Savoca, il borgo medievale tra storia e tradizioni

Con agosto alle porte siamo entrati nel cuore dell’esate, stagione prediletta per godersi le bellezze della nostra terra. Oggi continuiamo il viaggio tra le meraviglie della provincia di Messina, facendo tappa a Savoca, piccolo comune medievale dalla storia ricca e travagliata.

La chiesa di San Nicolò – Fonte: ioamolasicilia.com

Le origini di Savoca

Arroccata sopra un colle bivertice roccioso prospiciente il litorale ionico sorge Savoca, il cui nome deriva dalla pianta di Sambuco (in dialetto savucu); altre ipotesi riportano che Ruggero II fondò la città nel 1134, con il titolo di Baronia, “Terra ferace di gagliardi ingegni”. È definita anche “paese dalle sette facce” perché da qualsiasi parte si guardi l’orizzonte offre scenari sempre nuovi; un detto popolare infatti descrive così il borgo: “Supra na rocca Sauca sta, setti facci sempri fa”. Savoca è anche un borgo d’arte inserito nel circuito de I borghi più belli d’Italia. Esso conserva nel proprio territorio ciò che richiama alla mente di un passato di origine medievale, rinascimentale e barocco. Savoca fa parte del comprensorio turistico della Valle d’Agrò ed è anche comune aderente all’Unione dei comuni delle Valli joniche dei Peloritani.

Il borgo medievale di Savoca – Fonte: sicilyspot.altervista.org

La storia di Savoca

Al principio Savoca si sviluppò urbanisticamente attorno alla “Rocca di Pentefur”, alla cui vetta, al tempo dominazione araba, sorse un castello ancora oggi chiamato inesattamente “Castello saraceno”. Nei secoli XIV e XV edificarono molte chiese, fra le quali quella imponente di Santa Lucia; crollata nel 1880 in seguito ad una frana; sono stati i  Domenicani ad aver dato vita al culto di Santa Lucia. La terra di Savoca assistette sempre da protagonista agli avvenimenti di storici che interessarono la città di Messina. Si ricorda fieramente dagli storici locali “L’atto di capitolazione della terra di Savoca dinanzi alle armi francesi”, redatto mentre era in corso la ribellione di Messina contro la Spagna. Nel 1948 Savoca riottenne la sua autonomia da S. Teresa di Riva, persa nel periodo fascista.

La festa patronale

Nell’anno 1465 è stato costruito il Convento dedicato a Santa Lucia, patrona del paese. Si immagina che la maestosa chiesa di S. Lucia, il cui crollo risalirebbe all’anno 1880, fu costruita almeno un secolo prima: essa possedeva nove altari e cinque sepolture.

La ricorrenza di S. Lucia ricade il 13 dicembre, giorno in cui a Savoca si svolgono importanti funzioni religiose; la festa patronale, si svolge però la seconda domenica di agosto e attira migliaia di devoti e turisti.

Viene celebrata principalmente in due momenti: la processione del simulacro della Santa per le vie del centro storico e la rappresentazione vivente in costumi d’epoca di alcune scene del martirio a cui fu sottoposta Santa Lucia dal governatore romano Pascasio nel 303 d.C. I personaggi principali sono: Lucia, raffigurata da una bambina in candida veste portata a spalla da un uomo;  “U Diavulazzu” vestito di rosso, indossa una maschera di legno antica e “tenta” Lucia, agitando una forcella;  i Giudei; il tamburino e due vacche addobbate con nastri e guidate da un uomo in costume d’epoca: “il bifolco”. Alle vacche è collegata una fune “tirata” dal “popolaccio”; questa scena si conclude con la fuga delle “vacche” del “diavulazzu” e dei “Giudei” che rappresentano le forze del male, testimoniando la vittoria del bene: “La Lucia” sul male.

La festa di Santa Lucia – Fonte: siciliainfesta.com

Meta turistica

Savoca è famosa anche per essere stata scelta come set di numerosi film di grande successo, come il Padrino (1971) di Francis Ford Coppola; le riprese interessarono la chiesa di San Nicolò, le vie del Centro storico e il Palazzo Trimarchi, sede del Bar Vitelli, che mantiene ancora oggi l’insegna e le caratteristiche architettoniche di quando furono girate le scene del film.

Il Bar Vitelli – Fonte: siciliaescursioni.com

La storia, il paesaggio dalle “sette facce”, la realtà monumentale, le leggende e le tradizioni popolari, che ancora si possono apprendere, costituiscono un unicum irripetibile di Savoca, dove ogni pietra racconta una storia peculiare.

 

Marika Costantino 

Fonti:

comunesavoca.gov.it

wikipedia.org/wiki/Savoca

Tra storia e mito: nel cuore della città di Messina

La Sicilia è stata fin dall’antichità luogo di conquiste e invasioni. La sua posizione strategica, al centro del Mediterraneo,  ha fatto sì che l’Isola fosse culla di moltissime culture, spesso nate dall’incontro di più popoli. La sua storia appare dunque complessa e porta con sé non solo importanti avvenimenti ma moltissimi miti e leggende, tutt’ora ricordate e amate dai cittadini. Per quanto riguarda la nostra città, moltissimi sono i miti nati per spiegare fenomeni atmosferici e particolarità dello Stretto, ma altrettanti sono quelli legati alla storia e ai personaggi che hanno reso Messina la città ricca di cultura e tradizione come la conosciamo oggi.

Vediamoli insieme.

L’origine di Messina e di Capo Peloro

La città di Messina fu fondata da varie popolazioni provenienti dall’Antica Grecia. Tra queste ultime è importante ricordare i Siculi, popolo a cui si deve l’antico nome della città: Zancle. L’origine del nome ha molto a che fare con la forma a falce (Zanklon in greco) del braccio di San Ranieri, una penisola sabbiosa in cui era ubicato lo storico porto di Messina, famosa oggi per la Statua della Madonna della Lettera, patrona della città.

