E alla fine c’è sempre lui: il “binario unico”

Redazione Attualità
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index 2Ci sono tante tragedie che sarebbe meglio evitare, che non hanno una ratio, una motivazione, una causa che si possa definire plausibile. I media nazionali si sforzano, o tentano di sforzarsi, per non far sembrare tutto l’ennesima sviolinata di sofferenza: carrellate di soccorritori che lavorano incessantemente sotto il sole cocente, Renzi che affranto comunica la sua vicinanza alle vittime, il ministro delle Infrastrutture Delrio che con la faccia terrea (come se fossero alle porte le Brigate Rosse) spiega o tenta di spiegare alla Camera perché è successo, perchè non doveva succedere. In questi giorni se ne parlato anche troppo: ognuno ha detto la sua nel bene e nel male, e noi di certo non vorremmo unirci a questo coro per non risultare, come tante altre testate, prevedibili, ovvi, superflui. Alla logica del “purché se ne parli” vorremmo contrapporre quella del “purché non si dimentichi”, un vizio fin troppo diffuso in questo paese. I fatti sono ben noti: due treni su uno stesso binario che si scontrano a 200k/h, uccidono 27 persone e riaccendono i riflettori su un problema non proprio di nuova definizione, anzi. Sfogliando i vari quotidiani non si può non notare il legame tra il “binario unico” e la fatalità che ha spezzato cosi tante vite nella giornata di martedì. Ma che cos’è questo binario unico? Non un’ovvietà come si potrebbe pensare, tanto meno un accessorio, un elemento. Il binario unico è un modo di pensare, agire, progettare. E’ il motivo per il quale non solo gli incidenti, ma gli enormi disservizi del nostro sistema ferroviario sono all’ordine del giorno. Si dirà che queste cose capitano, ma non è facile spiegarlo ai turisti, figuriamoci a privati cittadini italiani che ogni giorno prendono il treno, come da prassi, fanno sempre il solito tragitto, arrivano sempre a destinazione in ritardo anche per colpa di questo binario unico. Dati alla mano scopriamo che novemila chilometri di strada ferrata su sedici mila in mano a Rete Ferroviaria Italiana sono a binario unico: in maniera totale nella Valle d’Aosta, il 90% in Molise e Basilicata e l’80 in Sicilia  e Sardegna. Allarmante o meno che sia, potremmo chiederci:”ma sulle tratte a binario unico ci passano pochi passeggeri?” e la risposta, almeno nel “mulino che vorrei”, sarebbe affermativa. Peccato che il frequentatissimo Genova – Ventimiglia viaggia ancora su un unico binario, tanto per fare un esempio. Ecco perché vituperare quel maledetto tratto in provincia di Bari, balzato alle cronache senza che nessuno ne sentisse il bisogno, non solo è scorretto, ma è pure sbagliato a monte. Basterebbe informarsi un po’ per capire che il problema non è del Sud, ma investe buona parte del tessuto ferroviario nazionale. E soprattutto basterebbe avere più rispetto per la propria persona, ed evitare di saltare dalla sedia, ruzzolare per le scale, prendere lo spigolo del corridoio col mignolo del piede, per ricordarsi che il binario unico è una realtà e non una scoperta sconvolgente. “Il binario unico non è l’unica causa di rischio, quel che serve è la tecnologia” ha ribadito il Ministro delle Infrastrutture. La domanda più ovvia che viene in mente è come si possa pensare di rendere un albero produttivo se anziché piantarlo nel modo giusto lo si adegua, lo si rinforza tagliando o aggiungendo sostegni qua e là. Ma adesso l’albero è caduto, e attendiamo di sapere chi avrebbe potuto salvarlo e non l’ha fatto…

Valerio Calabrò