì 11 e Martedì 12 Novembre si è tenuto, presso le aule del rettorato dell’Università di Messina, un workshop sullo stato dell’arte del trapianto polmonare in Italia e in Sicilia.

I dati del Centro Nazionale Trapianti

Dopo i saluti istituzionali ha preso la parola Massimo Cardillo, direttore del Centro Nazionale Trapianti. I dati affermano che nel 2019 siamo proiettati verso gli oltre 150 trapianti di polmone. Il numero non è comunque sufficiente a coprire il fabbisogno di organi, con una lista d’attesa che nel 2018 era di 563 persone. L’attesa media per il trapianto è di circa un anno e in questo intervallo di tempo, purtroppo, possono verificarsi dei decessi, 39 lo scorso anno.

La situazione in Sicilia e il tasso di opposizione

L’intervento di Bruna Piazza, coordinatrice del Centro Regionale Trapianti, sottolinea il miglioramento della nostra infrastruttura. Sono stati già effettuati 22 trapianti polmonari nel 2019, a fronte degli 8 che erano stati effettuati nel 2018. Una criticità rimane il tasso di opposizione, attualmente pari al 47%. Ciò significa che nella nostra regione la potenziale donazione viene rifiutata in circa un caso su due.

Indipendentemente dalle cause, che siano esse socio-culturali o d’altro tipo, ciò contribuisce alla carenza degli organi che in Italia ha portato, nel 2018, alla morte di circa il 7% dei pazienti in lista.

Le nuove tecniche chirurgiche e prospettive future

Gli interventi di Alessandro Bertani, ISMETT Palermo, e di Luigi Santambrogio, direttore del Centro Trapianto del Polmone del Policlinico di Milano, hanno descritto prospettive interessanti nel futuro della disciplina.

Spesso, dopo un arresto cardiocircolatorio, i polmoni sono troppo danneggiati al fine di essere trapiantati. È possibile tentare di recuperarli tramite uno metodica chiamata EVLP (perfusione polmonare ex-vivo). Ciò consente di perfondere l’organo anche se danneggiato, ricondizionarlo e permetterne il trapianto dopo poche ore. Così è possibile recuperare parte degli organi che altrimenti andrebbero persi, riducendo il numero dei pazienti in lista e diminuendo quindi i decessi.

Il confronto con gli altri paesi europei

Al workshop hanno preso parte anche importanti referenti provenienti da Spagna e Francia. I due paesi possono indubbiamente essere un modello per l’Italia. Per il trapianto del polmone in Francia le liste d’attesa ammontano a poche settimane. Nel 2018 la Spagna ha raggiunto il numero di 48 donatori p.m.p. (per milione di persone) indice di un’importante sensibilizzazione culturale della popolazione e di un’ottimizzazione delle tecniche e della logistica. In Italia abbiamo raggiunto un valore di 27,7 donatori p.m.p. nello stesso anno, poco più della metà.

Si sono discusse le criticità che caratterizzano il modello siciliano e italiano, e i potenziali miglioramenti che possono far avvicinare la nostra esperienza a quelli di paesi più virtuosi. Al termine degli incontri verranno formalizzate delle proposte da inviare agli organi regionali e nazionali competenti.

Grafica di presentazione del workshop trapianto polmonare

L’intervista al prof. Carlo Vancheri

Abbiamo posto alcune domande al prof. Carlo Vancheri, responsabile del Centro di Riferimento regionale per le Malattie Rare del Polmone di Catania. Molte di queste patologie, oltre 200 per eziologia, possono portare ad un deterioramento progressivo dell’organo con perdita della funzione polmonare, e sono le cause più comuni per cui si rende necessario il trapianto.

Può parlarci di quali sono quelle condizioni cliniche in cui si rende necessario il trapianto nel paziente pneumopatico?

Alcune tra le condizioni cliniche che più frequentemente richiedono il trapianto sono la fibrosi cistica e la fibrosi polmonare idiopatica. Non sono le uniche in quanto anche pazienti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva o da altre più rare patologie polmonari possono giovare del trapianto del polmone. Sono patologie di cui l’una colpisce più il bambino e il giovane adulto, l’altra più i soggetti adulti. L’unica terapia risolutiva in molti casi è proprio quella del trapianto.

Quali sono attualmente le tecniche e i presidi che si possono utilizzare per posticipare il trapianto nei pazienti critici?

In effetti esistono delle terapie farmacologiche per queste patologie. È difficile parlare contemporaneamente di tutte le patologie perché ognuna di queste ha dei trattamenti diversi. Alcune terapie possono rallentare il decorso della malattia ma in alcuni casi l’unica soluzione, come dicevo, è rappresentata dal trapianto.

Lei è ottimista sui nuovi farmaci per il trattamento della fibrosi polmonare idiopatica e quanto questi farmaci potranno differire o evitare il trapianto ai pazienti?

Al momento attuale i farmaci che abbiamo a disposizione rallentano il decorso della malattia ma non la guariscono né la fanno tornare indietro, per cui l’unica terapia risolutiva rimane quella del trapianto. Ci sono molti altri farmaci in fase di sperimentazione per cui relativamente al futuro sono ottimista. Ci saranno molecole che saranno in grado di meglio curare la malattia ma non è questo il presente.

Quanto è migliorata la qualità di vita dei pazienti dopo il trapianto negli ultimi anni?

Sicuramente rispetto al passato i farmaci anti-rigetto sono molto migliorati, sono più efficaci e danno meno effetti collaterali ma indubbiamente la qualità di vita è segnata sotto questo aspetto. Sono pazienti che devono sempre assumere dei farmaci per tutta la loro vita ma almeno per quella che è la mia esperienza quando il paziente riesce a fare il trapianto del polmone in molti casi riacquista un’autonomia, abbandona l’ossigeno, riesce a riprendere una normale vita di relazione, in molti casi anche una vita lavorativa.

Un’ultima domanda relativa allo scetticismo presente in Sicilia di fronte alla possibilità di donare gli organi. Cosa si potrebbe fare, secondo lei, per ridurre in futuro il tasso di opposizione?

Purtroppo questo è un fatto culturale, quindi è difficile incidere. Credo che si possa però investire molto di più in educazione ed informazione. Credo che da questo punto di vista molto si possa fare passando attraverso le associazioni dei pazienti perché anche loro possono contribuire molto a diffondere la cultura della donazione.

Prof. Carlo Vancheri
©Antonino Micari – Prof. Carlo Vancheri – Unime, 11 Novembre 2019

 

Antonino Micari