Festival di Cannes 2018: poche “stars” e molte polemiche

Come ogni anno, con l’arrivo di Maggio, ritorna il più importante evento cinematografico dopo gli Oscar hollywoodiani:  il Festival di Cannes, la splendida passerella che ha portato al trionfo pellicole cult come Miracolo a Milano di De SicaLa dolce vita di Fellini e Pulp Fiction di Tarantino (solo per citarne alcuni).

Ma, a soli 8 mesi dallo scoppio del “Caso Weinstein” e, con il ricordo ancora vivido delle bellissime parole pronunciate durante la serata degli Oscar dall’attrice Francis McDormand, è stato facile prevedere la forte ondata di polemiche e manifestazioni che sta colpendo giorno dopo giorno l’evento di punta della stupenda città della Costa Azzurra. È stata, infatti, assordante la marcia silenziosa portata avanti sul red carpet del Palais des Festivals et des Congrès, da parte di 82 donne del cinema tra cui registe, attrici, produttrici, manager che hanno sfilato per manifestare contro le violenze sessuali e spingere verso una più netta e concreta equiparazione dei sessi all’interno dell’industria cinematografica e non solo. In testa al corteo la presidente della giuria, Cate Blanchett, e la regista belga, neo-vincitrice di un Oscar alla carriera, Agnés Varda, hanno sottolineato l’importanza di questo gesto con la lettura di un significativo discorso sulle scale d’ingresso del Grand théâtre Lumière:

“Le donne non sono una minoranza nel mondo, ma la rappresentanza che abbiamo nell’industria sembra dire ancora altro… affrontiamo ovunque ognuna le proprie sfide, ma oggi siamo qui insieme per dare un segnale della nostra determinazione e del nostro impegno al progresso. Queste scale devono essere accessibili a tutte. Scaliamole!”

Ad organizzare la marcia è stato il nuovo movimento femminile francese 5050×2020” che, insieme ai già noti Time’s up , Dissenso comune e MeToo, si sta impegnando in questa dura battaglia.

E, se da un lato spiccano in senso positivo questi gesti di ribellione e invito al progresso, dall’altro destano scalpore e danno adito ad altre polemiche, le decisioni prese dal delegato generale del Festival di Cannes 2018, Thierry Fremaux.

Il cinquantottenne critico cinematografico francese e direttore dell’Istituto Lumière di Lione, si è fatto notare proprio per le restrizioni a cui ha sottoposto questa 71esima edizione della kermesse, negando, in primis, la partecipazione alla corsa alla Palma d’oro, dei film prodotti dal colosso statunitense Netflix, denunciando l’incompatibilità dei metodi di distribuzione delle pellicole da parte della piattaforma web, con le regole del Festival:

“Il loro modello (di Netflix, ndr) è incompatibile con quello francese, a Venezia non hanno lo stesso problema (…) Noi per questa edizione avremmo voluto il film di Cuarón, Roma, in Concorso, e il film inedito e restaurato di Orson Welles, The Other Side of the Wind, fuori concorso. Per il primo non c’era possibilità di accordo, perché il Concorso comporta il passaggio in sala, ma per il secondo non ci sarebbero stati problemi, è una loro scelta”

Risultati immagini per Thierry Fremaux

A queste polemiche si sono accompagnate quelle relative alla cancellazione delle anticipate stampa (le proiezioni in anteprima dei film destinate ai soli giornalisti che permettevano loro di scrivere gli articoli per tempo), decisione che ha completamente stravolto il piano di copertura informativa di Tv e carta stampata, scatenando le ire dei giornalisti. Le motivazioni espresse da Fremaux sono da ricollegare alla volontà di evitare spoiler ed anticipazioni sui social network o sulle testate online:

Volevamo che la proiezione di gala fosse una vera première, un vero evento, il primo passaggio in assoluto del film. Non è un provvedimento contro la stampa.”

