Allen e la variazione numero 50 nella collezione di “non-capolavori”

“Écrit et dirigé par Woody Allen”. Titoli di testa in francese per la versione originale di Coup de chance, opera numero 50 del regista che finalmente ha realizzato il suo sogno: girare un film europeo.
Presentato fuori concorso (perché a Woody non piace la competizione) all’80ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il film è l’ennesima variazione sul tema dell’amore. E forse anche l’ultima.

Woody Allen è quel regista che nei manuali di storia del cinema si posiziona subito dopo il crollo dello Studio system, quando il cinema indipendente era possibile, e qualche istante dopo la disastrosa comparsa dello streaming che mina lentamente quella magica esperienza della sala cinematografica.
E se all’esperienza in sala sembra ormai che la gente preferisca tornare al kinetoscope di Edison, l’antenato del nostro proiettore, anche l’industria cinematografica, a detta dello stesso Woody, da “glamour” sembra ormai essere destinata a diventare sempre più anonima:

“Facevi un film e migliaia di persone correvano in sala, e il film restava nei cinema per sei mesi, e tutti facevano la coda per vederlo. Ora è diventato tutto anonimo, due settimane e poi il film scompare, le persone lo guardano in camera da letto, non hai più nessun contatto con loro”. – Woody Allen

Alla ricerca del capolavoro, fra tagli rapidi e riprese in controcampo!

E mentre tutti noi attendiamo quel coup de chance che possa migliorare la situazione, Allen col suo nuovo film torna sulla scia di Match Point e di Irrational Man, dando sfogo alla sua natura di giallista un po’ sui generis. E se tutti, dai critici ai fans, sperano di trovare in quest’ultimo film, il capolavoro della sua carriera, Allen li “rassicura” e, anzi, è piuttosto convinto di non aver mai girato quel grandissimo film che tutti cercano. Forse, in mezzo ai suoi 50 lavori ne salverebbe non più di dieci.

Allen
Woody Allen all’80. edizione del Festival del Cinema di Venezia. Fonte: Gazzetta del Sud

Ma è mai possibile che, uno dei più grandi registi degli ultimi cinquant’anni, non sia soddisfatto nemmeno di una delle sue opere? Guardando a ritroso nella sua carriera troviamo film che fanno ormai parte dell’immaginario collettivo: Io e Annie, con cui Woody Allen si è aggiudicato due oscar nel 1978 (miglior regia e miglior sceneggiatura originale); Hannah e le sue sorelle, film studiato dallo storico del cinema statunitense, David Bordwell, per i tagli rapidi che caratterizzano alcune delle scene e per le riprese in controcampo;  Midnight in Paris (miglior sceneggiatura originale del 2012), e il più recente Un giorno di pioggia a New York che, pur essendo stato accolto piuttosto negativamente dalla critica, ha visto come protagonisti Timothée Chalamet e Selena Gomez.

Una “scontornata” retrospettiva su Woody Allen

Insomma, appellandoci alla sua filmografia ognuno di noi avrebbe la possibilità di trovare quel film perfetto. Anche se forse, il più importante e, probabilmente, anche il più divertente film che Woody Allen abbia girato fra questi 50 “non-capolavori”, è la sua stessa vita. Un po’ ipocondriaco e un po’ allarmista, divertente, un grande regista e un po’ meno un jazzista, ma pur sempre un grande artista.

È con queste poche e semplici parole che potremmo scontornare la figura del personaggio che Woody è diventato in questi 88 anni di vita. Ci ha fatto piangere, di certo ridere, e ha fatto parlare di sé. Non solo per le sue scarpe francesi con la zip o per essersi addormentato durante la diretta con Fabio Fazio, ma anche per questioni di cuore, proprio come nei suoi stessi film.

E questo potrà anche essere il suo addio alla macchina da presa, – anche se, a quanto pare, lui ha sempre preferito scrivere sceneggiature, – ma noi tutti ricorderemo il suo cinema e, soprattutto, ricorderemo lui. Per il suo fare irriverente, per il suo modo di indossare quegli occhialoni e quel poetico cinismo che gli calza perfettamente, l’unico modo da lui conosciuto per affrontare la vita.

Anche perché non dimentichiamoci che la vita per Woody Allen non è altro che: “una commedia scritta da un sadico che fa il commediografo”. E come dargli torto!

