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l’Italia è un museo a cielo aperto. Ma i musei in Italia?

Universome Redazione
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Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea – Roma ©GiuliaGreco, 2017

Ogni volta che organizzo l’itinerario di un viaggio, una delle prime ricerche che faccio su internet  riguarda i musei che posso visitare nella meta da me scelta. Fino ad adesso ho avuto modo di visitare buona parte dell’Europa ed alcune città oltre oceano, ed ognuna di esse aveva un’attrattiva culturale ed artistica che meritava di essere visitata.

Ciò che mi ha sempre stupito e rincuorato, è stata la veloce possibilità di controllare immediatamente i siti web dei rispettivi musei, con le relative informazioni generali necessarie. Anche l’impostazione del sito è sempre piacevole da guardare, come la soddisfacente facilità di poter prenotare preventivamente il biglietto. E poi vogliamo mettere l’assoggettazione capitalista che i negozi dei musei esercitano? Vuoi o non vuoi qualcosa la devi comprare!! Accidenti… Peccato che tutte le volte in cui mi ritrovo a visitare una città italiana, ed ogni città ha un museo, tutta questa situazione idilliaca scompare miseramente.

Pergamon Museum – Berlino ©GiuliaGreco, 2018

Secondo un recente studio di Oxford Economics l’Italia è uno dei Paesi con il più alto numero di musei in base al numero di abitanti – più precisamente uno ogni 12 mila abitanti – disponendo, ad esempio una quantità di aree archeologiche, monumenti e musei triplicati rispetto alla Francia ma solo il museo del Louvre di Parigi incassa quanto tutti i nostri musei. Nel nostro Bel Paese abbiamo 4976 musei, lo sapevate?

La ricerca di Oltre Manica ha analizzato le strutture ed il loro rapporto con la tecnologia che caratterizza il 21esimo secolo: solo 57% dei nostri musei dispone di un sito internet o di account social. Rispettivamente un museo su due non ha un indirizzo web, e solo 1 su 4 redige una newsletter. Ancora più “divertente” è la situazione con le biglietterie online: solo uno su cinque ne ha una.

 

Museo di Roma in Trastevere – Roma ©GiuliaGreco, 2017

Ovviamente le circostanze diventano critiche riguardo l’internazionalizzazione e la comunicazione in lingua inglese: solo il 40% ha personale che parla in inglese e solo il 54% di quelli che detiene un sito web con traduzioni in lingua straniera. Ora, io capisco la nostra reticenza nella conservazione di una nostra cultura “elitaria” e di “nicchia” ma, signori miei, è tempo di imparare! Un po’ di furbizia!

In Italia l’80% dei musei non ha un negozio, e appena quattro sono attrezzati con un ristorante. Soltanto al Castello di Schonbrunn , a Vienna, tra caffè e ristoranti si contano 8 strutture (una ha perfino due stelle Michelin)  e British Museum e Louvre incassano ogni anno circa 22 milioni di euro con i servizi aggiuntivi, mentre al Metropolitan di New York il commercial trading vale oltre 50 milioni di dollari.

Metropolitan Museum of Modern Art – New York ©GiuliaGreco, 2018

Conseguentemente, il sistema museale italiano si regge su una contraddizione di fondo: è il più ricco del mondo per quantità di collezioni e per presenza sul territorio, ma il meno efficiente dal punto di vista del funzionamento e delle tante occasioni sprecate.

Intorno agli anni  ’50  e  ’60, si è sviluppata la cosiddetta “didattica dell’arte” che consiste nell’insieme degli strumenti e metodologie finalizzati al trasmettere un valore educativo fruibile per tutti, rendendo le opere esposte comprensibili ai più. La formulazione di nuovi programmi che coinvolgessero maggiormente la popolazione, ha potenziato la strategia museale rendendo le principali gallerie vere e proprie chicche del nostro patrimonio. Solo che… solo che, il problema odierno è che tutti i più importanti musei dispongono, sì, di validi dipartimenti di educazione, però le condizioni precarie e la mancanza di fondi non danno l’opportunità di offrire servizi ottimali.

MuME – Messina ©GiuliaGreco 2017

Considerati tutti questi dati, ci rendiamo conto che riassumiamo il detto “pane a chi non ha i denti”. Sarà che siamo pigri, che lasciamo che facciano gli altri al posto nostro, e chi porta avanti la “baracca” si spezza la schiena con risultati minimi. A tal proposito vi consiglio la lettura di un vecchio articolo di UVM riguardo il MuME (Museo Interdisciplinare Regionale di Messina -https://universome.unime.it/2017/06/19/museo-messina-litalia-fatta-adesso-bisogna-gli-italiani/), quante opere abbiamo ancora nascoste, quanta cultura dovrebbe essere conosciuta per creare una coscienza collettiva più ricca e consapevole? E soprattutto, puntando sui musei: quanti posti di lavoro riusciremmo a creare? Secondo la ricerca dell’Università di Oxford circa 250.000…

 

 

Giulia Greco