Infine, l’ultima e forse più bizzarra presa di posizione del delegato generale, è stata quella di negare la possibilità a tutti di fare selfie sul red carpet, scelta che giustifica con la questione della sicurezza :

Siamo l’unico grande festival che consente l’accesso sul red carpet a tutti. Capitava che la gente cadesse sulle scale per fare una foto.”

Ciò ha fatto molto arrabbiare i fan che aspettavano con ansia di immortalare il loro volto accanto a quello dei loro attori e registi preferiti e che invece potranno solo guardare da lontano.

Sarà, dunque, un Festival dai pochi likes sui social e dalle molte facce serie quello del 2018, in cui le polemiche stanno avendo un ruolo di punta. Ma ciò che ci auguriamo è che si riesca a mantenere tutto questo lontano da quello che realmente conta: la bellezza dei film in concorso e le storie che questi vogliono raccontare al pubblico.

Che vinca il migliore!

Giorgio Muzzupappa

Femminismo non è una cattiva parola

Ho una maglietta che dice “Femminismo non è una cattiva parola”. 
C’è stato un momento della mia vita in cui però l’ho pensato e come me, credo qualche altra ragazza. I ragazzi che incontravo, gli amici, anche qualche amica, quando mi apostrofavano “sei una femminista: è ovvio che dici così” “si seccherà perché è una femminista convinta” mi avevano gettata nello sconforto, quasi convincendomi di essere nel torto.
Non c’era cattiveria in loro, ma il dubbio si era fatto strada nella mia mente. Fortunatamente il periodo adolescenziale è durato pochissimo, i pensieri per me innaturali sono lontani e io sono felice delle convinzioni che si sono imposte e soprattutto di quelle nuove.

Le parole sono potenti, il bisogno umano di definire le cose fisiche e non è impellente, e le parole vengono utilizzare con accezioni differenti, nel caso di “femminista” intesa come “la donna arrabbiata”.
Abbiamo superato il periodo in cui per femminista era intesa una donna che rivendicava la parità fra i sessi e l’emancipazione della donna. Oggi l’ambito è molto più ampio, mantenerci radicati ad una definizione con il mondo che cambia quotidianamente è illusorio.
Io credo che questo sia il momento più bello per essere un/una femminista.
Siamo collegati da una necessità di cambiamento nella visione sociale dell’essere umano femminile e non solo.
Oggi si tratta di vederci come esseri umani e di essere trattati con la stessa dignità.

Il movimento “Women’s march” in USA ha avuto un fortissimo impatto mediatico e politico. Le donne in USA oggi si stanno presentando, in numeri mai visti, per le elezioni politiche che vanno dai seggi locali a quelli del senato.
Qui in Italia il movimento “Non una di meno” ha prodotto “Abbiamo un piano. Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere.” .
Laura Boldrini ha riempito la Camera di donne giorno 25 novembre per la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Questi non devono essere eventi sporadici nel nostro paese, le Camere dovrebbero avere una percentuale maggiore di donne sedute. Donne competenti si intende, come d’altronde deve essere per gli uomini.
Rendermi conto che solo 12 anni fa è stato varato il dlgs. confluito poi nel Codice delle pari opportunità uomo donna mi ha infastidito e scoraggiata ma il cambiamento sta soffiando anche qui.

 

