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Messina, signora dello Stretto: la fontana del Nettuno

Cultura Locale
Fontana di Nettuno Maurolico Michelangelo Montorsoli

Raccontare la storia di Messina è raccontare la storia del suo mare, lo Stretto, quel braccio d’acqua salata largo pochi chilometri che la separa, insieme alla Sicilia, dal resto della penisola italiana. Dal mare, nel corso dei secoli, la città ha tratto la sua linfa vitale, come città di pescatori, marinai e mercanti: dal mare provenivano le sue ricchezze e gran parte del suo potere e della sua importanza. Eppure in tempi ancora più antichi, avvolti nelle nebbie del mito, lo Stretto di Messina era considerato tutt’altro che un mare ospitale per i naviganti; e proprio le sue capricciose correnti, sovente causa di naufragi, diedero ispirazione al mito omerico (tramandato già nell’Odissea) di Scilla e Cariddi, due orrendi mostri marini che ne infestavano le coste e distruggevano le navi dei marinai.

È a questa simbologia che si ispira un monumento conosciutissimo, quasi un emblema della città di Messina: la fontana del Nettuno, immancabile omaggio della Città al suo mare. È opera del Montorsoli, artista rinascimentale collaboratore di Michelangelo ed attivo a Messina nella seconda metà del ‘500, già artefice, nel 1553, della fontana di Orione, di cui abbiamo discusso nella scorsa uscita. Anche quest’opera, conclusa nel 1557, fu commissionata dal Senato della città di Messina, e anche quest’opera vide il Montorsoli affiancato, nella concezione della struttura, dall’onnipresente abate Maurolico, che anche qui fu autore di alcune delle iscrizioni latine; ma se nella fontana di Orione il tema della mitologica origine della città era solo lo spunto per una vivace e frizzante celebrazione in stile manierista, qui la mitologia diventa allegoria della Città stessa, signora dello Stretto e vincitrice sulle insidie del mare. Anche lo stile sembra cambiare in vista di questo nuovo messaggio, e al dinamismo e alla ricchezza decorativa dell’opera precedente si contrappone qui uno stile più sobrio, misurato e solenne, con evidenti richiami michelangioleschi.

Protagonista assoluto è Nettuno, il dio del Mare, riconoscibile dal tridente, suo attributo; ha il braccio proteso in avanti, lo sguardo all’orizzonte, la posa è plastica e l’espressione ieratica ed imperturbabile; domina la struttura dall’alto del basamento su cui è posto, il cui bordo è ornato da mascheroni e conchiglie alternati. Purtroppo si tratta di una copia, realizzata da Gregorio Zappalà nel 1856 per preservare l’originale, che si trova al Museo Regionale. Sulla faccia frontale del basamento fa bella mostra di se lo stemma imperiale di Carlo V d’Asburgo, caricato del collare dell’Ordine del Toson d’Oro e fiancheggiato dalle colonne d’Ercole, mentre gli angoli del basamento sono ornati dalle code di delfino di quattro cavallucci marini, che sporgono verso la vasca sottostante.

 

La calma e la serenità olimpica di Nettuno contrastano in maniera stridente con le due statue laterali, raffiguranti Scilla e Cariddi ridotte simbolicamente in catene, che gridano disperate e si dimenano. Le sembianze mostruose delle due creature, rappresentate con corpi femminili e code di pesce, sono rese ancora più terribili dalle espressioni accentuatamente drammatiche dei volti, mentre nelle pose contorte e nei corpi muscolosi è possibile quasi intravedere l’impronta del maestro Michelangelo. Scilla, a sinistra, è riconoscibile dai volti di cani latranti che le sporgono dalla vita, così come viene descritta da Ovidio nelle Metamorfosi; è anch’essa una copia, stavolta di Letterio Subba, del 1858, dato che l’originale fu danneggiato da una cannonata durante le rivolte del 1848 ed è anch’esso al Museo Regionale.

Oggi l’intero complesso si trova in zona Boccetta, sul lungomare, di fronte al Palazzo del Governo, sede della Prefettura, ed è rivolto verso il mare; prima del terremoto del 1908 invece si trovava più a sud, sul lungomare, ed era rivolto in modo che Nettuno guardasse la città. Il messaggio simbolico è evidente: dopo aver incatenato i due mostri Scilla e Cariddi, Nettuno, dio del Mare, si rivolge alla Città offrendole i suoi frutti. Questo fece nascere però una storiella popolare circa la fontana, secondo cui la statua non raffigurava Nettuno ma un mitico pescatore gigante, “lu Gialanti pisci”, che aveva deciso di catturare i due mostri marini per scommessa con dei pescatori calabresi. La statua avrebbe dunque volto le terga alla Calabria per sbeffeggiare gli eterni rivali sull’altra sponda dello Stretto: ma questa, naturalmente, è solo una leggenda…

Gianpaolo Basile

Ph: Martina Galletta