Domenico Leonello
Caposervizio UniVersoMe

 

*Articolo pubblicato il 14/12/2023 sull’inserto Noi Magazine di Gazzetta del Sud

Io & Annie: storia di una relazione imperfetta

Commedia romantica profonda, ma con un tono umoristico – Voto UVM: 5/5                                           

I grandi film, col passare degli anni, non solo continuano ad essere visti ed apprezzati dal pubblico, ma fanno letteralmente la storia del cinema: diventano cult. Questo è il caso di Io & Annie (Annie Hall).

Il film diretto ed interpretato da Woody Allen, è una delle pellicole insieme a Manhattan che gli valsero maggior successo ed è uscito nelle sale nel 1977.

Fonte: pinterest.com- Alvy nel monologo iniziale

Trama

“Annie e io abbiamo rotto e io ancora non riesco a farmene una ragione. Io… io continuo a studiare i cocci del nostro rapporto nella mia mente e a esaminare la mia vita cercando di capire da dove è partita la crepa, ecco…”

Io & Annie racconta la storia della relazione tra un comico cinico, Alvy Singer, interpretato dallo stesso Woody Allen, e una giovane cantante, Annie Hall, interpretata da Diane Keaton.

Il film strutturalmente non ha una sua unità cronologica: Alvy ripercorre con la mente vari momenti della loro relazione in diversi episodi, alternando flashbacks anche della sua infanzia e del matrimonio con la sua prima moglie, Allison. Ciò che rende questo film speciale e diverso da qualsiasi altra commedia romantica è il modo in cui presenta al pubblico l’intera parabola di una relazione, dalla prima fase dell’innamoramento all’emergere dei primi contrasti e di un diverso modo di vedere le cose, fino alla rottura definitiva.

Durante tutto il film, inoltre, lo spettatore ha un contatto diretto col personaggio: una delle tecniche per cui Allen è maggiormente noto è il dialogo diretto con il pubblico. Alvy stesso presenta durante svariati monologhi il suo punto di vista, alternato sempre ad un sottile umorismo, a tratti velato di cinismo e pessimismo.

Annie Hall e Alvy Singer

Fonte: tumblr.com- Alvy ed Annie che si baciano

Alvy ed Annie hanno delle personalità opposte: Annie è molto esuberante, anche se all’inizio è un po’ insicura, specialmente riguardo al suo talento nel canto.  Proviene da una normale famiglia americana, è molto legata ai genitori e specialmente alla nonna.

Al contrario, Alvy è un personaggio molto cupo sotto vari aspetti: è ebreo e pensa di essere discriminato per questo, va da uno psicologo da quindici anni, non riesce ad avere relazioni stabili con altre donne. Non riesce a distaccarsi da New York, la sua città; è un comico, ma tutte le sue battute sono sempre di stampo umoristico-pessimistico. Durante la sua relazione con Annie tende in parte a soffocarla, facendola diventare un po’ come lui.

I due protagonisti inoltre rispecchiano in parte gli attori: Annie Hall, infatti riprende il vero nome dell’attrice Diane Keaton (Diane Hall), mentre il carattere di Alvy riflette un po’ lo stesso Allen, o comunque molti altri personaggi da lui ideati ed interpretati durante la sua carriera cinematografica come Isaac Davis in Manhattan (1979) o Sid Waterman in Scoop (2006).

Un film da Oscar

Io & Annie viene candidato nel 1978 a ben 5 premi oscar, di cui ne vince 4: miglior film, miglior regia ad Allen, miglior attrice protagonista alla Keaton e miglior sceneggiatura originale. Woody Allen ottenne anche la candidatura per miglior attore protagonista.

Inoltre, per i fan della serie tv How I met your mother, il film preferito di Ted è proprio… Io & Annie!

Fonte: wikipedia.it- Alvy ed Annie seduti nel parco

Per  finire

Credo che Io & Annie non sia solamente l’ennesimo film romantico strappa lacrime, ma che abbia un significato più profondo; in ogni caso, pur affrontando il difficile argomento della relazione di coppia, lo fa con punte di umorismo e nella maniera più leggera possibile.  Questo film non lascia la tristezza nel cuore, anzi: uno strano sorriso sul volto.

