Neuralink: l’ultima visione di Elon Musk è un’interfaccia cervello-computer

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Tutto ciò che pensiamo, ogni nostra azione, ogni sensazione o emozione, non è nient’altro che il tradursi dell’attività elettrica dei nostri neuroni. E tale attività, caratterizzata da una serie di spikes, di potenziali elettrici, può essere captata da semplici elettrodi, impiegati da oltre 60 anni per studiare l’attività nervosa. I problemi sono catturare ed interpretare efficacemente e soprattutto utilizzare in tempo reale le informazioni raccolte. 

Elon Musk, visionario fondatore di TeslaSpaceXHyperloop ed altre imprese a dir poco innovative, ha lanciato due anni fa Neuralink, un’azienda specializzata in neurotecnologia, ovvero quell’insieme di metodi e strumenti che consentono una connessione diretta di componenti tecnici (elettrodi, computer o protesi intelligenti) con il sistema nervoso. E in soli due anni, grazie ad oltre 150 milioni di dollari di investimento, non sono mancati risultati sorprendenti. Qui la presentazione ufficiale. 

Elon Musk durante la presentazione di Neuralink a San Francisco

L’idea di sviluppare BMIs (brain-machine interfaces) non è nuova. Ricercatori in tutto il mondo hanno già dimostrato come sia possibile controllare il cursore di un computer, arti robotici o sintetizzatori vocali registrando l’attività elettrica del cervello tramite elettrodi. 
Ma l’idea di Musk è molto più ambiziosa: creare uninterfaccia cervello-computer che permetta una vera simbiosi tra il cervello umano e l’intelligenza artificiale. Infatti, ragionando in termini informatici, se la velocità di input del cervello umano è abbastanza elevata, potendo raccogliere enormi quantità di informazioni soprattutto tramite la vista, la velocità di output è un ostacolo enorme: siamo limitati dal dover digitare con i polpastrelli su una tastiera.

Le metodiche attuali per realizzare una BMI efficiente sono molto limitate per una serie di motivi: 

  • La registrazione dell’attività neuronale si limita a un basso numero di cellule nervose. 
  • Il posizionamento degli elettrodi sulla cute, in modo non invasivo, o anche sulla corteccia cerebrale, in modo invasivo, permette di captare segnali spesso aggregati, distorti e poco specifici, e impedisce di registrare segnali dalle strutture profonde del cervello. 
  • Gli elettrodi utilizzati sono particolarmente adatti ai fini di ricerca, ma non sono sufficientemente biocompatibili e longevi in ottica di un impiego a lungo termine. 

Il progetto Neuralink è riuscito in breve tempo a compiere enormi passi avanti. 

Innanzitutto, tramite l’utilizzo di polimeri, sono stati sviluppati elettrodi microscopici non rigidi ma flessibili, che garantiscono elevata biocompatibilità evitando l’attivazione della risposta immunitaria dell’ospite. 

Per facilitarne l’impianto, più elettrodi sono assemblati a formare delle sonde, a loro volta connesse da fili spessi da 4 a 6 micron, 10 volte più sottili di un capello umano. 
Trattandosi di dimensioni microscopiche, per garantire un impianto sicuro è stato anche sviluppato appositamente un robot, capace di installare le sonde autonomamente.  

Il robot è capace di inserire fino a 6 fili al minuto, ed ogni filo comprende ben 32 elettrodi. Il controllo del robot da parte di un software permette di stabilire a priori tutte le aree cerebrali sia superficiali che profonde in cui inserire gli elettrodi e di minimizzare gli incroci e la tensione sui fili, con estrema attenzione ad evitare i vasi sanguigni cerebrali. L’intero processo avviene comunque sotto la supervisione di un neurochirurgo, che all’occorrenza può intervenire manualmente. 

Infine, tutti i segnali captati dagli elettrodi vengono convogliati in un microchip, detto N1 sensor, e da qui trasmessi tramite connessione usb-c, presto sostituita da tecnologia wireless, ed elaborati in tempo reale da un mini pc che sarà posto dietro l’orecchio. Ciò permetterà un’interazione immediata tra uomo e macchina e il tutto potrà essere controllato tramite una semplice app per smartphone. 

Tutto questo sistema ha già permesso di collegare il cervello di un topo e di una scimmia ad un computer, utilizzando ben 3072 elettrodi distribuiti in 96 fili. E la scimmia è stata in grado di controllare il computer.  

Il prossimo obiettivo del progetto è ottenere entro il 2020 dalla U.S. Food and Drug Administration il permesso di sperimentare la tecnologia sull’uomo. Da qui, le prime applicazioni saranno in campo medico. Restituire il tatto, l’uso di un arto, la vista, l’udito, curare malattie neurodegenerative e migliorare dispositivi già sperimentati (come nel caso del Parkinson) sono le priorità 

A lungo termineMusk si lascia andare a visioni per molti utopiche: utilizzare le BMIs non solo a scopo terapeutico, ma per creare delle superintelligenze che in futuro possano competere con l’Intelligenza Artificiale, così che l’uomo non si trovi dietro i computer nella scala evolutiva. Scenario, questo, che fino a un decennio fa si limitava a film di fantascienza come Terminator, ma che oggi, data la crescita esponenziale della tecnologia, sembra poter essere sempre più reale. 

“Prestate attenzione alle mie parole, il pericolo dell’Intelligenza Artificiale è più grande del pericolo di conflitti nucleari, e di molto… Dobbiamo assicurarci che l’avvento della superintelligenza digitale si verifichi in simbiosi con l’umanità. Ritengo che sia la più grande crisi esistenziale da affrontare.” – Elon Musk 

 Davide Arrigo

Fonti: 

https://www.biorxiv.org/content/10.1101/703801v3
https://www.youtube.com/watch?v=r-vbh3t7WVI&feature=youtu.be
https://www.neuralink.com/