Un michelangiolesco a Messina: Giovanni Angelo Montorsoli

Universome Redazione
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Giovanni Angelo di Michele, detto il Montorsoli. Incisione dal frontespizio della sua biografia, contenuta nelle Vite di Giorgio Vasari.

Corre l’anno 1532 quando Michelangelo Buonarroti, il grande genio dell’arte e della scultura rinascimentale, attivo a Firenze in quel periodo, viene chiamato nuovamente a Roma per dirigere i lavori per la tomba di Giulio II: un lavoro fra i più travagliati del Maestro fiorentino, dato che il primo incarico per questo sepolcro gli era stato assegnato nei primi anni del secolo da Giulio II in persona, e ora quel Papa risoluto e guerriero è già morto da quasi vent’anni. Fra i collaboratori che l’ormai anziano Michelangelo chiama con se c’è un giovane di appena 25 anni, frate dell’Ordine dei Servi dell’Annunziata, che si era già fatto notare per il suo talento durante il soggiorno a Firenze. Si chiama Giovanni Angelo di Michele e viene da Montorsoli, un piccolo paesino dell’entroterra fiorentino.

Inizia così, con la benevolenza di un così importante mentore, l’avventura artistica del Montorsoli, una avventura che lo porterà dai fasti della Roma rinascimentale alla Liguria, per poi approdare sulle coste sicule, proprio a Messina, città in cui vivrà quello che i critici considerano il culmine indiscusso della sua arte.

Nella Città Eterna il Montorsoli può toccare con mano una delle più grandi fonti di ispirazione degli scultori di quel periodo, cioè l‘antichità classica ed ellenistica: e non è un caso se il primo lavoro che gli viene affidato a Roma, dietro suggerimento di Michelangelo, è il restauro delle celebri sculture dell‘Apollo del Belvedere e del Laocoonte, oggi ai Musei Vaticani. Di ritorno in Toscana, Montorsoli continua a lavorare con Michelangelo, poi si mette in proprio; qualche anno dopo è a Genova, dove si mette al servizio della potentissima famiglia dei Doria e lascia numerose opere pregevoli.

Quando rientra a Roma dopo i lavori fiorentini, il Montorsoli è già uno scultore affermato e di successo, come testimonia la biografia del Vasari, che lo cita fra i maggiori dei suoi tempi; è il 1547 e una serie di fortunati eventi portano il grande artista nella città dello Stretto. In quell’anno infatti il Senato di Messina, deciso a celebrare la conclusione dell’acquedotto del Camaro con l’edificazione di una sontuosa fontana davanti al Duomo, manda suoi uomini a Roma a cercare un artista di talento per dirigere i lavori. La prima scelta, racconta il Vasari, cade su Raffaello di Monte Lupo, anche lui della scuola di Michelangelo; ma lo scultore si ammala prima della partenza e il Montorsoli non si fa sfuggire l’occasione di sostituirlo.

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Fontana di Orione, 1553. Messina, Piazza Duomo. Ph: Giulia Greco

A Messina il Montorsoli stringe amicizia con uno dei più acclamati e influenti intellettuali cittadini, Francesco Maurolico: da questo sodalizio nascono quelli che sono considerati senza ombra di dubbio i suoi capolavori. Per le sue opere, Maurolico scrive versi in latino, escogita strutture ricche di complessi riferimenti mitologici e forse contribuisce anche alla progettazione degli elementi idraulici; dal canto suo, Montorsoli trasforma, col suo estro artistico e l’abilità del suo scalpello, in solido marmo le visioni del dotto messinese.

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Fontana del Nettuno, 1557. Messina, via Vittorio Emanuele II (Lungomare del Nettuno). Ph: Martina Galletta

Nel 1553 viene ultimato il primo lavoro messinese del Montorsoli: è la fontana di Orione, ancora oggi fiore all’occhiello del patrimonio artistico messinese e, volendo, nazionale, se pensiamo che lo storico dell’arte Bernard Berenson la definì “la più bella fontana del Rinascimento europeo”. Segue, nel 1555, il monumentale complesso dell’Apostolato che, oggi ricostruito, orna le due navate laterali del Duomo. Nel 1557 invece viene edificata l’altra, magnifica, fontana costruita stavolta per ornare la banchina del porto: è la fontana del Nettuno, solenne e poderosa, un Nettuno ieratico e olimpico come l’Apollo del Belvedere ed echi del Laocoonte, nelle pose contorte e nelle espressioni drammatiche di Scilla e Cariddi, muscolose come i Prigioni di Michelangelo.

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Dettaglio dal complesso dell’Apostolato, 1555, Duomo di Messina. Foto risalente al periodo pre-1908, scattata da Giorgio Sommer.

Oltre a queste, sono documentate numerose altre opere oggi perdute, fra cui il progetto della Chiesa di San Lorenzo, completamente distrutta dal terremoto del 1783; diverse opere minori custodite al Museo Regionale; gli è anche attribuita tradizionalmente, benchè oggi la sua paternità sia messa in dubbio dallo studio delle fonti storiche, la Torre della Lanterna detta una volta del Garofalo, situata sul Braccio di San Ranieri.

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Nettuno e Scilla, originali dalla Fontana del Nettuno, 1557. A destra: “La trinità”, bassorilievo, anni ’50 del ‘500. Messina, Museo Regionale. Ph: Giulia Greco

Tornato a Firenze, nel 1563, dopo che il rigore successivo al Concilio di Trento e alla Controriforma lo aveva costretto a porre fine alle sue peregrinazioni e a tornare alla vita in convento, Giovanni Angelo di Michele, detto il Montorsoli, muore. Toscano di nascita, forgiato nella culla del Rinascimento e del Manierismo, è a Messina, città dello Stretto nel pieno del suo periodo d’oro, che questo grande scultore lascia i suoi fiori più belli.

Gianpaolo Basile

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