Ilaria Denaro

Cafè Society: leggerezza e ironia amara nel nuovo film di Woody Allen

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Se l’autunno che avanza diffonde sulle nostre vite una ventata malinconica in grado di allontanare i ricordi briosi e dolci dell’estate, l’avvio della nuova annata di cinema offre un efficace antidoto capace di risollevarci, o almeno di incanalare nel giusto cantuccio le emozioni che erano rimaste a lungo assopite sotto l’ombrellone. Il ritorno di Woody Allen, regolare come quello delle stagioni, rischiara i sentimenti con tocco soave, riconducendoli al proprio ordine naturale. Appaiono vivaci i riferimenti consueti del cineasta in un’opera che racconta l’amore non senza sganciarsi dagli aspetti beffardi dell’esistenza. E che ancora attraversa con nostalgia le lancette del tempo.

 

Siamo nei colorati anni ’30 dello star system di Hollywood. Bobby Dorfman (Jesse Eisenberg) è un giovane ebreo di New York figlio di un orefice per nulla attratto dalla prospettiva desolante e noiosa che la permanenza in città e il lavoro del padre paiono offrirgli. Con l’ambizione di inserirsi nell’industria del cinema si rivolge allo zio Phil (Steve Carell) manager di attori famosi, presenza attiva alle feste eleganti a bordo piscina. Il rapporto coi divi e la società frivola di Los Angeles si impadroniscono della sua nuova vita e sarà così, alla fine, l’incontro con la disinvolta e magnetica Vonnie (Kristen Stewart), segretaria di Phil, a stravolgere ogni suo progetto. Il triangolo amoroso che coinvolge i tre protagonisti scaverà con intensità il dubbio della scelta dell’amata. La delusione al ritorno nella città natale farà crescere Bobby senza inibizioni e lo spingerà a fondare un locale notturno frequentato da alcune teste coronate d’Europa, da signori mondani e altolocati della società dell’epoca, nonché da esponenti della malavita italo-americana.

 

In Cafè Society, frutto delle 80 candeline spente dal regista lo scorso dicembre, i temi dei film di Woody Allen ricorrono senza esclusione di colpi: l’umorismo corale dei personaggi brulicanti e caratterizzati di Radio Days, il fascino fiabesco verso altre epoche, i due poli in antitesi di New York e Los Angeles alla maniera di Annie Hall, il sempre eterno ritorno alle proprie origini newyorkesi e quel senso di attesa e di oscuro presagio rappresentato dal futuro che incombe. Non sono nuovi gli argomenti cari al regista, affrontati senza dubbio con ben diverso spessore e profondità che in altre storiche pellicole precedenti. Eppure l’apparente giocosità e mancanza di pesantezza di questa nuova brillante amara commedia romantica lascia posto a espedienti tecnici e a una rinnovata cura del dettaglio, specialmente visivo, realmente sorprendenti.

cafesocietIl peso di Vittorio Storaro alla fotografia (premio oscar per Apocalypse Now) si palesa su una storia semplice, priva di novità clamorose, nel solco di una rappresentazione tipica e prevedibile, ma accompagnata da immagini e sensazioni che lasciano il segno. A catturare lo schermo è l’eccezionale bellezza di Kristen Stewart, vera nuova musa di Woody. Ma è anche l’ironia, cifra del suo cinema, che non subisce increspature, incrinature, segni del tempo. L’esito finale è quello di un regista che dopo ben 47 film mantiene ancora in piedi la sua freschezza. Cafè Society è un film imperfetto, così come lo sono talvolta le opere che arrivano a sedimentarsi nel nostro immaginario per arricchirlo e costruirci intorno altre storie. E questo proprio perché, come uno dei personaggi afferma in una scena, la vita è una commedia scritta da un sadico che fa il commediografo. Il film scorre veloce e a tratti con passaggi frettolosi, ma non perde di vista la sua efficace unità espressiva fortemente inquieta e drammatica dietro la patina di leggerezza.

 

Messo da parte il tono sarcastico delle origini, la verve comica cerebrale e nevrotica dei primi film, Cafè Society è un’opera della piena maturità, formalmente riuscita, in buona misura riassuntiva e emblematica (immancabile la colonna sonora jazz nei titoli di coda e la magia che l’avvolge). Un film che vale la pena andare a vedere nelle sale, e che, alla fine della proiezione, accantonate le incertezze e le riserve sulla sceneggiatura, rimane come puro esempio di cinema.

Eulalia Cambria