Il nome attuale si deve invece ad Anassila, tiranno che occupò poco più tardi entrambe le sponde dello Stretto. L’uomo -originario della Messenia- rinominò infatti la città in onore della propria patria.

Il braccio di San Ranieri – Fonte: wikipedia

Messina è però legata anche a un’importante figura leggendaria: il gigante Orione, figlio di Poseidone. Si racconta che fu proprio lui a fondare la città e, in particolare, la zona di Capo Peloro, dove fece ergere un tempio dedicato al culto del padre.

Orione fondatore di Messina (dettaglio della Fontana di Orione) – ©Luciano Giannone, Messina 2019

Questo stesso luogo è inoltre legato alle vicende di Annibale: il condottiero fece uccidere lì uno dei suoi timonieri perché convinto di essere stato tratto in inganno e guidato verso un golfo senza uscita, nel punto in cui le coste di Sicilia e Calabria sembrano, infatti, unirsi. Dopo essersi accorto dell’errore commesso intitolò all’uomo un promontorio e ordinò di costruire una statua, come segnale per i naviganti che sarebbero giunti lì dopo di loro.

Mata e Grifone tra arabi e normanni

Un’altra leggenda conosciuta da tutti i messinesi è quella dei giganti Mata e Grifone, le cui statue di cartapesta vengono portate in processione per le vie della città nel periodo di Ferragosto. La loro storia potrebbe essere legata a ben due importanti avvenimenti che vedono come protagonista proprio Messina.

La prima ipotesi ci riporta al periodo in cui i saraceni, popoli provenienti dalla penisola Araba, invasero la Sicilia, intorno al 970 d.C. Protagonista della storia è un invasore moro, Hassas Ibn-Hammar, che giunto nell’isola si innamorò della cammarota Marta (in dialetto messinese Mata). L’uomo si convertì per poter sposare la donna e tramutò il suo nome in Grifo (da cui appunto Grifone).

I giganti Mata e Grifone – Fonte: archivio di AEGEE-Messina

 

La seconda ipotesi si ricollega invece a un fatto realmente accaduto: l’arrivo nell’isola nel 1190 -in occasione della Terza Crociata- di Riccardo Cuor di Leone, re di Inghilterra. Siamo nella Messina normanna, nel periodo in cui parte del potere è però ancora nelle mani dei greci. È in questo scenario che il re fece costruire una fortezza (oggi Sacrario di Cristo Re) denominata Matagrifone come monito a difesa dei cittadini. Il nome della costruzione prende origine dal verbo latino mateare (“uccidere”) e da grifoni (nome con cui venivano definiti a Messina i greci). Secondo quest’ipotesi le statue non ricorderebbero dunque due innamorati quanto, piuttosto, la “Messina trionfatrice” (Mata) e un servo greco sconfitto (Grifone).

Le donne dei vespri siciliani

Nel 1266 la Chiesa affidò la Sicilia a Carlo I d’Angiò, figlio del re di Francia. Questa scelta creò parecchi malumori e scontri nell’isola tanto da sfociare il 29 marzo 1282 nei Vespri Siciliani: scontri tra i francesi di Carlo e gli aragonesi, chiamati a regnare dagli stessi siciliani.

È importante ricordare il 5 luglio di quell’anno, giorno in cui Carlo giunse nell’isola e pose l’assedio a Messina. A quest’avvenimento sono infatti legate moltissime leggende che vedono, questa volta, protagoniste delle donne coraggiose alla difesa della propria città.

Tra queste è inevitabile ricordare Dina e Clarenza, due dame messinesi ma soprattutto due eroine che si opposero alle minacce degli angioini durante la notte dell’8 agosto: le due donne respinsero gli attacchi dal Colle della Caperrina, Dina lanciando sassi contro i nemici e Clarenza suonando le campane del campanile per avvertire l’intera città.

Dina e Clarenza nel campanile del Duomo di Messina – Fonte: discovermessina.it

Sempre in relazione all’assedio di Messina è importante nominare la leggenda della Dama Bianca. Si racconta infatti che apparve ai soldati una donna che con il suo mantello bianco respinse le frecce dei nemici proteggendo la città. Qualche anno dopo un frate ricevette in sogno la richiesta della donna di far costruire un santuario in suo onore nel luogo in cui avrebbe fatto volare una colomba bianca. Il giorno seguente una colomba volò proprio sul Colle della Caperrina e fu lì che venne costruito il Santuario della Madonna delle Vittorie, conosciuto oggi come Santuario della Madonna di Montalto.

Sia Dina e Clarenza che la colomba con il santuario sono raffigurate nel campanile del Duomo di Messina.

Colle della Caperrina e Santuario della Madonna di Montalto – Fonte: immaculate.one

 

Il ruolo delle tradizioni

Come spesso accade non è semplice distinguere la realtà dal mito, perché la storia della città li racchiude entrambi ed è capace di suscitare un sentimento di appartenenza nel cuore dei cittadini: tendiamo a riconoscerci in quelle storie, in quei personaggi, in quelle vicende che, seppur così lontane e intrise di miti, riusciamo facilmente a sentire profondamente vicine e totalmente nostre. A cosa servono dunque le tradizioni? Non a rimanere ancorati al passato, senza riconoscerne gli errori, quanto piuttosto a ritrovare un senso di appartenenza nel presente e riconoscere quei valori necessari per il futuro.

Cristina Lucà

Fonti:

discovermessina.it

gazzettadelsud.it

athenanova.it

Immagine in evidenza: I vespri siciliani di Francesco Hayez – Fonte: wikipedia