San Francesco all’Immacolata: la chiesa che incantò Antonello

Universome Redazione
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Cultura Locale
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Antonello da Messina, "Cristo in pietà con tre angeli", 1475, Museo Correr, Venezia. Dettaglio. (da http://www.frammentiarte.it/2014/18-pieta-con-tre-angeli/, modificata)
Antonello da Messina, “Cristo in pietà con tre angeli”, 1475, Museo Correr, Venezia. Dettaglio.
(da http://www.frammentiarte.it/2014/18-pieta-con-tre-angeli/, modificata)

Il “Cristo in pietà con tre angeli”, oggi custodito al Museo Correr a Venezia, è secondo la critica una delle opere tarde di Antonello da Messina, verosimilmente dipinta durante il suo soggiorno veneziano, nel 1475. Della vita di Antonello sappiamo poco, ma una delle cose più assodate è  il suo lungo viaggio nel centro Italia e a Venezia: eppure ci piace pensare, con un po’ di bonario campanilismo (che non guasta mai, a patto di sapere quando fermarsi), che il Maestro messinese abbia voluto in qualche modo ricordare la sua terra patria, nella quale secondo alcune fonti tornerà e finirà i suoi giorni, nel 1479 . In effetti, fra le ali dell’angelo piangente a destra, in mezzo ai molti dettagli che Antonello, con la sua attenta e quasi maniacale sapienza miniaturistica rubata all’arte fiamminga, inseriva nei suoi dipinti, ce n’è uno che, forse anonimo per i più, fa sussultare chi conosce Messina: una massiccia struttura con tre absidi che, in maniera quasi inequivocabile, possono essere identificate come quelle di una delle più antiche e grandi chiese messinesi, San Francesco all’Immacolata.


Monumento antichissimo
, era il 1254 quando fu stabilita la sua costruzione, per intervento di un gruppo di monaci francescani che già nel 1212, quando san Francesco era ancora in vita, si erano stabiliti nella città dello Stretto, nella preesistente chiesetta di san Leone. Proprio presso questa comunità, secondo una pia tradizione, soggiornò sant’Antonio da Padova quando, nel 1221, di ritorno dall’Africa fece naufragio sulle coste sicule.  Ad appena 28 anni dalla morte del Poverello d’Assisi, in clima di piena espansione del suo culto, i conventi francescani di tutta la penisola fanno quasi a gara nella costruzione di imponenti chiese dedicate al santo e la comunità di Messina certo non può essere da meno: la prima pietra di questo poderoso edificio, seconda chiesa in Messina per dimensioni dopo il Duomo, arriva da Napoli, nel 1255, dopo esser stata benedetta nientemeno che da Papa Alessandro IV in persona.

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Nel XIV secolo, la chiesa cresce e si sviluppa secondo le linee rigorose ed austere di quello stile che i libri di storia dell’Arte codificheranno col nome di “Gotico francescano“, sotto l’occhio vigile del re Federico III d’Aragona, nipote per parte di madre di quel Federico II “meraviglia del mondo”: sotto questo monarca la chiesa diventa il luogo di sepoltura della famiglia reale e vi trovano requie le spoglie del nipote e successore, Federico IV d’Aragona, della nuora, Elisabetta di Carinzia, e dei due figli cadetti, Guglielmo e Giovanni, duchi di Randazzo.

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Un altro periodo di splendore di questa chiesa fu nel corso del Cinquecento, quando, nominata cappella reale dall’Imperatore Carlo V, si arricchì di opere pregevoli dei grandi maestri del Rinascimento siciliano, Gagini, Rinaldo Bonanno, Mazzola, Guinaccia. In questo periodo viene anche concluso il chiostro del convento. Ulteriori modifiche alla chiesa, stavolta in stile barocco, vengono effettuate a cavallo fra Sei e Settecento. L’inarrestabile declino, invece, inizia a seguito dell’esproprio del convento in periodo post-unitario, a seguito delle leggi eversive; nel 1884 un incendio devasta gli interni distruggendo molte delle opere che vi erano custodite; nel 1908, il Terremoto del 28 dicembre le assesta il colpo di grazia, radendola quasi interamente al suolo; solo parte delle absidi, proprio quelle absidi dipinte da Antonello, resiste alla sua furia distruttiva.

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Così inizia la ricostruzione, una ricostruzione faticosa e paziente perché condotta secondo criteri di fedeltà storica, riutilizzando, ove possibile, i conci e la pavimentazione d’epoca secondo il principio dell’anastilosi. Oggi le tombe reali sono perdute, forse per sempre, e le opere superstiti all’incendio del 1886 sono custodite al Museo Regionale, fatta eccezione per una statua in marmo di sant’Antonio, che si trova oggi nel giardino sotto le absidi, e una statua in legno e argento del XVIII sec., raffigurante l’Immacolata, che è tutt’oggi oggetto di venerazione popolare. Ma è grazie a questa ricostruzione, conclusa nel 1928, che possiamo oggi ammirare la mole austera del Tempio con un aspetto e una struttura  il più possibile fedele a quella trecentesca, e, salendo dal mare lungo il viadotto Boccetta, possiamo fermarci anche noi ad ammirare quelle possenti absidi che incantarono Antonello da Messina… 

Gianpaolo Basile

Foto: Erika Santoddì