Quando ad ottobre 2017 si è scatenata la bufera Weinstein, ero scettica sull’effetto mediatico che avrebbe avuto in Italia ma subito è stato rimpiazzato da una forte rabbia per il modo in cui Asia Argento è stata trattata ed apostrofata.
Perché Asia Argento è una donna come tante, per alcuni indicata come fortunata sotto l’aspetto economico-sociale, ma è una donna in primis che ha subito quello che molte, moltissime altre italiane subiscono quotidianamente.
Mi ha fatto arrabbiare il fatto che alcune donne l’abbiano criticata e le sue colleghe non l’abbiano sostenuta come è successo invece con Rose McGowan, Annabella Sciorra, Rosanna Arquette (la lista è veramente lunga).
E se gli italiani storcono il naso perché si tratta di questioni “contaminate” dagli stranieri, ci sono le testimonianze di diverse donne che lavoravano per “Non è la Rai”  che a 16/17 anni si sono ritrovate sbattute contro una porta, usate come regalo per figli di politici, le agenzie che le prostituivano (perché questo facevano). Sapere che dietro certi ingegni c’erano alcune volte altre donne sdegna e irrita.
E coloro che si rifiutavano vedevano troncate le proprie carriere “hai ancora il rossetto? Non ti vedremo più cara.”.
Le donne dello spettacolo oggi sono i portavoce più potenti insieme ai politici.
In Italia è necessario che il dialogo sia quotidiano e forte, siamo un paese che ha memoria corta.
Asia Argento ha rotto il “glass ceiling” del silenzio in Italia una volta per tutte.

 

https://www.youtube.com/watch?v=VtUWs6muGzg

 

Io sono nata in una famiglia che non ha mai limitato le mie azioni perché femmina ma soprattutto sono cresciuta con una tribù di amiche che mi hanno sempre spalleggiato, se non fosse stato per loro alcune volte non avrei nemmeno provato esperienze.
Sono la mia forza e la mia continua sfida e rappresentano tutto quello che i legami fra donne significano.

Sono una privilegiata in questo paese e in questa città, me ne sono resa conto da troppo poco e questo mi fa arrabbiare ancora di più, per non essermi “svegliata” prima.
Il tempo per questa sonnolenza è scaduto.
Fin da piccole siamo abituate a far finta di non sentire i commenti e i fischi, di fare attenzione la sera tornando a casa, arriva poi l’età in cui bisogna far fronte alle avances fastidiose sul luogo di lavoro da parte dei capi e colleghi. Dal clima scolastico si viene catapultate in questo.
Certo gli abusi sessuali sono ben diversi da quelle che sono avances, ciò non toglie che alcune situazioni siano sgradevoli.
Un mondo al quale ci siamo abituate non vuol dire che sia giusto.

L’altro giorno con un’amica discutevamo del fatto che un ragazzo avesse detto ad un’altra amica, riferendosi al suo abbigliamento che , parafrasando, “si era vestita apposta per far avvicinare i maschi”.
Le ragazze si vestono in primis per sé e anche se il fine fosse altro ciò non giustifica l’altro genere ad arrogarsi il diritto di essere fastidioso ed insistente quando si mostra il disinteresse. Non ho mai visto in vita mia una ragazza insistere nei confronti di un ragazzo o dirgli che si era sistemato per attirare “le femmine”.
Sono sicura di non essere l’unica ragazza che quando mette una maglietta un po’ più scollata nota gli sguardi altrui, anche l’atteggiamento. Mi ha portato ad un istintivo senso di pudore che con difficoltà abbandono.
L’abbigliamento è espressione di sé, non un’autorizzazione per gli altri ad agire liberamente.

Noi ragazze non abbiamo la stessa libertà di espressione nel definire i nostri desideri e voglie per il nostro piacere come i ragazzi. Ragazzi abbastanza lungimiranti, si rifiutano di sentirmi parlare di certi argomenti, che sono invece centro di conversazione fra loro dello stesso sesso. Se ne parla solo dal loro punto di vista ed esigenze. È un limite per entrambi per differenti motivi.

