#loveislove, ma non basta

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Omosessualità: se non fossi in Italia, sarebbe difficile scrivere di questo argomento.

Perché? ”- direte. Per il semplice fatto che in ben 22 paesi è vietato anche solo pronunciare la ”temibile” parola omosessuale.
Ad esempio, in Medio Oriente l’omosessualità risulta un’espressione dell’occidentalizzazione e, quindi, saldamente condannata.

Essere gay, però, non è un’invenzione occidentale, ma è una condizione assolutamente naturale della realtà umana – affermava Hillary Clinton nel lontano 7 dicembre 2011, in occasione della Conferenza organizzata dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR).  Sei anni dopo questo famoso discorso, nonostante la tutela degli omosessuali ed il riconoscimento del matrimonio gay, negli Stati Uniti esistono ancora delle criticità e, con la recente elezione di Trump alla presidenza, si prevedono tempi duri per le LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender).

Se nel continente americano, gli omosessuali – seppur non totalmente in egual misura – vengono riconosciuti, tutelati e hanno diritti al pari di ogni cittadino ritenuto ”normale”, facendo un salto nelle terre storicamente nemiche degli USA, esiste una realtà più assurda di una classificazione di cittadini A e B.

Yuri Guaiana, da sempre attivista gay, ci dimostra che proprio in questi paesi dell’Est Europa, il #loveislove per molti è una realtà utopistica.

Come è stato raccontato in vari reportage, la situazione degli uomini nella piccola repubblica caucasica è tragica: almeno un centinaio di gay sono detenuti illegalmente in un centro di prigionia ad Argun, ad est della capitale Groznyj. Secondo i testimoni, i prigionieri vengono catturati attraverso uomini-esca che si fingono a loro volta gay, portati in luoghi segreti e torturati a lungo con tubi di gomma o cavi elettrici; vengono anche ricattati fino a dover pagare un vero e proprio pizzo in denaro per evitare l’outing.

In molti sono già scappati dalla loro terra natia, quella che li sevizia nei nuovi lager del 2017.

Di fronte allo sdegno mondiale per quanto sta accadendo, quindi, l’ALL OUT ha raccolto due milioni di firme, in cui si chiede la fine immediata delle persecuzioni in Cecenia.

Motivi, questi, per cui Yuri Guaiana si è recato a Mosca dove ha consegnato la petizione con tutte le firme raccolte. Come poteva rispondere la pacifica Federazione? Guaiana è stato prima arrestato e poi, su pressione della Farnesina, rilasciato.

La situazione in Cecenia è talmente grave che diversi politici stranieri hanno sentito il dovere di condannare le violenze e le intimidazioni contro la gay community cecena.

Ma l’Italia? Sembra essere avara di parole da spendere in merito. Il ministro Andrea Orlando, solo in occasione dell’incontro per il primo anniversario dell’approvazione delle unioni civili, ha condannato la situazione, ricordando che Putin è al centro di simpatie di alcuni politici italiani. Poi, in prima linea, il silenzio di Angelino Alfano, responsabile degli Esteri e – per voler finire – il totale disinteresse dei media.

Ma d’altronde, si sta parlando di omosessuali, mica di diritti umani.
Si sta chiacchierando solo di un nuovo stile di vita condivisibile o meno, mica di violenza ingiustificata, di razzismo o di ghettizzazione.

O forse, si sta parlando di coraggio, di amore, un sentimento che non dovrebbe subire discriminazione, che dovrebbe essere libero per tutti; quell’amore che non dovrebbe avere sessualità, ne pregiudizi o intolleranze. Eppure, adesso, l’amore non basta per vincere l’ignoranza e la violenza di chi non lo conosce.

Jessica Cardullo