Scontro sui vaccini: riflessioni di uno studente di medicina

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Salvini, paura e populismo: non è il metodo Burioni che salverà i bambini italiani.

L’ultima entrata in scivolata contro il mondo dei vaccini risponde al nome del neoeletto Ministro degli Interni Matteo Salvini. Non è stata la prima “frase accalappia voti” e non sarà l’ultima sull’argomento. Ma nella disputa pro-vax vs no-vax, chi è davvero il peggior interlocutore?

E’ ormai da circa vent’anni che dilaga a macchia d’olio la paura del vaccino. Se prima rimaneva confinata tra mura domestiche, come un tarlo si insinuava nei genitori e ne nascevano discussioni più o meno convinte, da pochi mesi a questa parte l’argomento ha assunto dimensioni inimmaginabili.

Pochi comprendono il funzionamento di questa conquista scientifica, o che almeno era considerata tale quando ancora amici e parenti morivano di poliomelite, pertosse, morbillo e meningite. 

Si sa, noi italiani, siamo appassionati di storia solo quando si tratta di elencare i pregi del periodo fascista o quando elenchiamo tutti i goal segnati dalla squadra del cuore (sì, è una frase qualunquista, ma sfido chiunque a sfatarla).

La maggior parte ignora quanto il vaccino abbia fatto per i propri nonni, genitori, e connazionali. Ignoriamo, cioè, la storia dei vaccini, le personalità che vi hanno dedicato la vita, e ancor meno conosciamo la storia di chi ha avviato la lotta ai vaccini: Andrew Wakefield. E’ questo il nome del medico inglese che nel 1998 pubblicò uno studio in cui associava le infiammazioni intestinali all’autismo,  riferendo inoltre che alcuni dei bambini affetti da autismo avevano sviluppato i sintomi dopo la somministrazione del vaccino trivalente contro morbillo, parotite e rosolia (Mpr). 

La ricerca, pubblicata sul rinomato Lancet, concludeva dichiarando espressamente che non era ancora dimostrabile alcun legame tra vaccinazioni e sintomi manifestati in quei bambini. Tuttavia lo stesso Wakefield organizzò varie conferenze nelle quali sosteneva che tale legame fosse probabile, generando il panico generalizzato. La soluzione sarebbe stata quella di una somministrazione monovalente per i vari virus del trivalente, che però ancora non esisteva. Anzi, fuori il coniglio dal cappello! L’aveva appena brevettata!

Che colpo di genio, che coincidenza! No. Ovviamente la ricerca era stata falsata, mancavano i casi-controllo, alcuni reperti istologici erano stati manomessi, e venne anche fuori che la ricerca era stata commissionata da un avvocato che voleva intentare una causa miliardaria contro la casa di produzione del suddetto vaccino. Insomma, i no-vax lottano contro l’economia delle case farmaceutiche abbindolati proprio da chi era pronto ad intentare una truffa sulla salute della popolazione mondiale.

Il dubbio è da sempre linfa per l’uomo, perché conduce ad una ricerca che a sua volta porta al superamento di un limite, ad una conoscenza maggiore, all’acquisizione di un vantaggio evolutivo. Ma un dubbio non supportato da un metodo scientifico, può diventare qualunque cosa. E quando più persone con lo stesso dubbio e con la stessa mancanza di senso critico si incontrano, rafforzano le proprie convinzioni, il dubbio diventa paura. La paura alimenta se stessa, attecchisce senza destare sospetto. E quando la paura dilaga allora è utile strumentalizzarla, perché porta consenso. Da qui il suo sfruttamento dai vari politici di turno.

Viene montata ad hoc la guerra “popolo” contro “èlite”, dove èlite è chiunque faccia parte di un mondo visto inaccessibile, difficile, fatto di competenza, di dati, di razionalità; popolo è chi rifiuta l’esperto, chi si fida delle sensazioni, chi trova risposte semplici a problemi complessi. Ogni volta che un esperto si esprime, c’è una parte di paese che lo avverte come nemico, perché dati, prove e dimostrazioni negano propri i sentimenti. Perché la tua analisi dovrebbe valere di più di quello che io provo?