L’anno scorso ho scoperto Alba De Céspedes e la sua corrispondenza con Natalia Ginzburg sul “pozzo” in cui le donne cascano. Dialogo di qualche decennio fa che mai come oggi mi sembra attuale:

“pensavo che gli uomini lo avrebbero letto distrattamente, o con la loro vena di ironia, senza intuire l’accorata disperazione e il disperato vigore che è nelle tue parole, e avrebbero avuto una ragione di più per non capire le donne e spingerle ancora più spesso nel pozzo. Ma poi ho pensato che gli uomini dovrebbero infine tentare di capire tutti i problemi delle donne; come noi, da soli, siamo sempre disposte a tentare di capire i loro. […] del resto – tu non lo dici, ma certo lo pensi – sono sempre gli uomini a spingerci nel pozzo; magari senza volerlo.
Ti è mai accaduto di cadere nel pozzo a causa di una donna? Escludi naturalmente le donne che potrebbero farci soffrire a causa di un uomo, e vedrai che, se vuoi essere sincera, devi rispondere di no. Le donne possono farci cadere nell’ira, nella cattiveria, nell’invidia, ma non potranno mai farci cadere nel pozzo.
Anzi, poiché quando siamo nel pozzo noi accogliamo tutta la sofferenza umana che è fatta , prevalentemente, dalla sofferenza delle donne, siamo benevole con loro, comprensive, affettuose.
Ogni donna è pronta ad accogliere e consolare un’altra donna che è caduta nel pozzo: anche se è una nemica […] uomini a spingerci nel pozzo. I figli pure sono uomini, e i fratelli, i padri; ed essi tutti con le loro parole, e più ancora con i loro silenzi, ci incoraggiano a cadere nel pozzo smemorante ove loro non possono raggiungerci e noi possiamo esser sole con noi stesse”

Ero totalmente ignorante di questa scrittrice italo-cubana e della sua vita incredibile. La persona che me l’ha fatta scoprire l’ha conosciuta grazie al corso di studi in Lettere e filosofia.
Perché in Italia il sistema scolastico non ci fa studiare queste fini penne e menti? Alle due citate possiamo aggiungere Goliarda Sapienza, Sibilla Aleramo e Giovanna Cecchi d’Amico, sceneggiatrice di moltissimi film (Il gattopardo, Ladri di biciclette, Bellissima, Rocco e i suoi fratelli giusto per nominarne un paio).
La scuola è il luogo dove ci formiamo culturalmente , è il luogo che avrà più influenza sulle nostre persone oltre la famiglia. È il luogo in cui si creano anche i legami di amicizia che ci si porterà dietro accomunando persone affini.
È qui che la conoscenza del pensiero femminile dovrebbe avere accesso, non solo all’università.
Virginia Woolf in “Una stanza tutta per sé” notava proprio questa mancanza, con la storia inventata della sorella di Shakespeare.
È la cultura a fare la differenza nella percezione dell’altro.

Siamo il paese in cui la presidente della camera è una donna, di Emma Bonino, Concita De Gregorio, Dacia Maraini, Susanna Camusso ed Emma Mercegaglia, personalità notevoli nei diversi campi di espressione.
Ma siamo anche il paese di Lucia Annibali, Gessica Notaro, Serafina Strano, Sara Dipietrantonio e delle 84 donne uccise in 9 mesi, 8.480 denunce stalking, 3mila violenze sessuali nel 2017.

Il femminismo è solidarietà, accoglienza e supporto.
Gli slogan sono utili, per la chiarezza del messaggio, e le persone che si fanno portavoce ancora di più perché infondono coraggio.
Non siamo tutte Malala ma siamo donne e abbiamo il diritto di dire la nostra e fare il possibile. Anche gli uomini.
Si tratta della nostra crescita come popolo, “ci colpiamo noi mamme” mi ha detto una signora tempo fa. In parte, ci colpiamo noi figli se con il nostro intelletto e volontà non cambiamo questa condizione.
Il cambiamento non sarà immediato si agisce sempre per il futuro.
In questo flusso di parole spero troviate almeno una verità, affermazione a voi vicina che instilli in voi il desiderio del cambiamento e far comune questa battaglia.
Dialogo per raccogliere più opinioni possibili e conseguente azione per non scadere nella ostentazione di buoni propositi.

The Times They Are a-Changin’ non sono gli anni ’60, ma sono tempi di rivoluzione.

 

Arianna De Arcangelis