Un visionario a Messina: l’eclettismo liberty di Gino Coppedè

Universome Redazione
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Cultura Locale
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Ammettiamolo: al giorno d’oggi, gli scempi urbanistici degli ultimi quarant’anni e la cementificazione selvaggia che ha afflitto e in parte continua ad affliggere le nostre città, ci hanno lentamente abituati all’idea velenosa che l’edilizia urbana, sia essa pubblica o privata, debba, quasi per definizione, essere qualcosa di meramente funzionale, e, di conseguenza, privo di senso estetico. Anche per quanto riguarda le residenze dei ceti più benestanti ed abbienti, ci appare lontana e quasi estranea l’idea che una casa possa essere qualcosa in più di una semplice scatola in cui passare la vita nella maniera più comoda e confortevole possibile; che possa rappresentare qualcosa di bello, qualcosa in grado di conferire decoro e prestigio non solo al proprietario, ma all’intera città; in poche parole, che possa diventare oggetto d’arte.

Fortunatamente, le cose non sono sempre andate così, e la nostra città, Messina, ne costituisce ancora una preziosa testimonianza. Spostiamoci indietro nel tempo, nei primi del ‘900: quel tragico terremoto del 28 dicembre 1908 di cui così spesso ci sentite parlare nella nostra rubrica, ha appena trasformato una città d’arte, viva, florida e bella in un cumulo di macerie e fantasmi. Ma sotto le ceneri una fiamma cova ancora: è la tenacia dei suoi abitanti, che già dagli anni immediatamente successivi iniziano a prodigarsi, ciascuno nelle sue possibilità, per far risorgere Messina e restituirle, almeno in parte, il lustro e la grandezza degli anni passati.

É in questo contesto di fervore ricostruttivo che dobbiamo immaginarci l’arrivo a Messina di uno degli architetti più ammirati dell’epoca: Gino Coppedè.

Maestro e caposcuola dello stile eclettico liberty, il fiorentino Gino Coppedè è prima di tutto un artista profondamente consapevole della grande tradizione architettonica italiana e allo stesso tempo del gusto per la decorazione e per il bizzarro diffuso nella sua facoltosa committenza; quando arriva a Messina è già un architetto affermato e maturo, con alle spalle numerosi lavori in diverse città italiane e soprattutto a Genova; porta con se una cifra stilistica già inconfondibile, in cui combina a suo piacimento, in maniera capricciosa e surreale, il gusto per il neogotico fiabesco delle sue opere giovanili (come il genovese castello MacKenzie) con elementi stilistici moreschi, rinascimentali, manieristi, barocchi; Messina è dunque, per lui, una tabula rasa su cui mettere alla prova e consolidare, pur nelle restrizioni notevoli imposte dai rigorosi piani regolatori e dalle rigide norme antisismiche, quello stile onirico e visionario che poi esploderà, negli anni ’20, nel suo grande capolavoro della maturità, il complesso urbano detto appunto quartiere Coppedè, a Roma.

Sono tante le sue opere sparse qua e là nel tessuto urbano di Messina, e spesso non opportunamente valorizzate. Probabilmente la più esemplificativa del suo stile, nonché la meglio conservata, è Palazzo Tremi, detto anche Palazzo del Gallo, che si trova all’incrocio fra via Centonze e via Saffi, un po’ fuori dal centro storico: iniziato nel 1913 per il colonnello Vittorio Emanuele Tremi e la moglie, si fa subito notare per l’esuberante decorazione con il ricco fregio graffito con immagini di cavalieri, e i medaglioni con le teste di Medusa. Spostandoci in centro, troviamo il palazzo del marchese Loteta, sulla via Garibaldi, a sinistra della Prefettura, che mostra nell’impianto della facciata, con le sue bifore, la perfetta assimilazione del gotico quattrocentesco ravvivata qua e là da citazioni manieriste; e ancora, in posizione centralissima, in piazza Duomo all’angolo con la piazza Immacolata di Marmo troviamo il Palazzo Arena detto anche Palazzo dello Zodiaco, iniziato nel 1916, con il suo bel fregio e l’elegante portone in stile liberty. Dietro le absidi del duomo, all’incrocio fra la via Garibaldi e via Loggia dei Mercanti, nascoste fra le fronde degli alberi intravediamo le decorazioni, stavolta decisamente neobarocche, di palazzo Cerruti. Tornando sulla via Garibaldi, rispettivamente a destra e a sinistra dell’abside dell’Annunziata dei Catalani si fronteggiano altri due suoi palazzi, di cui il meglio mantenuto, palazzo Magaudda, all’angolo con la via Cesare Battisti, nonostante necessiti di restauri, rappresenta un vero compendio dello stile multiforme e citazionista del Coppedè.

Sarebbero troppi da descrivere uno ad uno gli altri palazzi, tutti costruiti negli anni ’10 e anni ’20 del secolo scorso e disseminati qua e là per le vie di Messina, da Palazzo Bonanno, sul lungomare di fronte alla Fiera Campionaria, a Palazzo dell’Ape sulla via I settembre; un motivo in più, fra i tanti, per passeggiare e perdersi fra le strade di una città che, nonostante le catastrofi storiche, ha ancora tanto da rivelare…

Gianpaolo Basile

Ph: Giulia Greco