Ecco come medici, chimici, farmacisti, biologi, sono diventati bersaglio di biasimo, di rabbia da parte dell’opinione pubblica fino ad essere tacciati per servi del potere.

Fino ad oggi, lo staff medico ha combattuto questa guerra con le stesse armi degli oppositori, guerra combattuta nella piazza più grande e più complessa che esista: i social network. Allo scettico si è risposto con l’indisponenza, al dubbioso si è risposto con la superbia, alla “mamma informata” si è risposto con la derisione. Ecco perché il Dottor Burioni sbaglia, e con lui i suoi sostenitori. Il virologo marchigiano è probabilmente l’influencer pro-vax più conosciuto d’Italia, il punto di riferimento sui social per la fetta di utenti concordi con le sue idee e che rivedono in lui un porto sicuro quando, fuori, la tempesta no-vax inghiotte le navi solitarie. La preda perfetta per tutti gli hater, complottisti e no-vax che sotto ogni suo post scatenano le proprie battaglie. L’atteggiamento da lui assunto nel rispondere a tali critiche, che più spesso sono insulti, è comprensibile, ma del tutto inefficace. 

Ad esempio: se il signor Cocco Meningo sostiene di non voler vaccinare il proprio bambino per aver letto su www.ivaccinisonounatruffadellecasefarmaceutiche.org che il vaccino “x” causa la malattia “y” è sicuramente poco e male informato. Rispondergli che non capisce nulla, che “la scienza non è democratica”, che “dovrebbe studiare prima di aprir bocca” non farà altro che rafforzare nel signor Meningo la propria idea, aizzerà la rabbia sua e di chi la pensa come lui, a subirne le conseguenze sarà suo figlio che non verrà vaccinato.

Non basta, Dottor Burioni, riportare in interminabili post le prove dell’utilità dei vaccini, ciò che comporta il loro inutilizzo, i link delle fonti scientifiche da cui ha attinto, perché è pane solo per chi ha i “denti” del senso critico, della conoscenza della materia. Per tutta la restante popolazione, la maggioranza, il suo modus operandi non è commestibile, è benzina sul fuoco, parole che non verranno mai lette e comprese, coperte immediatamente dalla rabbia di chi ha paura e si sente preso in giro pubblicamente. 

La vera soluzione sta nel rivedere il rapporto umano che il medico, quello di base ed il pediatra in primis, e in generale tutti i membri dello staff sanitario, devono instaurare con i pazienti ed i loro parenti. Oggi più che mai, il “rapporto umano” su cui si è costruita da sempre l’arte medica, deve trovare nuove vie per approcciare  chi ha paura e riconquistare la sua fiducia. La paura, l’ignoranza e la malattia sono cose intime: come si pensa di poterle sconfiggere sui social? Questi, semmai, possono tornare utili in un secondo momento, per eventuali approfondimenti, curiosità e confronti. Non possono e non devono essere la prima fonte di informazione, né sostituire la visita medica e il rapporto paziente-medico.

Oltre a ripartire da zero sul fronte del rapporto medico-paziente, occorre riorganizzare il fronte dell’istruzione, dalle scuole elementari alle superiori. Più che incentivare lo studio delle materie scientifiche, dovrebbe assumere primaria importanza l’acquisizione del metodo scientifico, del senso critico, di cosa vuol dire dimostrare una tesi, confutarla, costruire un esperimento, osservare e dedurre conclusioni. Un tipo di educazione che stimoli non a contenere informazioni, bensì  alla critica, alla creatività all’elaborazione attiva di ciò che si impara.

Il medico oggi deve accettare la realtà in cui è obbligato ad operare, non combatterla. Solo scendendo a patti con se stesso e con il paziente potrà rieducarlo. Non può più contare sull’autorità che un tempo il camice bianco conferiva a chi lo indossava: deve costruire il rapporto persona per persona, parola per parola, solo allora acquisterà un peso sostanziale ed un raggio di azione che il medico formale non ha mai avuto.

Antonio Nuccio