“Others”: intervista al fotografo messinese Davide Bertuccio

Universome Redazione
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Dal 19 al 25 Novembre, presso il Monte di Pietà – sala sud – è in mostra il progetto fotografico “Others” del giovane artista messinese Davide Bertuccio (classe ’91).  Others è il terzo di altri due progetti – “Here” e “Loneliness “ – in cui Davide sottolinea lo strano rapporto che si è creato tra l’uomo ed il “non luogo” in cui abita, ma non vive; definisce l’incomunicabilità che si viene a creare nel mondo reale durante il nostro stato di persone alienate. Sia l’uomo che la città diventano virtuali, situazioni che si ripropongono in ogni agglomerato urbano in cui i cittadini vagano per le strade, quasi per convenzione, creando intorno a se una nube ed isolandosi perdendo l’essenza dell’esistenza.
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Un giorno un famoso fotoreporter disse: Per “significare” il mondo, bisogna sentirsi coinvolto in ciò che si inquadra nel mirino. Questo atteggiamento esige concentrazione, sensibilità, senso geometrico. Quanto ti senti di appartenere alle situazioni che decidi di fotografare?

Tanto ovviamente. Nel momento in cui tu metti l’occhio all’interno del mirino fotografico (e poi “mirino” perché ormai le foto si fanno anche con il cellulare) ed inquadri una fotografia, decidi cosa far rientrare dentro l’immagine e cosa della realtà escludere: questo è fondamentale, per questo, a mio avviso, è importantissimo entrare dentro la storia e quello che vuoi mettere all’interno dell’immagine. Io chiaro, ho la duplice “veste” di fotoreporter e di artista, così mi definiscono! (ma io non amo definirmi così *risata*) io sono un fotografo, come rispondo sempre. Però sono due lavori ben distinti: uno è una messa in scena, vuol dire studi (studio di composizione dell’immagine, scelta dei personaggi) e in questo caso non ho molto rapporto con il mirino perché in realtà è più un rapporto con la mia testa, la mia visione ed il luogo. Per quanto riguarda Davide come fotoreporter il rapporto con il mirino e la realtà è tantissimo perché è più istintivo. Ad esempio sto per partire per la Palestina ed il lavoro è ben preparato: so cosa cercare, che immagini devo ricavare, ma non so cosa aspettarmi! Ed è quello pure il bello ed il difficile del lavoro, sapere cosa cercare e riuscire a coglierlo in quello che è la realtà.img_9580

La fotografia si suddivide in tante categorie, una di queste è il fotoreportage e tu ti definisci un fotoreporter. Quanto questa distinzione è significativa per te?
Secondo me poco, non amo dare delle distinzioni. Partendo dalla base filosofica, il significato originario, fotografia significa “scrivere con la luce”. A noi (io ho fatto l’università di fotografia) ci hanno sempre insegnato: cosa differenzia voi da un fotoamatore? Non la tecnica, perché magari il fotoamatore la possiede e potrebbe essere anche migliore della vostra, bensì la cultura, la quale è la base per tutto. Essere un fotografo non vuol dire saper scattare una fotografia, avere la macchina più cool del mondo, ma sapere perché si scatta quella foto, sapere cosa ci sia stato prima del mio arrivo, ciò necessità di uno studio intenso ed appassionato. Io credo tantissimo nella pre-produzione, che è ricerca. In ogni caso sono fotografo, e secondo me è la definizione giusta da dare per chi fa questo come professione, perché ritengo che siano tutte persone colte.img_9558

Tramite le tue fotografie hai la possibilità di studiare il mondo ed immortalare un momento per l’eternità: con questo progetto hai voluto concentrare la tua attenzione sul rapporto dell’uomo con la città, con l’ambiente in cui abita, ma non vive. In questi anni in cui hai cercato di fermare il tempo, hai notato delle evoluzioni nella società? 
Bella questa domanda, cioè bella contorta! Beh, le differenze macroscopiche non sono state tanto negli altri quanto in me, sono cambiato io e la mia visione del mondo. È normale, studio da tre anni, quindi noto in maniera diversa le cose: prima vedevo il mondo come un ragazzo messinese, privo di una profonda conoscenza che ho poi acquisito con lo studio, ed il mio occhio è cambiato. Quindi studiare fotografia, arte e tutto ciò che concerne la fotografia, mi ha permesso di vedere il mondo in senso critico. Alla fine ho compreso che le persone che non hanno niente, al contrario avevano di più e trasmettevano di più…e viceversa. […]

Quanto ritieni che la foto sia un ferma-immagine piuttosto che il movimento di questa che suscita nel tempo e nello spazio diversi, in coloro che osservano i tuoi scatti? È un ferma-immagine reale o è un movimento che suscita in chi osserva questo ferma-immagine?
Mh…credo che l’uno dipenda dall’altra. La foto è un ferma-immagine, questo non vuol dire però che essa non possa trasmettere qualcosa che sia al di fuori della realtà. La fotografia può essere una rappresentazione della realtà oggettiva, oppure può essere la rappresentazione soggettiva della realtà: questo è il fotografo. Ad esempio una tazzina può essere fotografata da più punti di vista, ognuno la fotografa con quello che è la propria esperienza…già il movimento parte da questo ferma-immagine. Chi lo guarda riceve il messaggio che ha interpretato con la propria visione e secondo il suo trascorso. E questo lo fa qualunque tipo di arte.img_9566-2

Quando sei passato alla post-produzione (momento in cui le foto vengono “ritoccate” ndr) qual è stato il tuo principale obiettivo? Quale verità volevi mettere in luce?
Sostanzialmente la post-produzione, per quanto abbia il suo peso specifico e spesso enorme nell’immagine, cerco di evitarla (da “buon” fotoreporter) e cerco di trovare delle situazioni nelle quali non ci sia la necessità di rielaborare le foto. Inoltre io sono un maniaco, credo tanto nella pre-produzione: controllare il luogo, la luce, rendermi conto del lavoro che ho intenzione di realizzare.

Qualcosa che vuoi dire ai lettori di UniVersoMe?
Beh innanzitutto grazie! Il messaggio più importante, per me, che posso mandare a tutti voi è: cercate di essere curiosi, come diceva Steve Jobs. La curiosità comporta, sopratutto qui a Messina in cui non c’è una vasta gamma di possibilità di scelta, la libertà, il coraggio e credere in se stessi per raggiungere i propri obiettivi e realizzarli e sopratutto mettersi in gioco. Le soddisfazioni arrivano sempre. La curiosità è proprio dietro l’angolo. Noi siciliani abbiamo tutta questa bellezza, la nostra isola ci cresce e questa bellezza l’abbiamo dentro di noi, e la riusciamo a scovare anche nella “bruttezza”. Siate voi stessi.

 

Giulia Greco